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Pandemia. Il virus sta diventando classista: bisogna tutelare i più deboli

PIOVONOPIETREAlla fine, girandola come si vuole, guardandola da più angolazioni, la situazione è questa: centinaia di migliaia di ragazzi non possono andare a scuola perché i trasporti pubblici che servono (tra le altre cose) a portarceli, fanno schifo e compassione, ovunque, senza eccezioni. Il bilancio di ciò che hanno fatto (e soprattutto non fatto) le amministrazioni regionali in sette mesi di quasi-tregua dell’epidemia è lì da vedere: desolante. Il tentativo di addossare soltanto alla famosa “movida” (in tutte le sue varianti) la responsabilità della seconda ondata non ha funzionato. Le immagini che ci vengono da treni locali, autobus urbani e metropolitane, invece, rendono bene l’idea: nessuno sano di mente può pensare che ci si infetti di più in un cinema semivuoto il giovedì sera (non dico dei teatri perché mi si stringe il cuore) che sul 31 barrato il venerdì mattina. Lo spettacolo è ancora più grottesco se si passa qualche minuto accanto ai binari di una grande stazione: la differenza tra chi scende da un Freccia Rossa – distanziato e garantito – e chi scende da un regionale – carro bestiame – è così evidente, dickensiana, da strabiliare.

E ovunque si volga lo sguardo ciò che salta agli occhi come uno squalo nella vasca da bagno è questo: le diseguaglianze volano, si moltiplicano, allargano la loro forbice, salvano chi sta in alto nella scala sociale e schiacciano chi sta in basso. La terapia intensiva sarà pure una livella, per citare Totò, ma prima di arrivarci di livellato non c’è niente. E’ una cosa che quelli dei piani di sotto, con l’ascensore sociale che non funziona, sentono ogni giorno sulla loro pelle. Gente che magari aspetta un tampone da giorni e legge costantemente di un mondo superiore dove ci si tampona ogni venti minuti allegramente tra vip, calciatori, star televisive. La serie A, insomma, sfugge all’affannata burokrazjia sanitaria mentre, la serie B e le altre serie minori arrancano al telefono con il medico di base, l’asl, la coda in macchina con bambino che tossisce, la mamma che non può andare al lavoro.

I sostenitori felloni di quell’imbroglio ideologico chiamato “meritocrazia” dovranno spiegarci come si fa a fare la gara del “merito” tra un ragazzo iperconnesso, attrezzato, munito nella sua stanza di numerosi device, e il suo omologo proletario, che si litiga il tablet con l’altro fratello, magari in un bilocale dove anche papà, o mamma, cercano di lavorare in smart-working. Situazione dolorosa per la perdita di socialità negli anni più esplosivi della vita, per tutti; ma per il secondo ragazzino anche il rischio serio di mollare il colpo, di rinunciare, di abbandonare la scuola per essere risucchiato nella palude della bassa specializzazione, della mano d’opera a basso costo.

Tracciare, curare, combattere il virus, insomma, è impresa titanica, e si sa. Ma c’è un’altra cura urgente da attuare subito: evitare che il virus diventi definitivamente e irrimediabilmente classista, cosa che già è oltre i limiti di guardia. La scommessa vera sarebbe quella di ampliare la sfera dei diritti: un tablet per ogni studente, un posto tranquillo sull’autobus, un reddito garantito almeno per campare, un accesso universale, rapido, gratuito per il vaccino, se e quando arriverà. Questa è la partita che deve giocare la politica. Se non lo fa, se nemmeno ci prova, se ci ritroveremo domani non solo in situazione di maggior povertà, ma anche in situazione di maggiore ingiustizia, significa che la politica non basta più, che il virus di classe ha vinto.

8 commenti »

8 Commenti a “Pandemia. Il virus sta diventando classista: bisogna tutelare i più deboli”

  1. Tombola!… Mi rendo onto che è facile criticare, specialmente per uno come me che fin da piccolo, mi riferisco in sostanza agli anni ’40, sognava fantasie, sciocche fin che si vuole, ma che lo rendevano, sia pure per breve tempo, contento al pensiero dell’effetto relativo… Per esempio sognava di avere inventato una bolla a prova di bombe per coprire intere città… Non ne poteva più di vedere i i genitori, e praticamente anche i vicini e conoscenti, con gli occhi terrorizzati quando all’urlo agghiacciante della sirena che annunciava possibili bombardamenti di lì a breve, correvano al rifugio più vicino. Con in più nel cuore la prospettiva tremenda di non trovare più la casa ad allarme terminato. Le bombe di “Pippo” almeno non erano classiste. Come non lo è nemmeno il coronavirus del resto. Solo che quest’ultimo non ha l’effetto immediato delle bombe, ma agisce piano piano. Ed è così che ha tempo di diventare classista con l’aiuto di una società a volte disumana che stima il merito, in base alla ricchezza..

    da Vittorio Grondona   - mercoledì, 28 ottobre 2020 alle 12:56

  2. Magari ci fossero le medesime opportunità per tutti, in un caso di pandemia come quello che ci ha travolto da quasi un anno.
    Vivendo in un momento storico dove le disuguaglianze sociali stanno aumentando, anche i tamponi e i ricoveri risultano ben diversi tra chi è ricco e famoso, e chi fa parte della stragrande maggioranza della popolazione.
    Auguriamoci che arrivi al più presto il vaccino e che ci siano cure efficaci per i più sfortunati, ma ho dei dubbi che la famosa “livella” risulterà in equilibrio per tutti.
    Come spiegó Totó, vale solo per la dipartita che coglierà tutti quanti un giorno, la qualità della vita per ognuno di noi sarà sempre ben diversa.

    da Ivo Serenthà   - mercoledì, 28 ottobre 2020 alle 14:11

  3. Lei conosce qualche precedente epidemia e altre ‘catastrofi’, più o meno ‘naturali’, che abbiano colpito in modo paritario gli Umani?

    a me non risulta;

    i ‘più ricchi’ se la sono cavata meglio, SEMPRE…
    e i ‘poveri cristi’ peggio, SEMPRE…

    da giovanni   - mercoledì, 28 ottobre 2020 alle 16:53

  4. Infatti si chiede un cambiamento, non che sia tutto come prima

    da Alessandro   - mercoledì, 28 ottobre 2020 alle 16:55

  5. Ça va sans dire, caro Alessandro

    da Luciano   - mercoledì, 28 ottobre 2020 alle 19:29

  6. giustissimo, un cambiamento sarebbe necessario ma mi sembra che si stia invece andando nel senso contrario. L’europa, culla della civilta’ e del diritto, sta facendo scempio dei cittadini economicamente improduttivi, anziani e studenti, a cui si tolgono i diritti basilari, quello di avere una vita che valga la pena di vivere gli uni, e di frequentare la scuola per prepararsi al futuro gli altri, rinchiudendoli per evitare ogni rischio di contagio, lasciando cosi’ posto negli ospedali a chi lavora e si contagia perche’ il rispetto delle regole e’ quasi sempre un’utopia (vedi le migliaia di lavoratori di Amazon infettati). Un esempio lampante di questo modo di pensare e’ Sala che, oltre a riproporre di isolare (manco fossero animali feroci) gli anziani e’ palesemente schierato a difesa dei profitti importanti calpestando tutto cio’ che ne e’ fuori ma che rende la vita degna di essere vissuta: cinema, teatri, concerti, convegni….nonostante tutti gli sforzi fatti per rendere questi luoghi di ritrovo sicurissimi. Se fabbriche e mezzi di trasporto fossero stati gestiti nello stesso modo non ci sarebbe stata nessuna seconda ondata.

    da liliana   - giovedì, 29 ottobre 2020 alle 14:16

  7. Carlo VERDELLI:

    “Vero, non è come a marzo.
    È molto peggio.

    Allora c’era uno Stato preso alla sprovvista;
    pur pagando un prezzo alto, trovò una compattezza e una compostezza che ci valse la stima del mondo.

    Adesso, a parte il premier Conte (forse), più nessuno crede che ‘andrà tutto bene’.

    Questa perdita collettiva di fiducia è l’effetto collaterale più grave di un devastante ritorno di fiamma del virus, certamente;

    ma anche di una tragica impreparazione sia a prevederlo che a gestirlo.

    Un’anestesista racconta (una voce tra mille e mille):
    «Quello stanzone così pieno, tutti questi malati proni di cui non puoi neanche vedere i volti, 7 mesi cancellati, tutto troppo triste».
    Qualcosa di più che triste.

    Il virus ci sta usando per riprendere slancio, per moltiplicarsi.

    Ha bisogno che i nostri corpi entrino in contatto con altri corpi, più siamo e meglio è.
    Per lui.

    Trasporti pubblici affollati, con la calca per infilarsi in un vagone della metro o sul predellino di un bus?
    Magnifico.

    Sciatori in coda per il primo weekend sulle piste?
    Perfetto.

    Spostamenti sui treni locali di gruppi di pendolari, per esempio verso Monza, dove c’è un picco tra i più preoccupanti?
    Benissimo così.

    Limitandoci all’Europa:
    il Sars-Cov-2 è risorto, le Borse affondano, gli Stati arrancano, il nostro purtroppo più di altri.

    E pensare che avevamo quasi vinto, almeno noi.

    Il 2 agosto contavamo 239 nuovi contagi e 8 morti.
    Eravamo in salvo.
    La cura italiana aveva funzionato.

    Invece di lavorare come matti, per rafforzare le difese, ci siamo messi a cantare e ballare;

    abbiamo rimandato di applicare il tanto che la prima ondata ci aveva insegnato e di colmare le mancanze strutturali che avevano contribuito allo sconquasso.

    Le gare per la fornitura di tamponi rapidi e per il potenziamento delle terapie intensive sono partite il 29 settembre e il 2 ottobre, quando i buoi erano già fuori dalla stalla, la burocrazia rallentava il rallentabile, si lasciava che si spegnesse la già flebile sintonia tra governo centrale e Regioni.

    Qualcuno ha chiesto scusa?
    Non risulta.

    Qualcuno ha avuto la dignità di guardare negli occhi la nazione per dire «abbiamo sbagliato, non difendiamo l’indifendibile; ripartiamo consapevoli dei nostri errori»?
    Niente.

    Solo un penoso scaricabarile tra ogni singola parte del variegato mosaico di chi è chiamato a gestire la ‘cosa pubblica’.

    Il risultato è la catastrofe, non solo sanitaria, verso cui ci stiamo speditamente avviando.

    Le 10 ore di coda per un tampone a Roma sono l’emblema, uno a scelta, di uno Stato allo sbando.

    Nelle ultime 2 settimane il numero dei positivi si è moltiplicato x 6.

    Adesso i morti superano i 200 al giorno e i contagiati sono oltre 30.000 in più, da una sera all’altra, con la curva in costante impennata.
    La peggiore curva, in Europa.

    Con tutta evidenza la pandemia è fuori controllo e anche l’Italia, per la prima volta, rischia di diventarlo.

    Da Trieste a Palermo si moltiplicano e incattiviscono le manifestazioni di tutte le categorie toccate dall’ultimo DPCM
    – il 12°, dal 23 febbraio –
    presto ci sarà il 13°, e il 14°, alla disperata rincorsa di un virus che, però, sembra aver innestato un’altra marcia.

    Sono proteste alle quali non eravamo più abituati e tantomeno pronti, figlie di un disorientamento generale e di preoccupazioni anche comprensibili

    (‘se adesso ci chiudete, come faremo a sopravvivere, con tutto quello che abbiamo già perso?’)

    alle quali si mischiano la rabbia delle periferie e il calcolo destabilizzante di gruppi di estrema destra, fuorilegge;
    di agitatori manovrati anche da lontano, per esempio da chi ha tutto l’interesse che Italia ed Europa implodano.

    Italiani angosciati, estremisti di professione, mercenari al servizio di ‘Stati – iena’, che fiutano l’occasione di addentare una preda indebolita e afflitta:

    uno scenario delicatissimo, con i primi feriti tra le Forze dell’Ordine, chiamate a contenerlo e con il terrore che ci scappi, prima o poi, un incidente – simbolo.

    Povera patria, se succederà.

    Ripartiti in grave ritardo, a difenderci, adottando misure che per adesso non frenano il Coronavirus e, inevitabilmente, danneggiano parti del nostro tessuto economico, viviamo ore in precario equilibrio, su un filo sottilissimo.

    Eppure la consapevolezza della gravità estrema del momento non sembra compresa.

    Prevale un tatticismo in ordine sparso:
    un governatore chiude le scuole della sua regione;
    un altro abolisce l’orario del coprifuoco (salvo poi rimetterlo);
    un leader della maggioranza attacca le decisioni dell’esecutivo di cui fa parte;

    il leader dell’opposizione va in Parlamento senza mascherina e annuncia che non ci sarà una 2° ondata, mentre la 2° ondata ci sta già travolgendo.

    In attesa di un vaccino che non arriverà a dicembre

    (imperdonabile l’errore di Conte di continuare a promettere l’impossibile:
    su larga scala non ne disporremo prima dell’autunno 2021)

    avremmo bisogno come il pane, anzi come l’aria che proprio il virus ci fa mancare, di una strategia chiara e onesta, alla quale contribuiscano tutte le tribù di cui è composta l’Italia, finalmente disposte a disarmarsi per unirsi, almeno il tempo necessario a scongiurare il peggio che avanza.

    Chiamatela come preferite:
    unità nazionale, regia condivisa, concertazione d’emergenza.

    La minaccia oscura, incompatibile con il nostro stile di vita, non si dissolverà da sola.

    E il tempo che ci siamo incoscientemente lasciati per fronteggiarla è molto più corto delle prossime 2 o 3 settimane, che paiono essere diventate la nuova frontiera prima dell’ora x, quale che sia”

    da giovanni   - sabato, 31 ottobre 2020 alle 09:04

  8. Oggi pomeriggio ero a Savona: ho visto tavolini dei bar gremiti di persone allegre e festeggianti, famigliole orgogliose del o dei pargoli truccati da vampiro che entravano a gruppi nei negozi dicendo “dolcetto o scherzetto” comitive di ragazzini, molti non tanto ini, truccati con finto sangue che grondava da finti denti. Le uniche cose che mancavano erano le mascherine e il distanziamento. Mi sono venuti in mente quelli che quest’estate sono andati allegramente in Croazia e in Grecia, hanno festeggiato da briatore, hanno affollato le discoteche ecc. E’ vero che la responsabilita’ principale di questa carneficina e’ in alto (Fontana, se ci sei batti un colpo!) ma esiste anche una responsabilita’ individuale: criticare sempre e comunque e trasghedire le regole sentendosi molto furbi e’ un atteggiamento molto diffuso e una delle cause per cui stiamo allegramente precipitando nel baratro

    da Liliana   - sabato, 31 ottobre 2020 alle 21:23

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