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dic 14

Racconto un sacco di balle, ma se lo chiamo storytelling…

Dicesi storytelling un complesso sistema di pubblicazioni, notizie, modi di comunicarle, stili innovativi, segnali mediatici, ripetizioni ossessive perché il concetto entri anche nelle teste più dure, nuovi approcci, citazioni. Insomma un po’ tutto quello che una volta si chiamava “comunicazione” e ora fa più fico dirlo in inglese. “L’arte del raccontare storie impiegata come strategia di comunicazione persuasiva”, dice il vocabolario. Ecco. Ora va da sé che il confine tra storytelling e leggenda metropolitana è un po’ labile e viene ogni giorno superato. Molto spesso invece impatta con la realtà con la potenza di un frontale tra camion e allora si crea un effetto lisergico: da una parte lo storytelling, e dall’altra quello che succede veramente. Ora si può scegliere, naturalmente: abbeverarsi alla leggenda, che si ripete nella speranza che qualcuno la prenda per vera, oppure guardare ai fatti. Immaginiamo, per esempio, un medio imprenditore tedesco, o cinese che voglia investire qui. Potrà valutare lo storytelling corrente e ben oliato dai media – ottimismo, ripresa, riforme, Jobs act, camice bianche, ministri da copertina, modernità, parole inglesi – oppure valutare lo stato delle cose: leggi complicatissime, giustizia lenta, corruzione, malavita, er Guercio, il mondo di mezzo e altro ancora. Potrà leggere i discorsi “luminosi e progressivi”, oppure i titoli delle inchieste in corso. I recenti fatti di cronaca, per esempio, rendono l’attuale storytelling governativo, tutto incentrato sul futuro, un po’ fuori luogo. Bella storia, insomma, ma smentita ogni giorno. Si è provato, è vero, all’inizio e per un annetto a ridicolizzare che si opponeva al racconto sorridente, ottimista e positivo ( “gufi”, è già parola soprassata, sepolta), ma poi le smentite della realtà si sono fatte implacabili, e quel racconto, quello storytelling, oggi non sfonda più, non conquista. Non perché gli manchino elementi di fascino: a chi non piacerebbe essere moderni, carini, sexy, glamour, con un’economia frizzante e un governo di ragazzini ben pettinati? Piuttosto perde credibilità perché fornisce immagini troppo distanti dalla realtà che si vive ogni giorno. In certi casi, insomma, anche se è inglese e fa fico, costruire un elaborato racconto – una narrazione –  troppo lontano da quel che accade può trasformarsi in autogol.
Un caso di scuola è l’uso del concetto di “futuro” per la nuova classe dirigente renzista. Lasciamo da parte gli slogan facili e leopoldeschi e prendiamo invece il succo: faremo, saremo – o meglio torneremo ad essere – svilupperemo, cresceremo, attireremo capitali stranieri, eccetera eccetera. Lo storytelling è positivo e ottimista e si lascia intendere che domani andrà tutto molto meglio. Intanto, non domani ma oggi, uno non riesce ad avere un appalto perché non conosce nazisti dell’Illinois, o di Roma, oppure viene licenziato, oppure viene demansionato, oppure ascolta la solfa dell’abbassamento delle tasse più poderoso dai tempi di Ramsete II e si trova a pagarne di più. Ecco, allarme: lo storytelling renziano è molto distante dalla realtà. Futuro è un concetto luminoso ma distante, mentre qui e ora di luminoso c’è pochino. E siccome sanno tutti che per avere un buon futuro si parte da oggi e non da domani, la storia scricchiola, stona, suona falsa, e può diventare irritante. Si richiede un veloce ridisegno dello storytelling, una cosa che in italiano potrebbe suonare così: “Su, ragazzi, raccontatecene un’altra, che questa non ha funzionato”.

5 commenti »

5 Commenti a “Racconto un sacco di balle, ma se lo chiamo storytelling…”

  1. Trovo interessante come la moderna democrazia, e parliamo del più alto gradino dell’evoluzione umana, sviluppi fenomeni come questo storytelling.

    da Marco da Zurigo   - mercoledì, 10 dicembre 2014 alle 12:48

  2. La prima volta che La leggo. Assolutamente centratissimo, complimenti.

    da Marco Voci (Ferrara)   - mercoledì, 10 dicembre 2014 alle 13:00

  3. Io invece ti seguo da quando la mattina mi svegliavi con i NOFX a piovono pietre – poi andavo a scuola. Da allora non ne hai sbagliata una. Bravissimo

    da federico_79   - mercoledì, 10 dicembre 2014 alle 14:01

  4. un pensiero per Matteotti, che aveva portato in Parlamento una verità simile a questa, ottant’anni fa (buon sangue non mente, avrebbe detto Pasolini… e penso a quelli di Casa Pound e dintorni, che discettano di “fascismo delle origini” – eccolo qua, il fascismo delle origini, Carminati e Giusva Fioravanti)

    da giuliano   - mercoledì, 10 dicembre 2014 alle 21:03

  5. Quando finalmente giungeremo alla meta carponi col sedere scoperto e magri come grissini il buontempone incantatore di serpenti, sbattendosi con finto rammarico la mano sulla fronte ci dirà: acc… mi sono sbagliato… Ho fatto cattive scelte!… Poi, più bello del sole ricomincerà con una nuova storia, strategica più che mai per il bene del Paese….

    da Vittorio Grondona   - giovedì, 11 dicembre 2014 alle 09:55

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