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ven
3
mar 06

E’ l’EcoNOmy, bellezza

Dopo il fordismo e il post-fordismo, gli imprenditori italiani scoprono un’altra conveniente ideologia economica: il comunismo. Almeno 500 imprese italiane operano stabilmente in Cina, moltissimi progetti sono avviati e un’infinità di iniziative economiche congiunte tra imprenditori italiani e apparato comunista cinese sono in corso. Per alcuni piccoli e medi industriali italiani (macchinari per il tessile, per la lavorazione del legno o della pelle), il comunismo cinese è una questione di vita o di morte. Sembra strano dirlo, ma è molto probabile che il capitalismo italiano verrà salvato dai comunisti cinesi. Di questa antica ideologia (peraltro inventata in Europa) gli imprenditori italiani apprezzano soprattutto i bassi salari che confinano con la schiavitù, l’assenza di protezioni sindacali, l’allegra licenziabilità dei dipendenti, che all’occorrenza è possibile far picchiare dalla polizia comunista. Purtroppo il comunismo non è ancora entrato a pieno titolo nella cultura imprenditoriale italiana. Più di noi investono in Cina Germania, Gran Bretagna, Francia e persino la piccola Olanda. Che aspettiamo dunque ad abbracciare il comunismo cinese? La tentazione di fare magliette a costi cinesi e venderle poi a prezzi italiani non è dunque ancora così forte? Per incoraggiare, anche il linguaggio cambia e si adegua. Una volta si diceva “Made in Italy”, ma ora che è fatto in Cina la dizione è obsoleta, e si dice “Sistema Italia”. Che vuol dire: ha tutto il fascino italiano, anche se lo facciamo in Cina risparmiando un sacco di soldi.

Nel 2003 gli investimenti italiani in Cina ammontavano a 320 milioni di dollari, contro gli 860 della Germania. Il Pil della Cina cresce a un ritmo di oltre il 9 per cento l’anno e si calcola che oggi la Cinma produca circa il 13 per cento del pil mondiale (fonte Ice)

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