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L’Italia come un grande piumino. O preferite un piatto di paccheri?

Bravo, bravo, bravo il signor Remo Ruffini che prende i piumini Moncler, li rilancia, li porta in Borsa, trionfa su tutti i giornali, viene additato come esempio dell’Italia che funziona eccetera eccetera, e fa fare la òla a tutti. Avessi un’azienda di piumini, non c’è dubbio, l’affiderei a lui. Un Paese, invece, ecco, un Paese inteso come nazione con dentro sessanta milioni di persone, ci andrei più cauto. Lo stesso vale per il signor Farinetti, abilissimo venditore di cibo italiano: giù il cappello anche per lui, ma sentirlo discettare in tivù di riforme elettorali come se parlasse di pasta di grano duro mette una certa inquietudine. Pare che l’imprenditore, specie quello di successo, quello baciato dalla sorte, meglio se cool, sia diventato (e non da oggi) una specie guru della rinascita, un consigliori di massimi sistemi , uno che dice immancabilmente cose come: “se l’Italia fosse come la mia azienda”… Ecco. Forse un po’ naïf e impreparato al fuoco dei grandi media, anche il signor Ruffini, quello bravo dei piumini, ci casca con tutte le scarpe. Vede l’Italia, dice incauto in tivù, come un’azienda, come un brand, “come un grande Moncler”. E tutti, invece di chiamare l’ambulanza, annuiscono felici.
Sarà che la politica ha attualmente così poche ricette in tasca che si cercano risposte ovunque, anche tra le piume d’oca. Sarà che vedere qualcosa che funziona è così raro che domina la tentazione di dire: facciamo così. Eppure gli esempi a disposizione non è che rassicurino. Per dire: Milano ha avuto per anni un sindaco, Gabriele Albertini, che diceva di essere “l’amministratore del condominio”. Poi faceva comprare allegramente alla città (coi soldi dei condomini) titoli tossici per milioni. Quanto a quell’altro, il ben noto mister B., meglio tacere. Ci ha talmente frullato i cosìddetti per anni con la solfa che lui era un grande imprenditore, che poi abbiamo visto che imprese ha fatto sul Paese, e dunque Dio ci scampi.
Il fatto è che un Paese non è un’azienda. Punto. Perché altrimenti bisognerebbe chiedersi chi sono i cittadini. Clienti più o meno soddisfatti? Azionisti? Dipendenti? Quale azienda potrebbe avere un terzo dei suoi addetti vicini (o sotto) alla soglia di povertà? E quale Paese potrebbe permettersi di agire con i meccanismi di un’azienda, dove quello che rende va bene e quello che non rende si taglia? Le scuole, gli ospedali, le pensioni sono costi che un’azienda non sopporterebbe. E che uno Stato, invece, per meritare questo nome, deve sostenere eccome, e migliorare continuamente. E spendere per gli investimenti, certo (una buona scuola, una buona sanità, sono investimenti a lungo termine), ma anche spendere a fondo perduto: l’assistenza, l’aiuto a chi non ce la fa, la garanzia per tutti i suoi cittadini di una vita decorosa. Insomma, da qualunque parte la si guardi, la faccenda non regge e andrebbe archiviata tra le panzane italiane di grande presa e di nessuna sostanza. Una specie di paradosso che però viene preso sul serio. Un’azienda. Incredibile. Ok, le pensioni non rendono, da domani riconvertiamo e facciamo torrone al pistacchio. Basta con questa faccenda della sanità, da domani ci buttiamo sulle gomme da neve. Insomma, pura follia, magari in attesa della grande delocalizzazione: il welfare italiano? Facciamo in Romania, che costa meno. Bravi, eh, certi imprenditori, nulla da dire: c’è una cosa che sanno fare bene. Ecco, continuassero a fare quella, sessanta milioni di dipendenti (un terzo dei quali molto precari) si sentirebbero meglio.

5 commenti »

5 Commenti a “L’Italia come un grande piumino. O preferite un piatto di paccheri?”

  1. lo stato è diventato un’azienda con l’inserimento del pareggio di bilancio nella Costituzione; peggio di così solo il fatto che allora hanno votato contro solo e Lega e IDV

    da david   - giovedì, 19 dicembre 2013 alle 10:42

  2. Rido di gusto. Piumini a parte, leggo un po`dovunque che l`agroalimentare e il turismo sono le grandi risorse dell`Italia, che tutto il mondo ci invidia. Avete cancellato tutto il resto (meccanica, treni, industria di precisione, elettronica), in nome di una decrescita felice. Cosi`adesso vi beccate Farinetti e le sue cazzate. Siete alla frutta, ma vuoi mettere il gusto della frutta biologica E a km zero?

    da Enrico Marsili   - giovedì, 19 dicembre 2013 alle 11:45

  3. intanto Renzi ha ribadito che se l’articolo 18 venisse “sospeso” per i lavoratori precari e questi si accontentassero di un risarcimento al posto del reintegro…vedreste il volo degli indici di occupazione!!! Se poi si riuscisse a convincere tutti, ma proprio tutti, persino un Robecchi o un Crozza, per dire, che mentire fa sempre meglio che intestardirsi a voler trovare una qualche verità… vedreste che Italia stupenda avremmo :-)

    da Tiziana   - giovedì, 19 dicembre 2013 alle 15:27

  4. Uau, vedo che Enrico Marsili vive in un mondo dei sogni in cui nella quasi totalità dell’ultimo decennio ha governato Alex Zanotelli anziché Silvio Berlusconi!
    Chi ha fatto decadere l’industria, gli odiati umanisti, o, giusto per fare l’esempio dei treni, tipetti alla Marchionne che hanno deciso che la speculazione finanziaria e la delocalizzazione deregolata rendevano più della produzione?

    da abesibe   - giovedì, 19 dicembre 2013 alle 15:45

  5. Vi ricordate la storia del ciabattino che criticò l’artista?
    Storia vecchia , vecchissima anzi … saggezza dei tempi remoti …
    Eppure mi sembra ancora attuale, basta mettere l’impreditore al posto del ciabattino…

    da Marco da Zurigo   - venerdì, 20 dicembre 2013 alle 00:37

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