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Renzi, il Pd e il mio (personalissimo) “che fare?”

Dunque, i dati prima di tutto. Un’affluenza altissima alle Primarie del Pd e un’affermazione mastodontica del nuovo segretario, Matteo Renzi. Due dati che non consentono scorciatoie né letture furbette: al netto delle piccole e grandi polemiche (il voto degli esterni, la grandinata di presenza televisive, la simpatia dei grandi media, anche non di sinistra), Matteo Renzi si prende il Pd con l’appoggio massiccio della base, con una procedura democratica e con pieno merito rispetto agli sfidanti. Gli elettori del Pd, in larga maggioranza gli danno fiducia e gli chiedono di guidare un partito che non ne azzecca una da anni, appesantito da un apparato vecchio e inefficiente (e non parlo solo dei soliti nome-parafulmine, i D’Alema, le Bindi, eccetera, ma del corpaccione del partito, specie nelle realtà locali) e indeciso a tutto.
Dunque, ora non resta che vedere.
Non mancano molti elementi di “antipatia” (categoria non solo politica, a dire il vero), che non varrebbe nemmeno la pena di elencare. L’aplomb da “rampanti” di una parte della sua base militante, per dirne una. Le lodi al decisionismo che ricordano un po’ il craxismo dei primi tempi, la capacità mimetica di un leader che si è saputo vendere come nuovo e viene dritto dritto dallo stesso apparato che dice di voler abbattere. Eccetera. Aggiungo: un sapiente capitalizzare le energie delle generazioni de-ideologizzate, quelle cresciute nell’era del berlusconismo, quelle convinte che siano state le generazioni prima a rovinargli la vita e non invece la vittoria senza se e senza ma delle politiche liberiste. E’ questo – solo questo, ma non è poco – il “berlusconismo” renziano che a volte si evoca. Oltre, s’intende, ad intendere "nuovo" come sinonimo di "migliore", che non è vero quasi mai, specie se non è nemmeno tanto nuovo.
Insomma, un bel mix che andrà controllato passo passo.
Basti dire che c’è oggi tra chi esulta per Matteo Renzi, gente che sperò nella riforma Fornero (uh, vedrai… i precari… lasciamola lavorare…), che sorrise nei primi tempi di Monti, eccetera eccetera. Inesperienze da perdonare. Così come sono comprensibili, anche se non ammirevoli, certe esagerazioni nei toni: un’aspirante classe dirigente che sgomita e aspira ad occupare i posti evacuati dai “rottamati”, a piazzarsi, a far parte dell’onda perché in cima all’onda c’è odore di incarichi e di carriera.
Tutto normale, già visto in altre circostanze e in qualche modo comprensibile. Aggiungerei una componente che ha, nel successo di Renzi (il renzismo verrà), un peso notevole, ed è l’irresistibile fascino della vittoria. Dopo tante delusioni, e pareggi stiratissimi, e sconfitte a iosa, vincere non pare vero, tanto che il “vincere perché”, il “vincere per far cosa” sembra passare in secondo piano. Il leader del primo partito della sinistra italiana è costretto a urlare nel suo discorso di insediamento che “la sinistra non finisce”, come a convincere e a convincersi, bizzarra puntualizzazione, parole dal sen fuggite. E si capisce anche perché, visto che i discorsi sulla tattica impongono ora di verificare lo scontro tra un capo del governo (Letta, Pd, area cattolica, Margerita, Dc) e un capo del partito (Renzi, Pd, area cattolica, Margherita, Dc).
Ma la strategia è quello che più interessa.
Le politiche di Renzi sono state largamente annunciate. A cominciare dall’ideologo finanziere Davide Serra, per proseguire con l’appoggio di vecchi apparati di lungo e lunghissimo corso, per contiuare, come corollario, anche alcune gaffes o fughe in avanti (o indietro?) di certi suoi ultras (Blair, la Thatcher…).  Insomma, il disegno non è ancora chiarissimo, ma si vede in filigrana la trama portante: un liberismo con la faccia più buona, la sostituzione di una lotta generazionale alla lotta di classe (ne ho scritto su Micromega), l’assenza quasi totale di discorsi sulla redistribuzione del reddito e, invece, un ditino alzato verso quelle componenti della società (i pensionati, per dirne una) considerate una zavorra. La meritocrazia senza uguaglianza, cioè di fatto la promessa alle classi dirigenti attuali che a dirigere saranno ancora e sempre loro. Niente di nuovo, a parte i toni, i colori e il linguaggio (non nuovissimo nemmeno quello, peraltro, come dimostra l’ampio uso di stilemi pubblicitari e a volte addirittura veri e propri spot commerciali di grandi marche).
Dunque il paradosso è questo: mentre diventa diverso da sé (rinnovandosi), il Pd diventa sempre più uguale agli altri, al pensiero unico corrente, alle ricette note, ai discorsi già sentiti, ed alcuni, addirittura, sentiti in Europa venti e più anni orsono – e in larga parte falliti (penso alle ricette blairiane, per esempio).
Del discorso primo e sostanziale che un partito di sinistra dovrebbe fare (vorrei dire: sarà prima o poi costretto a fare) non c’è traccia. Non c’è traccia di un programma che punti a stringere un po’ quella forbice tra lavoro e rendita, tra produzione e finanza, tra poveri e ricchi, che in questi ultimi trent’anni si è invece costantemente allargata. Meno poveri e meno ricchi, più garanzie e meno privilegi. Di più per tanti e meno per pochi. Di questo non c’è traccia. Nemmeno un minimo sindacale. La Cgil, per dire (che ha un milione di difetti, si sa, e si vedano gli ultimi discorsi autocritici di Landini sulla necessità di dare rappresentanza ai milioni di lavoratori precari che non ce l’hanno) è stata attaccata nella campagna di Renzi più della classe imprenditoriale e delle politiche che l’hanno favorita , più dei grossi finanzieri (che lo guardano con simpatia, tra l’altro); più dei poteri forti (che ne seguono attentamente le mosse, spesso applaudendo). Sul palco di Renzi abbiamo visto imprenditori (tanti), finanzieri, “affluenti” delle professioni, ma lavoratori zero.
I piccoli passi nel senso di una maggiore giustizia sociale sono vaghi (persino il finanziere Serra parla di aumentare le tasse sulle rendite finanziarie, ma non dice come, né di quanto, né quando, mentre sulle pensioni su fa assai preciso: da lì si aspetta di prendere 10, 15 miliardi, un’enormità, e non parla di pensioni d’oro).
Ora, dunque, buon lavoro.
E ora, che (cazzo) fare?
Per chi da una sinistra moderna spera altre cose è un momento al tempo stesso delicato ed entusiasmante. Delicato perché alternative in giro (sul mercato della politica, dicono quelli che hanno del mercato una venerazione) non se ne vedono. Sel non pare in grado, la paccottiglia nostalgica dà la nausea e le idee forti non si vedono. Entusiasmante, perché cade finalmente (era ora!) il grande equivoco: la sudditanza emotiva, affettiva, politica al Pd come naturale erede del vecchio (anche odioso, anche ingombrante, anche paternalista) Pci non ha più motivo di esistere. Non c’è più. Il Pd è oggi un partito del grande gioco, si misura con enormi differenze dal populismo furbetto e aggressivo di Grillo e dal partito personale e personalissimo di un Berlusconi agli ultimi atti della sua farsa. Ma il disegno grande, quello complessivo, quello che può cambiare la società italiana, non pare così diverso: mercato, mercato e mercato. Ci penserà lui, come ci ha pensato (e si è visto) negli ultimi decenni.
Dunque, liberi tutti.
E trovo ci sia in questo davvero un senso di liberazione, il sospiro di chi si libera di un fardello. Il poco e pochissimo collante ideologico che ancora legava certi “liberi di sinistra” al Pd non c’è più, nemmeno in lontananza.
Si dirà che non è bello essere senza rappresentanza politica, e c’è del vero. Ma tocca anche dire che quando mai c’è stata? Nel Pd dei D’Alema e dei Veltroni? Non direi. Dunque, cade soltanto un equivoco. Sarà bello vedere l’entusiasmo di oggi alla prova dei fatti, sarà istruttivo controllare tra uno, due, tre anni, se chi sta male oggi starà meglio nelle sue condizioni materiali e immateriali. Siccome non c’è una ricetta che prometta di arginare le forze liberiste del mercato (e anzi si promette loro un ritrovato efficientismo), la risposta c’è già.
Ma vederla sarà diverso che intuirlo.
Dunque, auguri a chi ci crede e ci ha creduto, sarà piacevole riparlarne quando le parole lasceranno il posto ai fatti, quando saranno finiti gli spot e comincerà il programma. Quando la nuova classe dirigente che ora grida alla vecchia “tutti a casa” (con toni assai grillini, in qualche caso) avrà preso il comando.
Mi siedo qui, guardo lo spettacolo, aspetto, osservo il filmino della vittoria odierna, che somiglia al seme di una vecchia, e ben nota, sconfitta.
 

11 commenti »

11 Commenti a “Renzi, il Pd e il mio (personalissimo) “che fare?””

  1. Analisi precisa e tagliente che toglie forse quella poca speranze a chi come me ieri, da non iscritto, ha votato civati per evitare un non scontato plebiscito.

    da Roberto Etico   - lunedì, 9 dicembre 2013 alle 14:18

  2. Bellissimo articolo Robecchi. Era ora di sentirti scrivere cosí.
    Io voto Rifondazione.

    da Federico   - lunedì, 9 dicembre 2013 alle 14:26

  3. Io penso che ormai per almeno un annetto e mezzo non ci sarà concesso più nulla da fare… Forse, proscrizioni grilline permettendo, governi di ipocrite intese permettendo, trastulli duduiani permettendo, ammassi dei cervelli in circoli demenziali permettendo, nel 2015 torneremo a votare godendo come pazzi scodinzolando con l’ombrello micidiale che ci siamo infilato da soli nei nostri pensieri più intimi…

    da Vittorio Grondona   - lunedì, 9 dicembre 2013 alle 16:49

  4. Io penso che a Monti/Fornero ci siamo arrivati con il PD di prima, non con Renzi; secondo me gli elettori di Renzi fotografano il PD che c’è (o non c’è) e non ne creano uno nuovo, più a destra (poi più a destra si può sempre andare, per carità).
    Quello che non mi piace è questa deriva anche (auto)assolutoria di molti, per cui il PD tutelava i lavoratori, era di sinistra, ma poi è arrivato Renzi.
    Personalmente vorrei riuscire a evitare di personalizzare il fastidio per il segretario (anche se visto il tipo non è facile).
    E poi non esageriamo coi destini della sinistra, è diventato solo segretario del PD.

    da david   - lunedì, 9 dicembre 2013 alle 17:05

  5. Renzi diceva di appartenere al PD anche quando ci siamo assorbiti la crudeltà e la freddezza del governo Monti. Non era in Parlamento e quindi questo potrebbe solo in minima parte giocare a suo favore… Non è stato il PD a tutelare i lavoratori, ma il PCI ante bolognina. Dopo c’è stato inesorabile il risucchio un po’ alla volta della sinistra scissionista da parte della Margherita democristiana… Renzi ora sta finendo l’opera di traghettamento. Potrebbe però verificarsi concreta la speranza che offre l’ottimismo per il futuro del pensiero di David (comm. 4). Mi auguro che le sue vedute politiche siano di molto più ampie delle mie. Purtroppo ho il difetto che spesso ci prendo nelle analisi poco felici che riguardano il futuro sociale della mia proletaria famiglia…

    da Vittorio Grondona   - lunedì, 9 dicembre 2013 alle 17:58

  6. citato

    da paola   - lunedì, 9 dicembre 2013 alle 20:59

  7. Che dire?, prima del Che fare?? Non ho mai votato PD, l’ultima volta, per dire (di nuovo), ho votato per Ingroia, vedete un po’ voi! Eppure, strano a dirsi, come dice Alessandro Robecchi, anch’io mi sentirò più libera! Il nuovo segretario ha avuto la premura di dire che la sinistra non è finita, a me, chissà perché mi viene alla mente l’immagine di oggi degli Ucraini che buttano giù la statua di Lenin…c…zzz!!! due o tre i pensieri. – era ancora lì? – l’avevano scordata? – e – a questo punto non è tutta fatica sprecata? – fossero andati a farsi una bella pedalata l’aggressività in qualche modo l’avrebbero esternata e non avrebbe rischiato di rendergli il sangue più amaro. – Ecco, i simboli, abbattere statue e rottamare, coltivare l’idea che loro, “i giovani” siano più in diritto di noi, i “quasi anziani” per noi, per loro da rottamare appena possono. E’ vera, questa cosa della sostituzione della lotta di classe con la lotta generazionale, speriamo solo che Renzi non la voglia portare avanti sino in fondo, speriamo solo che i giovani si accorgano presto che il lavoro che i padri hanno svolto o stanno tentando di portare a termine, fosse decisamente migliore di quello che a loro proporranno, e che la lotta alla quale dovranno costantemente sottostare , non lotta di classe che unisce i simili, ma lotta tra i simili per prendersi il poco, beh non li renderà né migliori, né più sereni di padri e nonni.

    da Tiziana   - lunedì, 9 dicembre 2013 alle 21:09

  8. Il falo` delle vanita`

    http://youtu.be/is3Xti3gZc8

    da diamonds   - lunedì, 9 dicembre 2013 alle 21:39

  9. asciutto, amaro, lucido, condivisibile in pieno. Per lo meno dal mio punto di vista di iscritta a SEL (senza illusioni, ahimé anche a me non pare in grado) e votante per Civati a queste primarie: perché di sinistra c’è in giro così poco che va sempre e comunque sostenuto.
    Però su una cosa amaramente dissento: temo che non sia vero che “vederla sarà diverso che intuirlo”, o che sarà diverso forse solo per chi l’ha già appunto intuito… chi ha creduto alla “narrazione” renziana e le cui condizioni materiali non miglioreranno (forse peggioreranno) non credo che collegherà causa ad effetto, prima a dopo, come non l’hanno fatto mai gli elettori di Berlusconi: c’è sempre un nuovo nemico o una nuova “casta” da abbattere e a cui dare la colpa, troppo complicato – pare – guardare alle politiche economiche e sociali, ai grandi interessi, alle politiche, ci sarà sempre un “nuovo che avanza” a cui affidare speranze ed illusioni di riscatto. Non è un paese per maggiorenni

    da viviana   - martedì, 10 dicembre 2013 alle 17:51

  10. Scusa ma pur condividendo buona parte dell’articolo mi riesce difficile trovare all’altezza di quanto esprimi la frase “Sel non pare in grado, la paccottiglia nostalgica dà la nausea e le idee forti non si vedono.”. Direi che sia perlomeno contradditorio e comunque un po’ facile dire “fanno tutti schifo” (perché questo è il senso, alla fine, anche se poi nei toni una scelta c’è…). Non trovi che sia proprio e solo “la paccottiglia nostalgica” a continuare a dire che il capitalismo non va bene? O forse la supposta (in tutti i sensi) nuova sinistra ha mai prodotto qualcosa che si potesse distinguere da una pallida critica agli eccessi del capitale o dal cosiddetto riformismo (e cioè da Craxi, in ultima analisi?).Con stima. Marco Franchini

    da Marco Franchini   - mercoledì, 11 dicembre 2013 alle 13:58

  11. Marco, hai le tue ragioni. Intendo questo: coi sono correnti di pensiero neomarxiste moderne. Si può lottare contro il liberismo anche senza la faccia di Che Guevara sulla maglietta. Società nuova, marxismo nuovo. Io credo sia possibile…
    a.r.

    da a.r.   - mercoledì, 11 dicembre 2013 alle 14:01

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