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lug 15

In morte di un compagno gentile. Sergio “Tato” Banali

Sergio-BanaliDomenica sera è morto Giorgio Banali, che tutti abbiamo sempre chiamato Sergio e che per noi che gli volevamo bene era “Tato”, anzi, “il Tato Banali”. E’ morto a Varese, aveva 85 anni, era già vecchio – questo lo diceva lui, con un sorriso degli occhi dietro gli occhiali – quando noi giovanetti facevamo Cuore. Io scrivevo di musica per l’Unità e Michele Serra mi chiese se ci stavo a fare Cuore con loro, che usciva dal guscio del grande giornale del grande partito e andava da solo in edicola, non avevo nemmeno trent’anni, cazzo.
La squadra cresceva, c’erano già Michele, Andrea Aloi (me l’ha detto lui con un sms, che è morto il Tato), e Piergiorgio Paterlini (che ha scritto un bel ricordo del Tato, qui). Sono arrivato io che ancora stavamo all’Unità di via Fulvio Testi, a Milano, in una specie di scantinato vicino alle linotype (sì, è assurdo, si facevano ancora i giornali col piombo). Poi, poco dopo, sono arrivati anche Luca Bottura, Lia Celi, Carlo Marulli, Roberto Grassilli, e la famiglia era tutta lì – piccola, stretta – pronta a trasferirsi a Bologna. E c’era il Tato Banali.
Che era l’uomo della macchina, quello che teneva il traffico, che curava che arrivasse tutto, che disegnava, all’inizio, le pagine, che occhieggiava che tutto andasse bene, che era capace di guardare una foto o una vignetta da lontano e dire: “L’è storta!”. Aveva fatto il caporedattore all’Unità per trent’anni, e per me che facevo il giornalista ma sognavo di fare i giornali, era un pezzo di passato modernissimo. Lui scherzava di sé con una modestia assurda – “sono il compagno tempi e metodi” –, non voleva il suo nome da nessuna parte, nemmeno nella gerenza del giornale, e storceva il naso quando ridevamo un po’ troppo del Partito (sì, faceva ridere già allora). Ma la sua era un’ortodossia intelligente, spiritosa, vivace, e alla fine rideva sempre con noi. CuoreProbabilmente pensava che fossimo matti, e ci voleva bene. Giocava ad essere umile e noi lo prendevamo in giro per questo, era un gioco tra fratelli. Era lui che teneva insieme con una gentilezza persino esagerata quella banda di ego burbanzosi e scomposti, e insieme a noi anche le decine e decine di artisti che ci mandavano vignette, disegni, pezzi. Era lui che quando staccavo dalla mia scrivania, quando me ne andavo dalle riunioni, quando tornavo a casa, diceva ridendo finto-severo: “Dove vai, compagno Robecchi, che il sole è ancora alto?”, e questo qualunque ora fosse. Ora non so mettere in fila le cose che mi ha insegnato il Tato Banali, e comunque non mi andrebbe di fare elenchi. Di sicuro mi ha insegnato cosa vuol dire essere gentili, ma gentili per davvero, e non so nemmeno se ho imparato, ma comunque. Della sua vita privata non voglio dire, ma so che era gentile anche in quella, che qualcuno glielo rimproverava, e lui era gentile lo stesso, di una gentilezza irriducibile. So che lo prendevamo in giro, e che noi ragazzini potevamo farlo perché eravamo ammirati, affascinati e onorati della sua storia che veniva giù per la storia del partito e del glorioso giornale come una resina pazzesca di sapienza, esperienza, aneddoti, storie, umanità, racconti, abilità, intelligenza. Lo tiravamo dentro a forza nelle foto, quando c’era da farle in gruppo, anche quelle più cretine, e lui si scherniva, ma poi giocava – sempre – con noi. Mi mandò, dopo anni che non ci vedevamo, un suo libro sulla Resistenza. Era bello, era vero, non so più nemmeno dove l’ho messo perché non sono gentile come era lui, ma era bello davvero.
Adesso è morto e non c’è nient’altro da dire.

3 commenti »

3 Commenti a “In morte di un compagno gentile. Sergio “Tato” Banali”

  1. Infatti noi lettori non sappiamo nulla di Tato. Grazie.
    Penso che la nostra generazione è stata fortunata. Ridere del potere con Cuore é stato meraviglioso.
    Grazie ad AR che continua a deliziarci.

    da michelemà   - lunedì, 27 luglio 2015 alle 18:29

  2. non ho mai conosciuto Tato Banali, dato che il mio percorso di vita è del tutto diverso dal tuo, però mi hai fatto pensare che c’è stata sempre una generazione di persone che hanno aiutato i “nuovi” a inserirsi sul lavoro, con gentilezza o con modi un po’ ruvidi, ma sempre con attenzione e sempre senza aspettarsi niente in cambio. Era così che si faceva, e basta. Io sono stato aiutato dai vecchi, poi ho aiutato quelli più giovani di me, adesso basta – ognuno per sé, tutti in attesa della chiamata di manpower, è questo il risultato. Poi si parla di ripresa, di occupazione, mah… Senza queste persone, senza il tuo Tato Banali e senza le tante persone che ho conosciuto io in fabbrica e altrove, che mondo si vuol costruire.
    (grazie per la lettura)

    da giuliano   - mercoledì, 29 luglio 2015 alle 14:15

  3. Ciao Alessandro

    Dopo aver letto ciò che tu e Paterlini avete garbatamente scritto in ricordo di Sergio, l’unica considerazione che mi viene da esprimere è che mi sarebbe piaciuto tantissimo conoscerlo, un uomo così… ;-(

    da degiom   - giovedì, 30 luglio 2015 alle 09:35

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