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mer
13
mar 24

Masters of war. La guerra, il business principale: così si spiegano i piazzisti

PIOVONOPIETREInsomma, la guerra. La guerra di oggi, anzi le guerre, il genocidio della potenza coloniale israeliana ai danni del popolo palestinese, la carneficina senza fine in Ucraina, le altre guerre sparse per il pianeta (parecchie) che nemmeno arrivano ai media, i massacri, le popolazioni colpite, gli effetti collaterali, fame, malattie, disperazione. La guerra, insomma, che sembra una componente naturale, endemica, delle faccende umane, in qualche modo accettata e – è storia recente e recentissima – benedetta e sostenuta da un apparato informativo che sembra proprio quel che è: l’ufficio stampa della guerra.

La guerra “giusta”, la guerra “nostra”. Piazzisti.

Strabiliante: non c’è attività umana che non venga letta in termini economici, che non venga analizzata per quel che produce o consuma in termini di ricchezza. Sappiamo tutto di industrie, di mercati, di speculazioni, di guadagni, di dinamiche macroeconomiche di ogni settore, e non sappiamo niente – è una specie di tabù –dell’economia della guerra, di chi la gestisce, di chi ci guadagna, di chi ne fa corebusiness. Il primo a nominare – e in qualche modo a battezzarlo – il “complesso militare industriale” fu Eisenhower, presidente americano che una guerra l’aveva vinta da generale. Correva il 1961 e lui metteva in guardia la prima potenza mondiale proprio da quell’intreccio inestricabile che poi avrebbe contagiato il mondo: la politica, l’industria bellica (nella neolingua tanto in voga da sempre, la guerra si chiama “difesa”), la finanza, alleate a gonfiare un apparato micidiale. Un sistema economico che doveva produrre armi, quindi usarle, quindi costruirne di nuove, quindi spingere sul comparto “ricerca e sviluppo” con esseri umani come cavie. E quindi combattere ogni voce di pace, quindi soffiare su ogni focolaio, su ogni principio d’incendio per farlo divampare.

Dalla guerra “Sola igiene del mondo” della macchietta futurista italiana, si è passati in pochissimi anni alla guerra come “Sola economia del mondo”. Difficile pensare a un comparto economico che aumenta il fatturato in doppia cifra ogni anno ininterrottamente da almeno trent’anni, il cui giro di affari è arrivato (fonte: Sipri, Stockholm International Peace Research Institute) nel 2022 a 2.240 miliardi di dollari l’anno (in vorticosa crescita), il 40 per cento dei quali americani (seguono Cina, che spende un terzo degli Usa, e Russia, che spende un decimo). Non solo armi, ma tutto quel che ne consegue, personale, strutture, ricerca, apparati, informazione. Parliamo insomma della prima industria mondiale, il che dovrebbe chiarire a tutti e per sempre che ogni discorso bellico favorevole a questo o quel conflitto (abbiamo in questi giorni luminosi esempi, quelli che non saprebbero gestire una gelateria ma danno lezioni al papa, per dire) può essere agevolmente letto come un’interessata attività di lobbyng, di sostegno a tassametro, degli interessi tesi alla realizzazione della guerra.

Si parla, infatti, di uno stato di guerra permanente, con vari fronti, con varie declinazioni e vari gradi di intensità, ma con tutte le guerre – tutte – ad esclusivo vantaggio di quell’apparato transnazionale controllato da non più di qualche migliaio di persone. Se esiste oggi una perfetta metafora del capitalismo, è la guerra: la disperazione di molti e il guadagno di pochissimi, quelli che un tempo si chiamavano “i signori della guerra”, sempre più signori e con sempre più guerre su cui lavorare, perché se l’affare è la guerra, la pace fa male agli affari. Ai loro.

2 commenti »

2 Commenti a “Masters of war. La guerra, il business principale: così si spiegano i piazzisti”

  1. Caro Alessandro, più che un commento é un mio sincero “sfogatoio”, da quando ero ragazzo ho a che fare con le notizie sulla questione palestinese, fin dal famoso settembre nero di Monaco, fin da quando andavo a sentire gli Area che la cantavano: ho capito che i palestinesi sono finiti e lo sanno bene pure loro: sembra di vedere uno di quei western disallineati, come Soldato blu, o La conquista del West (il telefilm),o la canzone del Sand Creek di De André: come i pellerossa i palestinesi sono stati pisciati via dalla storia, dai loro popoli fratelli e dalle convenzioni affaristiche internazionali, verranno spazzati via dai loro colonizzatori in un silenzio crescente; qualcuno si farà ammazzare con le armi in mano, qualcun altro si farà piacere il suo massacratore, gli altri superstiti saranno parte di un altro popolo con un’altra bandiera. Come i nativi americani. Il groppo nella mia gola non se ne andrà, come il dolore per aver assistito a questo scempio senza aver la possibilità di poter porgere anche un semplice aiuto. Non credo finirà diversamente per la questione ucraina, né per gli altri imminenti conflitti (vogliamo parlare del Niger?). Chiedo scusa per questo angolo di tristezza, avevo bisogno di buttar fuori questo pensiero, dentro cominciava a farmi male. troppo.

    da Carginone   - mercoledì, 13 marzo 2024 alle 09:23

  2. Cosa non di fa pur di costruirsi una villa con piscina.. al mare , ai monti e ai laghi ..e i cadaveri nelle fondamenta sono solo materiale di risulta !

    da Elena   - mercoledì, 13 marzo 2024 alle 09:47

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