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apr 14

Gufi, professoroni e Berlinguer. Il Paese che dimentica le parole

Sul divertente paese che non ha memoria si potrebbero scrivere libri, volumi e migliaia di aneddoti. Se solo ce li ricordassimo. Invece, come nei migliori libri horror prevale qui “la mente che cancella”, una specie di ipnosi all’incontrario: anziché addormentarsi e ricordare, si resta svegli e si dimentica. Così si può assistere a spettacoli entusiasmanti come la corsa sfrenata ed entusiasta a ricordare Enrico Berlinguer. Il quale Berlinguer parlava, voleva e lavorava per un’Italia socialista, che se oggi anche solo sottovoce, al bar, di nascosto, uno dicesse una cosa simile (“voglio fare il socialismo”) verrebbe lapidato sul posto, accusato di passatismo, nostalgie, conservatorismo e altre amenità, e arriverebbe forse la polizia. Invece, tutti a vedere il film di Veltroni e uscire coi lucciconi agli occhi: “Ah, quando c’era Berlinguer”. Quando c’era Berlinguer, naturalmente mica lo dicevano in così gran numero, e soprattutto non lo dicevano quelli che vanno alla prima con l’auto blu.
Se dalle grandi figure del passato, poi, si passa alle parole, la memoria è ancora più corta. Per dirne una, il recentissimo uso, con accezione sarcastica e offensiva del termine “professoroni o presunti tali”, ricorda assai da vicino un classico italiano di tutti i tempi: l’astio del potere nei confronti degli intellettuali. Specie di quelli non allineati. Uno con un po’ di memoria potrebbe riandare al Bettino Craxi che tuonava contro gli “intellettuali dei miei stivali”, o addirittura andare indietro fino al “culturame” di mussoliniana memoria, quando chi “disturbava il manovratore” (altra frase  ricorrente qui, nel paese senza memoria) non finiva soltanto deriso e insultato.
Insomma, è una sindrome piuttosto grave: più si argomenta e si sentenzia che “le parole sono importanti” e più si usano quelle vecchie, usurate e anche un po’ lordate dalla storia.
Ed eccoci ad altre parole dell’oggi e dell’altroieri: gufo, per esempio. Di derivazione sportiva oggi prestato alla politica. Parola parente di un’altra che riecheggia (ed è pure stata usata recentemente): disfattista. Cioè colui che tifa per la sconfitta, intendendo, naturalmente che chi vince o sta vincendo, o prevede di vincere è il buono, e gli altri, tutti cattivi. Cose già viste, ovviamente, poi archiviate e soavemente dimenticate. Tra queste, oltre al sempiterno uomo della provvidenza, c’è l’eterna questione della fiducia. La radicata credenza popolare per cui se ci credi ci riuscirai, nonostante alcuni milioni di fatti che l’hanno smentita nei secoli, fa ancora breccia. E si sposa con la ben nota teoria dell’ultima spiaggia: o me o il disastro, ritornello preferito di chi governa il paese. Lo diceva Silvio buonanima, lo si disse per Monti, lo si disse per Letta e lo si dice oggi, misticamente immemori. E poi c’è il divertente testacoda del potere en travesti che si finge opposizione. Silvio fece il politico per vent’anni (prima di dedicarsi all’animalismo militante) convincendo tutti che non era un politico. Oggi abbiamo un premier circondato dall’establishment che tuona contro l’establishment, seguito in gran parte da un elettorato che si scaglia contro quella Costituzione che fino a ieri definiva la “più bella del mondo”. Ecco: la mente (collettiva) che cancella. Con il corollario del consiglio fremente e reiterato: bisogna crederci, bisogna crederci, bisogna crederci… E vabbé, uno magari ci crede pure, ma fate il favore, quando si passa a “obbedire” e “combattere”, avvertite dieci minuti prima.

12 commenti »

12 Commenti a “Gufi, professoroni e Berlinguer. Il Paese che dimentica le parole”

  1. Non so se hai notato che nella pagina facebook di Renzi campeggia nel titolo lo slogan “Vincere!” (manca solo “e vinceremo”)

    da Lorenzo   - mercoledì, 2 aprile 2014 alle 09:48

  2. A proposito di mancanza di memoria, le promesse di Tony Renzi somigliano sempre di più a quelle del “contratto con gli Italiani” di Silvio B.. Ieri da Londra (dove ha incassato l’approvazione di Cameron [ma come mai Tony, il campione del centro-sinistra, riceve l’approvazione di tutti i leader di centro-destra?]) ci ha promesso che ridurrà il tasso di disoccupazione al di sotto del 10%, che significa la creazione di 800.000 nuovi posti di lavoro. Silvio ne aveva promessi 1.500.000. Questo fa il paio con la riduzione delle tasse (si comincia con 80 € in busta paga per tutti) e con la riduzione dei reati (giusto ieri una serie di reati è stata depenalizzata, cioè non si tratta più di reati). A quando la costruzione del ponte sullo stretto di Messina e l’aumento delle pensioni? Quanto ai commenti sulla “deriva autoritaria”, bisogna ricordare che al giorno d’oggi non conta tanto la democrazia quanto la governabilità. Il governo ideale è quello della Repubblica Popolare Cinese: il governo decide, il parlamento è chiamato ad approvare entusiasticamente. Non a caso, sono anni che dal Parlamento italiano non esce una iniziativa di legge: il Parlamento si limita a fornire deleghe al Governo o ad approvare decreti-legge governativi o direttive comunitarie. Si dirà che in Italia ci sono una maggioranza ed un’opposizione, ma al dunque tutti votano compattamente (vedi Fiscal Compact e pareggio di bilancio in Costituzione). Le diatribe sono spettacoli ad uso di Ballarò. E se qualche outsider guadagna troppi voti, ecco pronta la “Grande Coalizione”, anche a livello europeo. Si è già detto che, nel caso la rappresentanza degli antieuropeisti populisti dovesse divenire troppo numerosa, si formerebbe una coalizione tra PPE e Socialisti!

    da Confucius   - mercoledì, 2 aprile 2014 alle 10:18

  3. Vorrei correggere che Berlinguer non era socialista, ma comunista. La rimozione della parola comunismo é alla base delle altre amnesie…

    da Federico_79   - mercoledì, 2 aprile 2014 alle 12:43

  4. @Federico, la correzione è senz’altro giusta ma io credo (per quel che vale) che molto probabilmente la rimozione della parola comunismo ci sarebbe stata anche con Berlinguer al posto di Occhetto.

    da david   - mercoledì, 2 aprile 2014 alle 14:35

  5. Le parole sono davvero importanti. Chissà che penserebbe il vecchio partigiano del “credere obbedire combattere” – scritto sui muri della sua giovinezza, e in quelli più spessi della sua memoria – riferito all’attivismo parlamentare della Boschi o delle conferenze stampa – arrogantelle, sì – di Renzi… Malissimo penserebbe, e tirerebbe le orecchie all’editorialista del “Fatto”. Parla di ciò che sai, gli direbbe, e lascia stare ciò che nemmeno immagini. Tu scherzi col fascio per sfottere il lavoro, buono o cattivo che sia, dell’unico partito nella sostanza democratico che abbiamo. Ti rendi conto, direbbe il vecchio Partigiano? Ti offendi se ti dan del Gufo e tu dai del fascio alla Boschi. Sciacquati la bocca e pensa che se l’ideale socialista (o comunista) oggi non rastrella mezzo voto, quella è colpa anche tua. Critica, offendi e sputa su quello che vuoi. Radi al suolo chi ti pare. Ma lascia stare le parole che per te non sono mai state carne. Non strumentalizzarle. Ci guadagni pure dei soldi infilandole nel finale degli articoli. Direbbe così, il vecchio partigiano, ma per fortuna non frequenta i siti (nè il “Fatto quotidiano”) e aspetta solo – coi suoi compagni, se non l’ha già fatto – di andarsene.

    da Simona Poggi   - mercoledì, 2 aprile 2014 alle 15:16

  6. Qualcosa mi dice che il vecchio partigiano non farebbe un patto con Berlusconi per cambiare la Costituzione, diciamo.

    da a.r.   - mercoledì, 2 aprile 2014 alle 15:18

  7. Bravo, Berlusconi è brutto e cattivo e fortuna che ci sei tu che ce lo ricordi ogni giorno. E comunque il vecchio partigiano ti farebbe notare che anche il peggior patto con Berlusconi non somiglia nemmeno lontanamente a quello cui lo paragoni tu, mancando di rispetto – tu, sì – alla memoria del paese. Cresciamo figli che pensano che il fascismo fosse come Silvio, Brunetta, Alfano e Renzi… sarà la volta buona che ce la ritroveremo davanti, la nera parentesi che parentesi non è.

    da Simona Poggi   - mercoledì, 2 aprile 2014 alle 15:26

  8. Brava, giusto. Se abbiamo così paura del fascismo (io ne ho, per esempio), cominciamo a non usarne le parole (quel “disfattista” è brutto assai, eh!)

    da a.r.   - mercoledì, 2 aprile 2014 alle 15:30

  9. Cominciamo tutti, però. Scusa l’ingenuità sulla questione del “disfattista” (c’è l’uso mussoliniano, certo, ma davvero non conosci l’origine della parola?). Non mi scherzare, non son pratica di burle satiriche. Le parole del fascismo – in questa come in altre occasioni – le hai usate tu per primo.
    Il fascismo deve far paura, soprattutto se lo si prova a stanare nel posto sbagliato.

    http://it.wikipedia.org/wiki/Disfattismo

    da Simona Poggi   - mercoledì, 2 aprile 2014 alle 15:42

  10. Sù, sù, ti stai un po’ arrampicando, direi… Facciamo a capirci: il linguaggio corrente ripropone alcuni stilemi “autoritari” (se non vuoi il fascismo, che è sempre tirato in ballo a vanvera, persa agli “intellettuali dei miei stivali” di Bettino) che non piacciono. Tutto qui. Un po’ di ecologia delle parole, ecco, tutto qui. Se lo unisci alle posizioni fideistiche di alcuni ultras il combinato disposto è… sgradevole, ecco. E so benissimo da dove viene la parola disfattismo, grazie. Ma le parole hanno questo di bello (e di brutto) che chi le sporca di più poi sono sue (com’è il caso di “disfattista” o “imbelle”, per esempio).
    In più, (ma questo mi pare veramente in più) naturalmente, nessuno accusa la Boschi di fascismo (se c’è segnalamelo, è un cretino). Dico solo che certe cose non bisognerebbe usarle mai. E non solo le parole…
    ciao
    a.r.

    da a.r.   - mercoledì, 2 aprile 2014 alle 15:48

  11. Ok, vigiliamo insieme sulle parole. E la prossima volta che qualcuno se la prende con intellettuali come Galli della Loggia, Panebianco (insopportabili, posso scriverlo o divento gerarca?), o Sartori (ricordi quando scriveva quella merda contro la Kyenge, povera, come se non ne avesse passate abbastanza), corriamo insieme a difenderli (o sono intellettuali solo Rodotà e Zagreb.?) e tu che puoi scrivici un bel pezzo dove metti tutti in guardia dai picchiatori fascisti…

    Gobetti era Gobetti, Rodotà è ogni sera dalla Gruber, “autoritarismo” è una parola talmente sproporzionata…

    Vabbè, ciao.

    da Simona Poggi   - mercoledì, 2 aprile 2014 alle 16:02

  12. No. Io me la prendo spesso con gli intellettuali che non mi piacciono (alcuni li hai elencati benissimo). Li attacco su quello che dicono, nel caso (spesso). Non direi mai che non sono credibili in quanto intellettuali.
    Un conto è dire: quello ha detto una cazzotta.
    Un conto è non riconoscergli il ruolo di dirla.
    L’atteggiamento sprezzante nei confronti degli intellettuali era un segno distintivo del fascismo (e passi), ma è anche una malattia diffusa tra i leader autoritari…

    da a.r.   - mercoledì, 2 aprile 2014 alle 16:06

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