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mag 07

Il puzzle della città – Intervista a Stefano Boeri

Che una città ne contenga altre si sa. Non funziona come a Sim City, che la città la tiri su dal niente come ti gira e poi passi giornate intere a litigare con i tuoi cittadini. Troppo traffico! Troppa delinquenza! E aggiungo io: troppo facile!
Dunque parli di Milano e intendi una Milano, due o tre, alcune Milano. Ed è per questo che si emerge strabiliati dalla lettura del volume curato da Multiplicity.lab e coordinato da Stefano Boeri, Milano, cronache dell’abitare (Bruno Mondadori). Una ricerca promossa dalla fondazione Unidea (Unicredit), che compone e scompone questo immenso puzzle del vivere e sopravvivere qui. Perché a Milano si abita nei loft e nelle macchine in sosta. Nelle baraccopoli e nei residence. Negli ostelli e nei letti in affitto. Negli alberghi di lusso e tra le muffe ataviche delle case popolari. Si abita nei negozi, nelle case borghesi e nelle enclave etniche. Il puzzle si complica, e la cronaca ne regala ogni giorno un nuovo tassello. Sistematelo un po’, se siete capaci, nel disegno generale.
Lui, Stefano Boeri, è docente di progettazione urbanistica al Politecnico milanese, ma anche qualcosa in più. Dopo anni al timone di Domus, sta per prendere il comando di Abitare, altra bibbia dell’architettura mondiale. E’ uno che guarda e dice. Dice anche questo, proprio nelle prime righe del libro: che abitare a Milano è “complicato ma anche entusiasmante”. Ho capito bene?

Architetto Boeri, “complicato” va bene, ma “entusiasmante” ce lo deve spiegare…
Per questa ricerca siamo partiti dalla cronaca, dai giornali, da quel che si legge, da quel che si racconta. E da lì siamo arrivati all’abitare. Così abbiamo scoperto, in qualche modo scovato, una grande ricchezza di tattiche dell’abitare, anche in luoghi solitamente non residenziali. Uno sforzo e una capacità di adattamento strabilianti. Spesso pensiamo, sbagliando, che Milano sia lenta e arrugginita, in ritardo rispetto alle altre grandi città europee. In realtà emerge che trasformazioni piccole, invisibili, interne, sono continuamente in atto. Al contrario di quanto avviene altrove, Parigi, Francoforte, Barcellona, la stessa Torino, dove la grande opera determina il cambiamento della città, qui ci sono cambiamenti più piccoli e sotterranei, ma continui. E’ vero, la città appare lenta, eppure il suo codice genetico è una frenetica, molecolare capacità di cambiare.
Pratiche quotidiane più veloci delle grandi trasformazioni strutturali?
Più veloci, sì. Ed esprimono meglio i desideri e i bisogni. Ho usato il termine “molecolare”, mi scuso se è una parola un po’ di moda, ma rende l’idea. E questo si vede dalla cronaca. Scantinati abitati, negozi abitati, appartamenti che subiscono ogni trasformazione possibile in orizzontale e in verticale, i sottotetti recuperati. E poi hai l’abitare nello spazio pubblico, si abita in macchina, al parco, alla stazione…
Poco entusiasmante per i reumatismi…
Ma certo, grandissima parte di questi adattamenti vengono da situazioni di disagio, di grande difficoltà. Ma quello che è entusiasmante è constatare l’esistenza di una città vivissima, dinamica, che va avanti al di là dei limiti delle politiche pubbliche sulla casa.
Mi sta dicendo che le solite mappe sociologiche non riescono a spiegare tutto?
Esatto. Siamo abituati a pensare che le innovazioni vengano quasi sempre dall’alto. Qui invece esiste uno sforzo diffuso di auto-organizzazione dello spazio, che funziona, che dà risposte. E poi c’è una cosa davvero entusiasmante: a Milano, ovunque ci sia una situazione di disagio, bene, trovi sempre qualcuno che se ne occupa. Che sia il volontariato cattolico, o laico, il centro sociale, il comitato di zona. Tutti in qualche modo sostituiscono un ruolo che dovrebbe essere svolto dalla politica.
Buona notizia, ma anche pessima notizia, perché la politica non c’è.
Certo. E non sono poi solo buone notizie. Per esempio si sa che Milano è un arcipelago, tante isole, spesso poco collegate tra loro, dove la comunicazione è scarsa o inesistente. Anche con picchi di eccellenze di altissimo livello, in tutti i campi, e questa è un’altra cosa entusiasmante. Tutti noi siamo chiusi in queste monadi, spesso in comunicazione con il mondo, da New York a Shangai, ma magari senza contatti con chi sta due vie più in là. Queste isole sembrano bastare a se stesse, non si prendono cura dello spazio pubblico. E non comunicano. C’è una specie di nebbia, un anonimato urbano diffuso che ha immense eccellenze, ma non comunica. Ma questa assenza di comunicazione ti sorprende E ti fa scoprire ogni volta aspetti diversi, isole nuove, per così dire… Nel bene e nel male…
Già, nel bene e nel male. Perché poi, le conclusioni del vostro lavoro, gli scenari futuri, propongono grosso modo due orizzonti. La città-mondo delle differenze etniche e delle tante comunità culturalmente indipendenti. E la città-set, una specie di palcoscenico permanente di eventi a tema, una specie di vetrina. Mi scusi, Boeri, ma questo mi sembra uno scenario agghiacciante, alla Ballard…
Attenzione, sono caricature, non previsioni. E’ il portare alle estreme conseguenze il disegno di questa mappa aperta…Bisogna pur capire i rischi che corriamo…
Mi sembra che la città-set sia in grande vantaggio, al momento…
Beh, in una prospettiva geopolitica di competizione tra le città, Milano capitale della moda, del design, eccetera…Sì, si direbbe che è così. Ma ci sono altre prospettive di sviluppo che invece di dividere possono unire. A Torino, per fare un esempio, insieme al Comune e ad Abitare abbiamo lanciato l’idea di un grande progetto sul geo-design che fa lavorare insieme le comunità etniche, i designer internazionali, le imprese locali. Le comunità di utenti diventano anche imprenditori di quegli utensili che nascono da loro esigenze e desideri. Un progetto rivoluzionario, davvero.
Questo sarebbe un incrocio possibile tra la città-mondo e la città-set…
Esatto. Produrre in serie, fare una specie di anti-salone in cui si racconta come il design sia anche questo, come certi oggetti che nascono da un problema di sopravvivenza possano poi dire la loro in campo estetico e produttivo. E trasformare in imprenditori chi li inventa.
In effetti se riesci a vedere tutte le isole l’arcipelago non è male. Però tutto pare affidato ai bisogni e ai desideri, e il pubblico non c’è, la politica non c’è… Gli orizzonti al momento sono l’Expo e una tangenziale sotterranea, un po’ poco…
La politica sulla città non c’è, né da destra né da sinistra. Vero, innegabile. Eppure se venisse usata in modo intelligente, l’Expo potrebbe funzionare. Condividi un obiettivo, ma quello che è interessante è il processo per arrivarci. Io credo per esempio che partendo dalla struttura molecolare che abbiamo detto, sia il momento di fare una grande campagna per trasformare il terziario in residenza, l’inverso di quel che è successo negli anni Settanta e Ottanta. Perché non usare questa capacità molecolare per un progetto simile? A partire dai vani di proprietà comunale, ma anche arrivando ai privati. Una grande campagna per riportare la gente a vivere in centro, i giovani, le coppie…
Ma questo è un sacrilegio, Boeri. E il mercato? E i 10.000 euro al metroquadro?
Per questo dico che sarebbe una grande campagna, ambiziosa, che sfidi anche certe leggi del mercato che però, va detto, sono spesso gonfiate, artificiali. Alla fine cos’è il mercato? E’ il sistema delle proprietà immobiliari, ma anche la costante capacità di riuso di queste proprietà. I sottotetti fanno spesso schifo, sono mostruosi, non c’è dubbio. Ma che a Milano si possa modellare lo spazio che si abita è positivo, che si possa piegarlo ai bisogni e ai desideri, è anche questo, scusa la parola, entusiasmante…Non c’è dubbio, la città-set di eventi temporanei è un grande fattore di gonfiamento della politica dei prezzi.. Ma attenzione, abbiamo anche un tredici per cento di cittadini di recente acquisizione. Forze nuove, giovani, che diranno la loro, che non possiamo continuare ad espellere dalla città.
Ok, mi arrendo. La mappa è troppo complessa e l’arcipelago troppo affollato. A Sim City non si può giocare. Ma qualcosa di grosso, che lasci il segno, si potrebbe fare?
Ma sì! Una cintura di bosco intorno alla città. Parco Sud, Parco di Trenno, Parco Nord, Lambro, Forlanini. Immense risorse da legare tra loro, dare un confine…
Milano in mezzo al bosco, pazzesco…
Poi il più grande parco delle culture in Europa, che vuol dire il Parco Sempione con la Triennale, il Castello, il Dal Verme, il Piccolo ma anche con l’Arena e la stazione Cadorna. Dagli un biglietto unico, paga il metrò a chi ci viene… non è così eversivo alla fine, la Triennale lo faceva già, in passato… E poi anche un centro del contemporaneo, al posto dell’attuale palazzo di Giustizia, che è vicino alla Sormani, che permetterebbe una linea diretta che attraversi la città…
Abbastanza entusiasmante…
Visto? Entusiasmante non poi una parola così assurda, in tutte queste Milano che abbiamo qui a Milano…

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