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mer
26
nov 14

Finalmente elezioni a risultato immediato: hanno votato in 36

Forse è questo che intende Matteo Renzi quando dice che sogna un Paese dove la sera stessa delle elezioni si possa sapere chi ha vinto e chi ha perso. Giusto. Bello. Basterebbe che votassero in trentasei: poche schede da contare, percentuali presto fatte, seggi assegnati e seccatura archiviata. Rito antico e democratico, novecentesco, polveroso, retorico, che noia, che vecchiume. Perché poi, di tutte le spiegazioni, le sottili analisi, le elaborate elucubrazioni di questi giorni sul clamoroso astensionismo (soprattutto in Emilia) se ne dimentica una che non è un dettaglio: il valore del voto degli italiani è piuttosto in ribasso. La riforma delle provincie, di cui si parla da quando Matteo faceva il boy scout, si è tradotta in una semplice abrogazione del voto. Cioè, le province sono ancora lì, con i loro presidenti e i loro consiglieri, ma nominati (anche in seguito a vergognosi accordi tra partiti) e non più eletti. Al Senato peggio mi sento: anche lì resteranno gli scranni, il mirabile palazzo, i senatori che potranno legiferare persino sui temi etici (in soldoni: la vita e la morte), ma non ce li manderà l’elettore italiano. Saranno nominati anche loro, su base regionale. Ecco. Assistiamo dunque allo spettacolo d’arte varia di gente – commentatori politici, corsivisti, esponenti di questa o quella corrente –  che si rammarica per l’astensionismo dopo aver applaudito sonoramente due riforme che toglievano il diritto di voto agli italiani per istituzioni fondamentali. Si aggiunga che senatori e consiglieri provinciali verranno nominati proprio dalle regioni (e dai sindaci), dunque avremo, per dire, un Senato nominato da consigli regionali eletti da un’esigua minoranza di cittadini.
Siccome la cultura politica da queste parti somiglia a quella calcistica, il giovane Premier ha fatto notare che l’importate è la vittoria. Al novantesimo, con gol di mano, in fuorigioco, con due avversari a terra, ma che importa, conta vincere. E dunque l’astensione è diventata un problema “secondario”. Sarà. Resta il fatto che l’aria è un po’ cambiata. Qualcuno ricorderà (ok, va bene il paese senza memoria, ma sono passati solo sei mesi!) il garrulo entusiasmo con cui Renzi e il renzismo vennero accolti dal paese. Primarie affollate, urne piene alle Europee, il mitico 41 per cento ripetuto come un mantra ad ogni uscita pubblica dei giannizzeri del re. Un paese ipnotizzato e innamorato, ansioso di vedere la realizzazione delle sorti luminose e progressive che si promettevano ad ogni passo. Ora, quell’entusiasmo sembra in fase calante. Faremo questo in febbraio, questo in marzo, questo in aprile. Poi passano febbraio, marzo, aprile e tutti gli altri mesi del calendario, e non si vede granché, e soprattutto quel che si vede non piace. Sarebbe questo, tutto il nuovo che si diceva? Mah. Fosse ancora vivo, quell’entusiasmo della prima ora, alle urne ci si sarebbero precipitati, emiliani e calabresi. E invece no. In più, dopo aver discettato per mesi su renziani della prima e della seconda ora, ecco spuntare un nuovo soggetto, che sarebbe l’anti-renziano della seconda ora. Quello diventato più critico, quello che così come ha dato credito ora se lo riprende, o lo congela, che frena gli entusiasmi. Comunque sia, è vero: settecentomila voti che se ne vanno su un milione e duecentomila potrebbero essere un problema secondario, ma solo se avranno voglia di tornare. Se invece se ne staranno fuori, a guardare, sconsolati e orfani, il problemino potrebbe diventare primario.

4 commenti »

4 Commenti a “Finalmente elezioni a risultato immediato: hanno votato in 36”

  1. Punto di non ritorno di una politica arrogante ed autoritaria fintamente di rinnovamento.

    da Michele Corso   - mercoledì, 26 novembre 2014 alle 10:03

  2. Presso il notaio Ludovico Peregrini (oltre che su questo blog) è certificata la data certa del mio schifo per Renzi.
    Da sempre e per sempre: Renzi sucks.

    da david   - mercoledì, 26 novembre 2014 alle 11:35

  3. Si potrebbe anche pensare che un certo astensionismo sia voluto.
    Se solo ‘uno zoccolo duro’ va a votare , il gioco per i manager politici diventa più facile.
    Lo dimostrano le elezioni in Svizzera e negli USA, dove misere partecipazioni sono la regola da molti anni, con grande influsso positivo sulla ‘stabilità’ politica di questi paesi!
    In fondo in ogni paese a regime liberale, il voto è un optional. Quello che conta sono i soldi (una volta si diceva il capitale) …

    da Marco da Zurigo   - mercoledì, 26 novembre 2014 alle 11:51

  4. Essere democtratici col rischio di farsi togliere la seggiola del comando da sotto il sedere a qualcuno non conviene poi tanto. Renzi, per esempio, l’ha capito e adesso che finalmente si trova al potere per grazia ricevuta, si tura il naso e cancella il voto per le Province e per il Senato, troppo pericoloso soprattutto in questo periodo di crisi e di malcontento generale. Sfido che per lui il calo dell’affluenza alle urne sia a tutti gli effetti un problema secondario. L’ideale sarebbe che alle urne si presentassero solo i suoi parenti più stretti. Anche il voto in Parlamento diventa critico per questi personaggi arroganti e allora è meglio fare appello alla disciplina di partito. Bersani, per altro esempio, c’è cascato in pieno votando a malincuore il jobs act renziano. Mi viene in mente il monito di Papa Francesco quando a Strasburgo dice che l’ Europa non deve ruotare intorno all’economia, ma intorno alla sacrilità della persona umana… Ecco, parafrasando con rispetto il concetto papale io personalemte penso che i politici non devono ruotare intorno alla disciplina del partito, ma anche loro intorno alla sacrilità della persona umana. Le tutele crescenti lasciamole in bocca ai venditori di parole, ai lavoratori le tutele servono fin dal primo giorno di lavoro, proprio come esseri umani e non come schiavi imploranti a servizio senza diritti della prepotenza del potere politico/economico.

    da Vittorio Grondona   - mercoledì, 26 novembre 2014 alle 19:23

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