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sab
27
gen 24

Pesci piccoli, la recensione su Il Fatto Quotidiano

Qui la recensione di Fabrizio d’Esposito su Il fatto Quotidiano

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ven
26
gen 24

Pesci piccoli, l’intervista su La Stampa, grazie grazie

Qui la bella intervista di Raffaella Silipo su La Stampa

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mer
24
gen 24

Diseguaglianze. Persa la lotta di classe, combattiamo almeno la lotta di tasse

PIOVONOPIETREVisto che non si può parlare di lotta di classe – perché saltano su come tappi i soliti pipicchiotti sedicenti liberali a dire che è solo invidia sociale – che si parli almeno di lotta di tasse. E per quanto stupefacente, eccoci d’accordo con una bizzarra congrega di miliardari del pianeta, che chiedono di essere tassati di più. Per dirlo hanno approfittato del recente World Economic Forum di Davos, che è un po’ la serata degli Oscar dei padroni (and the winner is…): quasi trecento miliardari hanno preso carta e penna (d’oro, si suppone) per chiedere ai governi del mondo di aumentare le tasse sulla ricchezza. Il ragionamento è semplice e, in qualche modo, ragionevolmente difensivo. Probabile che nelle loro ville di Malibu o di Sankt Moritz, i super-ricchi del pianeta abbiano letto le cifre del rapporto Oxfam sulle diseguaglianze, tipo quella che loro – i miliardari del pianeta – sono sempre più miliardari, che i primi cinque nella loro classifica hanno raddoppiato le loro fortune negli ultimi tre anni, mentre cinque miliardi di persone, cinquemila milioni di povericristi, si sono impoveriti. Ragionamento che non fa una piega, come si legge nell’appello: per noi non cambia niente, il nostro tenore di vita non ne risentirà, ne per i nostri figli, né per i nostri nipoti, né per le nostre aziende. Sono ricchi, non sono mica scemi, sanno che se la faccenda si sbilancia troppo e se alcuni miliardi di poveracci si incazzano con qualche migliaio di ricconi la questione si può mettere male. Ma in ogni caso c’è una verità incontestabile: la “ricchezza privata estrema” (come la chiamano loro) è un problema per la democrazia in tutto il mondo. Parole sagge, e meno male che le dicono i miliardari, perché quando lo dice un sindacalista, o un lavoratore, viene subito accusato di tendenze comuniste, ambizioni di esproprio proletario e invidia sociale (e ridaje, ndr).

Passando al piccolo mondo antico dell’Italietta meloniana (ma anche pre-meloniana e, sono sicuro, post-meloniana), ci dobbiamo accontentare dell’Ocse che non pensa tanto ai povericristi ma al nostro debito pubblico e suggerisce di rivedere più che qualcosa nel sistema fiscale. La tassa di successione, per esempio, è tra le più basse del pianeta, il che, oltre ad essere ingiusto, è un motore primario di diseguaglianza (in parole povere i ricchi sono ricchi per successione dinastica, altro che pippe sul merito!). In più, la rendita improduttiva è tassata meno del lavoro produttivo. In più, ci sono pensioni d’oro a fronte di pensioni che non garantiscono nemmeno la sussistenza. Insomma, un paese che premia i ricchi e penalizza i poveri, come anche il recente ridisegno di alcune discipline fiscali conferma.

In tutto questo, che è macroscopicamente sotto gli occhi di tutti, si assiste a un bizzarro fenomeno di ipnosi di massa, per cui appena qualcuno pronuncia la parola “patrimoniale” si schierano le armate del Capitale come di fronte a una rivoluzione bolscevica. Davvero stupefacente vedere gente che paga il mutuo per un bilocale alla periferia di Novara strepitare contro una tassazione per chi ha patrimoni superiori a dieci milioni, la sede fiscale all’estero, la cittadinanza a Montecarlo e cinque Bentley in garage. Di tutte le ingiustizie e le follie in materia di diseguaglianze, questa è la più strabiliante: neo-poveracci del fu ceto medio che difendono come tanti piccoli Milei i privilegi di una manciata di miliardari globali, senza pensare – fessi – che in proporzione pagano molte più tasse di loro.

mer
17
gen 24

Idee inaspettate. Abuso d’ufficio? Se i reati sono fastidiosi, aboliamoli

PIOVONOPIETRELa cosiddetta riforma dell’abuso d’ufficio, insieme all’astuto ridisegno delle norme sul traffico di influenze, apre nuovi entusiasmanti scenari nella giustizia italiana: finalmente ras dell’amministrazione, primari ospedalieri, baroni universitari e altri italiani in posti di potere, potranno indossare senza problemi la felpa con scritto: “Faccio il cazzo che voglio”. Votata in commissione dalla destra moderata (Forza Italia), dalla destra radicale (Fratelli d’Italia, Lega) e dalla destra saudita (Italia Viva), la riforma veleggia ora verso il Senato, dove forse incontrerà alla buvette le norme che vietano la pubblicazione delle ordinanze cautelari. Due provvedimenti che si sposano alla perfezione: se uno viene arrestato non si potrà scrivere perché e percome, ma d’altra parte possiamo stare tranquilli che per traffico d’influenze o abuso d’ufficio nessuno sarà arrestato: non fa una piega.

Lascerei le questioni giuridiche ai giuristi, comunque, non mi addentrerò nei tecnicismi. Quel che preme sottolineare qui è una rivoluzionaria visione del mondo, per cui essendo il reato scomodo e fastidioso a chi comanda, basta abolirlo. E se resta scomodo, basta non poterne parlare. E in ogni caso i reati, sia chiaro, restano patrimonio dei poveracci.

Ecco, non lascerei questa rivoluzione a metà, ma l’amplierei e la preciserei per altri reati. Il furto, per dirne una, va contestualizzato. Un conto è un povero che ruba per invidia sociale, un altro conto è il ricco che ruba per far rendere meglio la refurtiva, investirla, creare posti di lavoro, come è noto facciano i ricchi, munifici e generosi, per aiutare i poveri, dandogli addirittura un salario. Prossima riforma, dunque, presentare l’Isee al momento dell’arresto. Ottimi sviluppi sul divieto di sosta: se in divieto è parcheggiata una Panda marcia, multa sicura. In caso di parcheggio illegale di una fuoriserie, invece, è chiaro che abbellisce la città e dona un certo tono all’intera strada, urge sanatoria.

In generale, se ne ricava che la miglior battuta satirica è ancora “La legge è uguale per tutti”, con la sua variante “Tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge”, che in effetti fa sbellicare.

Divertente notazione in margine: la “riforma” dell’abuso d’ufficio viene presentata come norma “liberale”, e si sa che ormai la parola “liberale” si usa in modo piuttosto liberale per intendere di limitare i poteri dello Stato e altre seccature. Quelle cose che impediscono colpevolmente – per intenderci – di attribuire i lavori pubblici alla ditta di tuo cugino o di promuovere viceprimario chi manda molti clienti alla clinica privata del primario. Peccato che il concetto di abuso (d’ufficio e di potere) sia entrato negli ordinamenti europei dopo la rivoluzione francese, ispirato proprio da una filosofia liberale del diritto. La possibilità di essere cittadini e non sudditi, era in effetti una cosa piuttosto liberale, che chi si dice “liberale” oggi tende a contestare. In poche parole, la libertà insindacabile di un amministratore, di un pubblico ufficiale, di un qualsiasi  detentore di potere decisionale, ci riporta dalle parti di Carlo Magno, o almeno del Marchese del Grillo. E quindi ecco che (trucco molto in voga) si traveste da liberale ciò che invece è profondamente autoritario e si compone, alla fine, un divertente disegnino per cui chi occupa posti di potere può vantare un codice penale diverso dagli altri. Gli si garantisce, insomma, che il suo potere può contenere anche un abuso, e gli abusati, peggio per loro.