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gio
8
feb 24

Pesci piccoli, la recensione de Il Corriere della Sera

Qui la bella recensione di Severino Colombo sul Corriere della sera

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mer
7
feb 24

Destra asociale. La dichiarazione di guerra è stata consegnata: ai poveri

PIOVONOPIETRELa dichiarazione di guerra è stata consegnata nelle mani di alcuni milioni di italiani, quelli poveri, che si ostinano a esserlo e a rimanerlo, nonostante i proclami del clan famigliare al governo e le magnifiche sorti del Paese illustrate ogni sera dai cinegiornali Luce, un tempo detti Tg. Una sistematica opera di bonifica ai danni di una parte non esigua della popolazione, quella che fatica a mettere insieme il pranzo con la cena, quella che – anche lavorando – si ritrova ai confini della soglia di povertà, o addirittura sotto. Tolto il reddito di cittadinanza a un milione di famiglie (a 400.000 via sms), dopo una campagna stampa trasversale durata anni tesa a descrivere ogni meno abbiente del paese come un bieco truffatore, le famiglie con un sussidio sono oggi 288 mila, ma il sussidio sono due carote e un pomodoro, e per averlo bisogna avere un Isee di tipo sahariano: 6.000 euro all’anno, che in una città come Milano, per dire, non ti bastano nemmeno per andare alla Caritas in tram.

Alcuni – fortunelli – hanno ricevuto da Yo soy Giorgia una carta alimentare, una moderna carta annonaria, da 382,5 euro all’anno (1,04 euro al giorno, non scialate). Insomma, chi non ce la faceva, o ce la faceva a malapena con grande fatica, è stato prima preso a ceffoni dai giornali (i famosi fannulloni sul divano) e poi direttamente affamato dal governo. Chi ha fatto i conti stima più o meno un risparmio di quattro miliardi per i tagli al reddito e un esborso di mezzo miliardo per il caritatevole obolo di un euro al giorno, che fa un risparmio secco di tre miliardi e mezzo: non volendo prenderli dagli extraprofitti delle banche – sacrilegio! – li si prende dagli extrasfigati, componente sociale in continuo aumento.

Naturalmente finché c’è la salute c’è tutto, e se la salute non c’è, cazzi vostri. Se ti serve un esame urgente o una cura veloce e non puoi aspettare un anno, e non puoi pagarti una sanità privata (tipo quella che possiede i giornali che sostengono vibratamente Yo soy Giorgia) che ti devo dire, pazienza, verremo al funerale. Alla sanità sono finiti tre miliardi, che andranno quasi tutti in contratti del personale, e undici italiani su cento rinunciano a curarsi per mancanza di soldi.

Il grande vanto e ostentazione della famiglia (sur)reale di Chigi Palace per la valanga di soldi destinati agli anziani è tragicomico. Un po’ perché si sventolano soldi che già arrivavano, e un po’ perché la platea è composta da ultraottantenni non autosufficienti, gravissimi, con un Isee inferiore a 6.000 euro: meno di trentamila persone nel 2025 e meno di ventimila nel 2026 (la strategia è puntare sulle esequie, insomma).

Però, per fortuna, si aiutano le donne. Oddio, non esageriamo. Forse era una buona idea quella della decontribuzione (fino a 3.000 euro lordi) per le donne che lavorano, poi però ecco la sorpresa: vale solo per le donne che hanno tre figli (tre!) e che siano lavoratrici assunte regolarmente a tempo indeterminato, nell’ecosistema italiano, animali piuttosto rari. Se vuoi lo sconto sui contributi – ma solo per un anno – devi avere almeno due figli, se no, zero. E’ una variante dei fannulloni sul divano: solo che qui si consiglia di stare sul divano a figliare. Tra l’altro, se hai un bambino solo, ti paghi l’asilo, perché per avere un contributo, di figli devi averne almeno due, se no zero pure qui.

Questo è il contenuto della dichiarazione di guerra. Come andava di moda dire, c’è un aggressore e un aggredito, che nei cinegiornali della sera non si vede mai.

dom
4
feb 24

Pesci piccoli, la recensione de Il Messaggero

Qui la bella recensione di Andrea Frateff-Gianni su Il Messaggero

IlMessaggero030224

mer
31
gen 24

Fine corsa. Sgarbi, il triste tramonto del sottosegretario beato tra gli uccelli

PIOVONOPIETREQuando ho sentito il sottosegretario alla cultura dire in tivù “Tiro fuori l’uccello”, ho pensato per un secondo che era ora – oh, finalmente! –  si smetteva con le polemiche e gli insulti e si tornava a parlare di arte. Mi aspettavo in effetti che tirasse fuori un dipinto di Paolo Uccello (1397-1475), il grande maestro fiorentino della prospettiva, ed ero già pronto al perdono seguendo supinamente la vulgata degli ultimi trent’anni: vabbé, Sgarbi sarà quel che sarà, ma di arte ne capisce, un grande classico dell’ottundimento italiano. Invece no, Sgarbi voleva proprio tirare fuori l’uccello, inteso come pene, e faceva l’elegante gesto di aprirsi la patta dei pantaloni, nella plastica rappresentazione di un atteggiamento provocatorio che già in tutte le seconde medie del pianeta sarebbe considerato un po’ cretino e degno di una visita dal preside. Avendo (purtroppo) l’età per ricordarmelo, mi è venuto in mente Iggy Pop, strepitoso punkettone e rocker di pregio, detto l’Iguana, che durante i concerti l’uccello lo tirava fuori davvero, per la gioia dei fans che pogavano sotto il palco: un simbolo di trasgressione senza se e senza ma, e soprattutto senza essere sottosegretario alla cultura (anche se io il vecchio Iggy l’avrei fatto ministro).

Insomma, non intendo qui entrare nel merito delle inchieste giornalistiche (e giudiziarie) di cui Sgarbi è oggetto, né di quadri trovati in soffitta, o rubati, o che ricompaiono qui e là fotografati, modificati, tagliuzzati, sequestrati, eccetera eccetera: lo fanno colleghi più bravi e coraggiosi di me, che per questo si sentono dire – sempre dal sottosegretario alla cultura – che dovrebbero morire male. Quando si dice la forza della dialettica. Mi limiterò a una piccola notazione in margine, diciamo così “culturale” su un alto rappresentante del governo italiano che si comporta come un chitarrista heavy metal in piena crisi creativa. Forse, chissà, andrebbe trovata una via di mezzo tra l’antico “politichese” da prima repubblica e il dadaismo sgarbista ispirato all’esibizionismo da giardini pubblici con impermeabile aperto a sorpresa (in quel caso, di solito, arriva una volante). E non vorrei nemmeno che il gesto di Sgarbi facesse scuola tra i colleghi sottosegretari degli altri ministeri, perché sarebbe imbarazzante per il Paese (pardon: Nazzzione) veder sventolare apparati riproduttivi maschili qui e là nel divampare del dibattito politico, magari durante il question time alla Camera… Onorevoli colleghi…

Si rimarca qui, en passant, che ciò che oggi si rimprovera a Sgarbi non è un’intemperanza improvvisa e sconsiderata, ma un atteggiamento che tutti conosciamo, che in qualche modo ci si aspetta da lui come fedeltà al personaggio. A parte i colleghi di Report che volevano fargli qualche domanda nel merito di inchieste e indagini in corso, chi invita Sgarbi lo fa quasi sempre confidando nell’incidente (e indecente) diplomatico, nell’uscita sghemba e scandalosa, nell’impennata dei toni, nella parolaccia liberatoria, nell’insulto da rissa per il parcheggio. In poche parole si confida nella presenza del prestigioso sottosegretario alla cultura per aumentare gli ascolti, o i clic, o i titoli sui giornali il giorno dopo, perché Sgarbi è un format. Purtroppo, anche i format più collaudati stufano, passano di moda e funzionano sempre meno, vengono lentamente archiviati nella memoria collettiva, lontani e dimenticati come la mucca Carolina e non è lontano il giorno in cui si dirà: “Sgarbi chi? Quello dell’uccello?”. Ah, vabbé. Amen.