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ven
10
feb 06

Nazimusic

Questa è la storia di una piccola esplorazione. Di come si può partire da un paio d’occhi azzurri – due paia di occhi azzurri – e finire dritti all’inferno. La solita vecchia storia della banalità del male.
Il punto di partenza sono due ragazzine. Facce innocenti e trecce bionde. Nelle foto di quando erano bambine hanno vestitini simil-tirolesi, proprio carine. Si chiamano Lamb e Lynx Gaede, viaggiano intorno ai 14 anni, sono cantanti folk-rock come in America ne puoi comprare cinquanta per un dollaro, una suona la chitarra, l’altra il violino, entrambe cantano, piuttosto noiose se si vuol fare della critica musicale.
Il dettaglio che ha solleticato i media di tutto il pianeta non è secondario: le gemelline Gaede sono e si dichiarano filo-naziste, portano magliette dove il vecchio smile giallo ha i baffetti di Hitler e inneggianmo a Rudolph Hess, “uomo di pace che non si sarebbe mai arreso”. Nome d’arte, Prussian Blue, che può sembrare romantico a tutti, almeno a tutti quelli che non sanno che si tratta di un soprannome: una specie di nome in codice dello Zyklon B, il gas che si usava nelle camere dei campi di sterminio.
Si capisce che ora quelle facce acqua-e-sapone sembrano meno carine. Ma l’accoppiata lolita-nazi deve sembrare irresistibile, perché si sprecano i dettagli: sono bianche, orgogliose di esserlo e “vogliono preservare la razza”. Vivono a Bakersfield, in California, ma purtroppo “l’area non è più abbastanza bianca”, e forse mamma le trasferirà in qualche posto ancor più bianco e ariano. A trovarlo. Niente scuola: l’educazione è stata impartita in casa, dalla madre convinta segregazionista e dal padre allineato, tanto allineato che marchiava le sue mucche con una svastica. Da anni (da quando ne avevano nove) cantano e suonano per le bianchissime platee che accorrono ai festival nazisti americani, alle serate della National Vanguard e in tutti quei ritrovi dove si inneggia alla purezza della razza bianca, si nega l’Olocausto, si gioca con incredibile leggerezza con svastiche e croci celtiche. E dove si cantano (un’aggravante?) le canzoni delle Prussian Blue. Insomma il  quadro si fa inquietante: le bambine-nazi sembrano fatte apposta per scandalizzare in superficie e poi strappare un’alzata di spalle. Del resto, è evidente: in casi come questo servirebbe più uno psichiatra (per i genitori, soprattutto) che il Centro Simon Wiesenthal.

Potrebbe finire tutto qui, come una goccia nel mare dello star system americano, o magari con una citazione del miglior John Belushi, da The Blues Brothers: “Io li odio, i nazisti dell’Illinois”, dato che spesso il ridicolo può servire più di una retata.
Eppure, si impone un supplemento di indagine. Già, perché un comunicato promozionale, una di quelle schede discografiche che magnificano il prodotto, dice che “Con il loro secondo album, The Path we chose, le Prussian Blue si apprestano a lasciare il piccolo mondo della musica militante segregazionista per puntare al grande mercato del mainstream folk-rock”. Insomma scatta l’allarme. E’ possibile forse tollerare dei cantanti nazisti come una curiosità antropologica, ma trovarseli poi nelle classifiche di Billboard o nei video di Mtv è un altro paio di maniche.

Non è vero: se l’obiettivo era saltare nel grande mercato popolare mondiale, è un blitzkrieg che non ha funzionato. Nemmeno Amazon, il più grande supermercato del mondo, vende i dischi delle Prussian Blue. L’altro fornitissimo negozio virtuale, l’i-Tunes Music Store non ne contiene traccia. Tranquillizzante: se non sei lì dentro vuol dire che tanto popolare non sei diventato.
Dunque, la ricerca si sposta su altri lidi, su altre fonti. Bisogna pur sentire qualche canzone di queste ragazzine, la cronaca esige i suoi tributi di noia. Ma ecco che proprio in questo passaggio le cose si complicano. Si parte da una specie di gossip, una curiosità mediatica, due gemelline preadolescenti che parlano di difesa della razza, e si finisce senza nemmeno accorgersi un un gorgo nero, un vero pozzo degli orrori.
Il sito delle due ragazzine è azzurro e vaporoso, non dissimile dai siti di quel rockettino acqua e sapone destinato al pubblico cucciolo. Loro sorridono in tutte le salse, sia nelle foto ufficiali che sulle copertine dei dischi. Ci sono i testi delle canzoni, una nutrita rassegna stampa, le loro interviste radiofoniche, piuttosto deliranti, a base di concetti assai fumosi, di razza ariana, di bianchi assediati, di orgoglio teutonico. Le canzoni hanno titoli come The road to Valhalla.
I banner nella home page, cioè quei pulsanti che portano ad alti siti – siti amici – sembrano ben più inquietanti. Ecco il collegamento alla National Vanguard, associazione segregazionista bianca dove si rivendica la libertà di parola (primo emendamento) solo per i bianchi, dove si diffondono manifesti per la campagna Love your race (Ama la tua razza, con una ragazza arianissima e biondissima), si difende lo storico negazionista David Irving e via dicendo. I toni hanno poco a che vedere con la vocina da coro parrocchiale delle sorelline Goede, si intravvedono scarponi chiodati e si sente un certo odore di zolfo: la congiura ebraica che controlla i media, eccetera eccetera.
Siamo solo all’inizio: altri link dal sito delle ragazzine Prussian Blue sono addirittura più espliciti. Potete comprare un libro che nega l’Olocausto e la Shoa, oppure quello che propugna il “razzismo difensivo” bianco negli Stati Uniti. Tutto tranquillo e tutto legale, in un Paese che vanta persino un Partito Nazista ufficiale (proprio così: non si fanno mancare niente).
Altri amichetti incontrati nel viaggio: ecco le donne del Women for Aryan Unity (vi lascio immaginare…), le pubblicazioni della casa editrice Sigrdrifa Publications, per non dire dello Stormfront (White Nationalist Community), con tanto di forum dove al razzismo anti-messicano si mischiano riflessioni deliranti sull’ “invenzione” delle camere a gas.

Si può continuare ore, saltabeccando a colpi di mouse da una vergogna all’altra, forse senza capire quanto è popolare (in termini di seguaci effettivi) il fenomeno, ma certo rendendosi conto, con un certo spavento, di quanto è ampio, per quantità di siti, riferimenti, bibliografie filo-naziste, razziste e negazioniste, di estetiche cimiteriali, di battaglie per la pulizia, purezza e poi – ovvio – predominio della razza bianca.
Poi, quasi senza volere, eccoci arrivare all’etichetta discografica, cioè all’azienda che produce, stampa e vende i dischi delle signorine Prussian Blue. In tutto quel che sappiamo dell’America, brilla il concetto che gli affari sono affari, che la politica (se si può chiamare così il negare l’Olocausto) è una cosa, ma poi vendere dischi è un’altra. Sbagliato.
La storia della Resistance Records è da manuale. Nata in Canada nel 1993, l’etichetta fu fondata da George Burdi, canadese, leader della band neonazista e skinhead dei RaHoWa (che sta per Racial Holy War, guerra santa razziale). Nel ’97 viene chiusa per istigazione all’odio razziale (e certe astuzie fiscali non proprio lecite). L’etichetta passa di mano e finisce a Detroit, acquistata da William Pierce, fondatore della National Alliance. Morto Pierce, la gestione passa a Erich Gliebe, suo successore e leader del movimento a Cleveland, che dichiara senza timori di voler rafforzare questo “braccio musicale della rivoluzione ariana”.
Ed è qui, nel sito della Resistance Records, dopo infinite peregrinazioni tra croci uncinate e le più ignobili vergogne del secolo scorso (e pure di questo) che si riesce a mettere le mani su qualche mp3 delle due gemelline, tipo una canzone che si chiama Hate For Hate: Lamb Near The Lane, che si rivela una nenia inascoltabile.
Ma le Prussian Blue sembrano ora soltanto la punta dell’iceberg. La loro naïveté, i loro vestitini simil-tirolesi e le treccine bionde fanno persino tenerezza in un catalogo che comprende titoli come Klassic Klan Komposition, come Racially Motivated Violence (degli Angry Arians) e il cd A replay of Final Solution, dei Kremator. Più di ottocento titoli in catalogo, americani e internazionali. Magliette, manifesti, adesivi che chiedono di ritirare le truppe dall’Iraq e schierarle ai confini col Messico, aquile naziste ed elmetti, mostrine delle ss, sangue, onore e scritte gotiche.
Oltre, naturalmente, ai dischi delle Prussian Blue e (immancabile) al videogame per computer, che si chiama Ethinic Cleansig (pulizia etnica) dove tra neri, ebrei e chicanos vincerà – manco a dirlo – la razza ariana.

1 commento »

Un Commento a “Nazimusic”

  1. a me.. sinceramente piaccionmo le loro canzoni… forse perchè non so il significato.. infatti sto cercando la traduzione ma nn la trovo su nessun sito… ho 14 anni anche io e se dicessi che sono filo-nazista non sarebbe vero..perchè non so il vero significato.. e second0 me nemmeno le gemelle lo sanno ma cantano queste canzoni solo per il piacere dei genitori e per non deluderli..poi.. non so.. magari sbaglio.. ma la prima impressione è questa…

    grazie per l’attenzione..arrivederci

    da claudia   - martedì, 10 luglio 2007 alle 19:17

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