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mer
10
apr 24

Trash condicio. Il fascino discreto della libertà (vigilata) d’espressione

PIOVONOPIETRESe ci fate caso quando vogliono tirarvi una fregatura, ma di quelle belle grosse, la battezzano con qualche parola inglese, tipo il Jobs Act, per intenderci. Eccezione notevole, ormai più che ventennale, una fregatura, ma di quelle grosse, battezzata con qualche parola latina: la par condicio. Luminosissimo esempio di brutta legge che andava fatta perché Silvio buonanima aveva le sue tivù, e poi aveva anche le tivù di tutti, cioè quelle pubbliche, e allora si dovette tentare un argine, per quanto risibile, e regolare gli spazi, in modo che non parlasse solo lui. Che oggi si discuta su come modificare quell’obbrobrio per cui se arriva uno che dice A ci vuole per forza uno che dica B è abbastanza logico: tutti tirano la coperta dalla loro parte. Il governo vuole che i suoi ministri siano considerati esterni al meccanismo, per esempio. Cioè in un dibattito potremmo avere la parola del governo, poi la parola di uno di destra, e poi la parola di uno di sinistra (mi scuso per le parolacce), e quindi ecco che avremmo la tris condicio. Poi c’è la proposta Boschi, povera stella, che vorrebbe applicare la par condicio anche ai non politici, cioè praticamente fare un esame del sangue a giornalisti e commentatori, per ammettere ai dibattiti televisivi solo quelli neutri come il sapone per neonati, che non sporchino, che non stiano da nessuna parte, che non rompano i coglioni con le domande, tanto varrebbe mettere un vaso col ficus. Ricorda un po’ quei film americani dove gli avvocati scelgono le giurie: questo no perché è portoricano, questo no perché ha un figlio che fa il marine, questo no perché nel 2013 ha fatto un tweet contro la Leopolda, eccetera eccetera. Piuttosto divertente. Chi decide come e quanto, e in quale nuance o sfumatura un giornalista sia schierato, non si capisce, ma forse ci sarebbe una speciale commissione, e poi una commissione per scegliere la commissione, e in sostanza farei fare tutto alla Boschi, così finalmente si trova un lavoro.

La par condicio, o quel che le somiglia ormai molto vagamente, si applica fortunatamente solo nell’imminenza delle scadenze elettorali e non tutto il resto dell’anno, quando gente che ha il due o il tre per cento – non voglio fare nomi, non è che ce l’ho con Calenda – passa le sue giornate e serate in tivù a pontificare come in una dittatura dell’Asia centrale. In quel caso – e solo quando parli qualcuno che non si allinea – il refrain è un altro, quello intramontabile del “contraddittorio”. Meccanismo geniale e micidiale, per cui ogni affermazione dovrebbe essere corredata da un’affermazione speculare e contraria, pena il drizzarsi in piedi di qualche solerte pipicchiotto che urla: “E senza contraddittorio!”. Suggerirei in questo caso di applicarla a tutto lo scibile umano e ad ogni espressione di pensiero, che so, alla lettura del Quinto Comandamento, “Non uccidere”, dovrebbe intervenire qualche serial killer con i suoi solidi argomenti: “Beh, pariamone…”.

Ciò che si desidera, alla fine, è una neutralità inodore, insapore, vuota, che equipari le cose sensate alle scemenze, i cacciaballe professionali a gente più critica e informata, che comunque potrebbe risultare “schierata” e quindi nemmeno invitata alla festa. Insomma, una difesa preventiva, che serve ad agevolare chi comanda al momento, e che era nata – per paradosso e strabiliante contrappasso – proprio per arginarne lo strapotere di chi comandava in un altro momento, sempre nell’ottica ideologico-tramviaria che non si disturba il manovratore.

sab
6
apr 24

Pesci piccoli e un po’ di cose da portare sull’isola deserta. Conversazione con Chiara Valerio su Radio Tre Rai

Un libro, un film, una musica e altre cosette. L’isola deserta di Chiara Valerio su Radio Tre Rai (audio)

Isola deserta immagine

 

mer
3
apr 24

Cantiere o esercito? La sostituzione etnica funziona solo coi lavori di m.

PIOVONOPIETREMa chissà perché con salari fermi da trent’anni, l’inflazione che si mangia il carrello della spesa, i giornali che invocano la guerra, i diritti in ritirata, la sanità pubblica gravemente ammalata e un dieci per cento della popolazione che balla intorno alla soglia di povertà, gli italiani fanno sempre meno figli. E’ davvero un mistero, porca miseria, chi l’avrebbe mai detto? Vabbé, comunque auguri ai 379.000 piccoletti nati nel 2023, pochi ma buoni, benvenuti! E mentre loro se ne stanno beati e ignari nelle loro culle e carrozzine, noi, qui, dobbiamo fare i conti con i giovani italiani che mancano, dannazione.

Questo è un problema che ci esporrà a enormi rischi, per esempio quello di leggere altri tweet del ministro Valditara, una specie di incontro di wrestling con la grammatica e la sintassi, dove la grammatica e la sintassi hanno la peggio. Oppure – altro rischio molto sbandierato –  di essere vulnerabili ad assalti stranieri all’arma bianca. Nel caso qualcuno ci attaccasse, il nostro esercito è fatto quasi tutto da graduati adipe-muniti, età media altina, reddito basso ma sicuro. Perché, come pare si stia riflettendo negli ambienti della Difesa, non ricorrere ad arruolamenti tra gli immigrati? Una specie di legione straniera, insomma. Non saranno gli “otto milioni di baionette” del Puzzone, d’accordo, ma qualcosa si può fare, e già si ventila – secondo numerose indiscrezioni – di attirare volontari con la promessa della concessione della nazionalità italiana. Insomma, ai “patrioti” che ci governano, che i soldati di truppa abbiano un’altra patria non importerebbe granché. E così assisteremmo al divertente paradosso che se imbracci un fucile ti facciamo diventare italiano, mentre se sei uno straniero – anche nato in Italia – e frequenti le elementari, o le medie, o le superiori, o ti laurei e diventi dottore no, non sei pronto.

Naturalmente non è una cosa nuova, questa di prendere stranieri e di fargli fare i lavori che gli italiani non vogliono più fare, basta dare un’occhiata a qualunque cantiere, a qualunque consegna di cibo a domicilio, a qualunque lavoro sottopagato, senza formazione e meno ancora diritti. Insomma, al fronte gli stranieri li mandiamo già, fronte interno, basti vedere i funerali dei lavoratori caduti al cantiere Esselunga di Firenze poco più di un mese fa: per quattro quinti di provenienza straniera (Tunisia e Marocco), alcuni fuori da ogni regola, che meriterebbero almeno una lapide: “Caduti sul fronte appalti & subappalti”.

Insomma, la “sostituzione etnica” tanto temuta dal ministro cognato è in atto, e riguarda soprattutto i lavori di merda, rischiosi e sottopagati. Un vero peccato che non si possano mettere gli stranieri a fare anche altre cose che gli italiani non vorrebbero fare. Per esempio i malati. Quel 6,6 per cento di italiani che hanno dovuto chiedere prestiti per pagarsi cure che la Costituzione gli garantirebbe gratis, oppure quei 9 milioni che si dichiarano in difficoltà perché non riescono ad accedere alla sanità pubblica, non potrebbero essere sostituiti da pazienti stranieri? In cambio potremmo dargli la cittadinanza, dopo il funerale. O ancora, oltre al soldato, o all’operaio edile, o al consegnatore di pizze, agli stranieri potremmo affidare anche lavori che gli italiani non sono in grado di fare con i necessari requisiti di “dignità e onore”, come per esempio il ministro del Turismo. E’ possibile che tra Ghana, Togo e altri paesi esotici se ne trovi uno non iscritto al registro degli indagati. Proviamo!

dom
31
mar 24

Pesci piccoli, recensioni: La Gazzetta del Sud, Quotidiano Nazionale, Il Sole 24 Ore

Un po’ di rassegna stampa, due recensioni e un’ottima riflessione di Antonio calabro sul Sole 24 Ore

Gazzetta del Sud 300324     QN 310324     Sole24ore 310324