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mar 19

Crolla il tetto del liceo? E’ tutta colpa di chi non vuole l’Alta velocità

fatto130319Come sempre accade nelle grandi battaglie, è interessante quel che succede nelle retrovie, e le retrovie del caso Tav sono le parole, il linguaggio, l’apparato narrativo del grande dibattito nazionale: farla? Non farla? Rimandare finché si sarà finalmente inventato il teletrasporto? La questione è ormai quasi secondaria rispetto all’intrecciarsi delle narrazioni efficientiste. Ringrazio Tomaso Montanari per aver coniato, su questo giornale, il termine “sipuotismo” per dire di quella corrente di pensiero che considera possibile tutto, purché frutti qualche soldo. Lui parlava di spostare un Caravaggio di qualche chilometro – cosa considerata più remunerativa che far spostare di qualche chilometro chi vuole ammirarlo -ma il concetto è applicabile un po’ a tutto, e in primis alle famigerate grandi opere.

Se si riesce a mettere da parte le scempiaggini di chi si improvvisa ingegnere in tre minuti, magari in camerino prima di entrare in un talk show, o le menzogne dure e pure (tipo far passare il tunnel geognostico per la galleria del treno, un falso abbastanza diffuso), si vedrà che c’è una speciale curvatura negli argomenti dei “sipuotisti” che potremmo sintetizzare così: moderni contro antichi, futuro contro passato, sviluppo contro arretramento. E’ una retorica abbastanza efficace, variamente coniugata a seconda dell’abilità di chi la sostiene, ma insomma, la sintesi è questa. Se non vuoi il Tav la tua visione del mondo è fatta di carretti a cavalli, scarpe di cocomero e clave per cacciare le fiere dalla grotta, mentre invece se la vuoi sei un europeo moderno che compete con il mondo. A questo punto (è una specie di regola) si tirano fuori mirabolanti cantieri cinesi dove il viadotto viene realizzato in nove minuti, o stupefacenti gesta nipponiche, tipo la strada terremotata ricostruita un’ora dopo il terremoto. Mentre qui – è il sottotesto – c’è ancora chi ferma i lavori perché è un nostalgico della peste del Seicento.

Naturalmente si tratta di uno storytelling(chiedo scusa) un po’ zoppicante, ma risponde al bisogno di dividere in due, con semplicità, una faccenda non semplice, e noi-buoni-contro -loro-cattivi funziona sempre.

Naturalmente le opere bloccate non sono solo la Tav (sono più di seicento, e per i motivi più disparati), ma poi gira e rigira, si finisce lì.

La prova che ciò che succede nelle retrovie, cioè il racconto all’opinione pubblica, è importante per i sipuotisti, ce la fornisce un’iniziativa dell’Associazione Costruttori italiani annunciata ieri dal Corriere. Distribuire al popolo (“davanti ai supermercati e alle stazioni della metropolitana”) dei nastri gialli con cui recintare, e dunque segnalare, le opere ferme, “le scuole fatiscenti, le voragini nell’asfalto delle strade cittadine”. Poi si scopre che tra le molte iniziative delle molte associazioni sipuotiste, il Tav è sempre ben presente come esempio di “paese bloccato”, mettendo nello stesso calderone il Tav e tutto il resto, sommando mele e pere.

In sostanza, dopo aver trasformato il gentile pubblico in due frange estreme – quelli che vogliono il bene e il progresso e i maledetti frenatori che non vogliono farci andare a Lione – ecco l’altro passo: identificare il blocco del Tav con il blocco dei lavori in generale. Si propone cioè un’equazione truccata: non vuoi il Tav, quindi sei per bloccare le opere, quindi non vuoi nemmeno riparare la buca sulla provinciale, o il tetto del liceo. Il giochetto è un po’ sporco, ma, come si dice, à la guerre comme à la guerre. La battaglia di chi non ci sta si giocherà anche nel saper ribaltare questa nuova narrazione: dire chiaro e tondo che si è “moderni” e non “antichi” proprio perché si preferiscono opere utili a quelle inutili, e non viceversa, e che “bloccare” non è una categoria filosofica, ma dipende dal bloccare cosa, e quando, e perché.

9 commenti »

9 Commenti a “Crolla il tetto del liceo? E’ tutta colpa di chi non vuole l’Alta velocità”

  1. Stucchevole tutto sto pandemonio mediatico sul Tav, c’è un contratto nel quale era contemplata un’analisi costi-benefici questa è risultata negativa per 7-8 miliardi di euro, sul Fq di oggi c’è un articolo in prima pagina che anche a livello ambientale, tir-rotaia, il buco del cavolo risulterebbe più dannoso.
    Da qualche tempo alcuni esponenti notav sono diventati pro, i due Matteo per tutti, pazienza il toscano che vale come il due di picche a briscola ormai, ma l’altro dove annusa voti si butta a capofitto.
    Ce ne sarebbero di cose più importanti da fare, territorio, acqua potabile, banda larga, scuole, ricostruzione zone terremotate, e messa in sicurezza delle case nelle zone rosse italiane, etc, etc, ma il magna, magna che occuperà alcune centinaia di lavoratori si è concentrato su questa inutile opera.

    In ogni caso è solo questione di tempo, alle prossime elezioni la destra tutta quanta insieme, finalmente scaverà il mitico buco, già vedo le madamine del buon salotto torinese aiutare con le pale…

    da Ivo Serenthà   - mercoledì, 13 marzo 2019 alle 09:40

  2. Leader ciechi guidano popoli ciechi verso l’abisso (Il nome della Rosa di Umberto Eco)

    da Vittorio Grondona   - mercoledì, 13 marzo 2019 alle 11:49

  3. “Da qualche tempo alcuni esponenti notav sono diventati pro, i due Matteo per tutti”

    si sbaglia; sono sempre stati favorevoli al TAV; idem per TUTTI gli altri esponenti ‘di rilievo’ di PD e Lega

    è comunque sempre possibile verificare con Alberto Perino chi è contro la ‘truffa colossale’ da sempre e lo è rimasto a tutt’oggi

    da giovanni   - mercoledì, 13 marzo 2019 alle 14:36

  4. @ Giovanni

    Si legga gli articoli questo sulla Lega in generale

    https://www.google.com/amp/s/www.lettera43.it/it/articoli/politica/2011/06/28/quando-il-carroccio-era-no-tav/13693/amp/

    E su Renzi

    /05/21/cronaca/renzi-rottama-la-tav-non-e-dannosa-e-inutile-g43jcuXwORq75b6u7uSVCK/pagina.html

    da Ivo Serenthà   - mercoledì, 13 marzo 2019 alle 16:33

  5. Pardon

    https://www.lastampa.it/2013/05/21/cronaca/renzi-rottama-la-tav-non-e-dannosa-e-inutile-g43jcuXwORq75b6u7uSVCK/pagina.html

    da Ivo Serenthà   - mercoledì, 13 marzo 2019 alle 16:35

  6. ripeto:
    sarebbe bene parlare direttamente con Alberto Perino per capire chi è (stato) REALMENTE contrario alla ‘truffa colossale’, chi ha FATTO concretamente qualcosa CONTRO la ‘truffa colossale’

    da giovanni   - mercoledì, 13 marzo 2019 alle 17:22

  7. Negli anni ‘90 quando si discuteva dell’Alta Velocità Milano-Salerno i fautori garantivano che i nuovi binari avrebbero liberato le vecchie linee dove si sarebbe riversato tutto il traffico merci….
    Sono passati 20 anni e i camion sono ancora tutti in strada.

    da Paolo   - giovedì, 14 marzo 2019 alle 06:54

  8. “le retrovie del caso Tav sono le parole, il linguaggio, l’apparato narrativo del grande dibattito nazionale”

    il ‘grande dibattito nazionale’ è condotto su giornali e televisioni

    i giornali i cui proprietari NON sono ‘grandi capitalisti’ sono solo 3, tra quelli di portata nazionale :
    Il Fatto; Il Manifesto; L’Avvenire

    le reti televisive di portata nazionale i cui proprietari NON sono ‘grandi capitalisti’ sono solo quelle della RAI;
    PERO’ chi dirige la RAI si trova in quella posizione perché è stato scelto dai politici al governo;
    sicché la situazione è, NELLA SOSTANZA, analoga a quella dei giornalisti che sono a libro-paga dei ‘grandi capitalisti’

    sicché nelle reti televisive solo alcuni singoli giornalisti ‘coraggiosi’ sono equiparabili ai 3 quotidiani estranei al ‘grande capitalismo’

    nell’insieme, costituiscono una piccola minoranza partecipante al ‘grande dibattito nazionale’

    ecco perché i sostenitori della ‘truffa colossale’ hanno vita facile, vincono il ‘grande dibattito’ a mani basse…

    teniamo presente che stiamo vivendo in un periodo in cui un demàgogo di estrema destra è, nettamente, il politico più ‘amato’ dagli italiani

    il cerchio si chiude così

    mala tèmpora currunt, ahimé

    da giovanni   - giovedì, 14 marzo 2019 alle 09:19

  9. Quel treno per Lione: vecchie e nuove ragioni per il no
    12/03/2019 – di Angelo Tartaglia
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    Le ultime settimane hanno visto una frenesia crescente​,​ nel dibattito sulla nuova linea Torino-Lione.

    La propaganda, le dichiarazioni roboanti, le notizie fasulle sono all’ordine del giorno e non hanno limiti, segno evidente dell’inquietudine di un sistema socio-economico che​,​ in modo confuso​,​ si sente messo in discussione​,​ al punto tale da trasformare una galleria in un feticcio salvifico che​,​ da sé​,​ garantirebbe “la modernità”, l’aggancio dell’economia del ​Nord-Italia, se non di tutto il Paese, all’economia mondiale (per altro sull’orlo di una nuova recessione, si dice), nonché, pensate un po’, il contenimento dell’effetto serra.

    L’ignoranza, diceva Socrate, è una virtù quando è consapevole.

    L’ignoranza arrogante, viceversa, è un pericolo mortale.

    Ma torniamo a noi.

    La nuova fiammata​,​ nel confronto​,​ è stata stimolata​,​ inizialmente​,​ dal deposito dell’Analisi Costi Benefici (ACB) elaborata dal gruppo di lavoro coordinato dal prof. Ponti.

    Naturalmente gli interlocutori politici​,​ per i quali la realtà è sempre solo un’esternalità marginale, hanno innanzitutto letto le conclusioni e​,​ a partire da quelle​,​ si sono scatenati contro, dicendo tutto e il contrario di tutto.

    Nessuno scandalo era stato sollevato​,​ in occasione della precedente ACB del 2011 (pubblicata solo nel 2012, dopo la firma dell’accordo Italia-Francia) che pronosticava strabilianti incrementi dei traffici lungo la direttrice Torino-Lione​,​ sulla base di ipotesi paradossali nel medio periodo e arrivava a una convenienza marginale dell’opera​,​ grazie ad alcune scelte ad hoc​,​ relative al valore dei parametri da usare nel modello matematico​;​ un esempio per tutti​:

    l’attribuzione​,​ alla CO2 risparmiata​,​ di valori economici da 80 a 100 volte superiori a quelli “di mercato” in Europa.

    Non tenterò​,​ qui​,​ di illustrare la più recente ACB e di entrare in dettagli su tassi di sconto, accise, valore economico dei vantaggi socio-ambientali e così via.

    In effetti il punto delicato​,​ di qualunque analisi costi benefici​,​ sta nel fatto di cercar di convertire grandezze fisiche oggettive in quantità economiche misurate in denaro:

    il terreno è scivoloso​;​ per quanto ci siano linee guida condivise internazionalmente e prassi consolidate, un certo grado di arbitrarietà permane.

    ​In ogni caso​,​ trattandosi di una infrastruttura di trasporto, la chiave di tutto rimane la presenza di un flusso di merci sufficientemente robusto e la capacità di richiamare traffico dalla strada alla rotaia.

    La vecchia ACB, come ho accennato, presentava previsioni di traffico strabilianti (triplicazione del flusso entro il 2035​,​ rispetto ai valori del 2010).

    La realtà si è incaricata di minare la credibilità di quelle previsioni, basate su incongrue ipotesi ad hoc, tanto che lo stesso quaderno 10 dell’Osservatorio ha dovuto prenderne atto.

    Anche la più recente ACB considera scenari, certo molto più prudenti, comunque orientati verso un’aspettativa di crescita.

    Una crescita dei flussi transalpini in direzione est-ovest durevole e rilevante è​,​ però​,​ estremamente improbabile, in quanto i mercati intra-europei sono materialmente​ saturi​, chi più chi meno.

    Qualche riflessione va fatta riguardo alla capacità​,​ di una nuova infrastruttura​,​ di sottrarre traffico alle strade.

    Nell’ACB del 2011 si dichiarava che, al 2035, la nuova linea avrebbe ospitato il 55% del flusso di merci (contro l’attuale 11%) ma non si spiegava perché.

    La nuova analisi ridimensiona tutto quanto​,​ mostrando che​,​ anche con un consistente miglioramento del riparto modale​,​ il bilancio dell’investimento rimane negativo.

    Restando però ai dati oggettivi, cioè alle tonnellate prima che agli euro, rimane il fatto che la presenza di una nuova infrastruttura non modifica​,​ di per sé​,​ il riparto modale.

    In Svizzera​ -​ dove il traffico in attraversamento va per il 70% su rotaia​ -​ è in vigore​,​ da gran tempo (ben prima di realizzare qualsiasi nuova infrastruttura)​,​ un pedaggiamento per il trasporto su strada, che dipende dal tipo di camion (più o meno impattante) e dal carico.

    Italia e Francia però, nel turbine delle alterne vicende relative alla Torino-Lione, non hanno mai assunto analoghi provvedimenti.

    ​G​uardiamo all’interno del nostro Paese​:

    scopriamo che la percentuale delle merci che viaggia per ferrovia è solo il 6% del totale​; ​ ma il trasporto stradale è​,​ di fatto​,​ incentivato mediante agevolazioni​,​ sull’acquisto dei carburanti​,​ che valgono una quindicina di miliardi l’anno.

    Di più: la linea AV Torino-Napoli è ufficialmente, anche se pochi lo sanno, disponibile al trasporto merci (è anche AC).

    Non si tratta di una questione meramente amministrativa: progettazione e realizzazione della linea ha​n​ dovuto tenerne conto​,​ allungando i tempi di costruzione e aumentando i costi.

    Ciò detto, è un fatto che la suddetta linea non ha mai sottratto nemmeno un camion dalla strada.

    Insomma​,​ occorrono innanzitutto delle politiche​;

    ci sono provvedimenti che possono produrre risultati importanti con costi molto ridotti, mentre l’apertura di nuovi cantieri può risolversi in esborsi di denaro pubblico a fondo perduto e senza ritorni.

    L’essenza di qualsiasi ACB sta qui.

    Negli sviluppi più recenti, per la verità, l’attenzione si è​,​ in qualche misura​,​ spostata dalle questioni economico/trasportistiche a quelle di natura giuridica​; è forse il caso di dire qualcosa al riguardo.

    Si è molto parlato​,​ sui giornali​,​ dei trattati internazionali​,​ che non possono essere stracciati​, che hanno valore di legge e che, per modificarli, richiedono​,​ come minimo​,​ un passaggio parlamentare.

    Anche in questo caso, di un trattato si considera ciò che è congruente con i propri orientamenti a prescindere, ma si dimenticano i vincoli che potrebbero disturbare.

    Il 30 gennaio 2012 tra Italia e Francia è stato siglato un accordo, poi convertito in legge, che prevede la realizzazione di un pezzo di linea lungo 112,5 km.

    Tale tratta è divisa in ​3 parti​,​ la cui realizzazione sarà effettuata sulla base di ulteriori successivi accordi tra i ​2 contraenti.

    Il ​1° (e unico) di tali accordi è stato sottoscritto nel 2015 (convertito in legge nel 2017)​;

    prevede la realizzazione della porzione transfrontaliera​,​ lunga 63,5 km e coincidente​,​ in massima parte (57,5 km)​,​ col tunnel di base.

    Quel che è rilevante è​,​ però​,​ che l’accordo quadro (quello del 2012) comprende un articolo, il n. 16, di buona amministrazione che recita:

    «La disponibilità del finanziamento sarà una condizione preliminare per l’avvio dei lavori».

    A questa data l’Italia, a partire dalla finanziaria del 2013, ha cominciato ad accantonare i suoi fondi e con la delibera n. 67/2017 del CIPE ha autorizzato la spesa di circa il 27% del costo attualizzato del tunnel;

    l’Unione Europea​,​ fino a oggi​,​ ha stanziato una cifra per la realizzazione del tunnel (non per studi preliminari, scavi geognostici, progettazioni e simili) dell’ordine del 5% del costo totale.

    La Francia​,​ dal punto di vista formale e amministrativo​,​ non ha stanziato nulla; la ministra Borne ha recentemente dichiarato che l’impegno verrà assunto con un provvedimento attualmente all’esame del Senato della Repubblica francese, ma nel testo di quel provvedimento lo stanziamento specifico non si trova.

    Insomma, a norma del trattato italo-francese non sussistono le condizioni giuridiche per avviare la realizzazione del tunnel di base e, d’altra parte, sulla base dell’analisi costi benefici non sussistono nemmeno le condizioni economiche e trasportistiche per ritenere urgente l’opera.

    Questa è una valutazione che il COI (Conseil d’Orientation des Infrastructures), organismo ufficiale dell’ordinamento francese, ha espresso​,​ riguardo alla tratta francese di adduzione al tunnel, individuata dall’accordo del 2012, scrivendo che l’eventuale realizzazione non potrà essere presa in considerazione prima del 2038​,​ in quanto le condizioni attuali della domanda di trasporto non giustificano interventi a breve termine.

    Possiamo tranquillamente dire che la stessa cosa vale per il tunnel transfrontaliero.

    Per di più è sulla base dell’entità dei lavori che dovrebbero essere fatti in Francia che è stato convenuto​,​ tra i ​2 Paesi​,​ che la quota italiana di contribuzione per la tratta transfrontaliera sia del 57,9% contro il 42,1% dei nostri interlocutori.

    Ce n’è più che abbastanza per aprire, a norma di trattato, un tavolo di confronto coi nostri partner per chiarire tutto quanto, ivi compresa l’urgenza​,​ o meno​,​ di realizzare un’opera per cui non sussistono i finanziamenti e non si danno le condizioni di redditività.

    Quando ci saranno le condizioni se ne potrà riparlare, a norma di trattato.

    Questa è la logica di salvaguardia dell’interesse pubblico.

    Ma si sa: la politica segue​,​ molto spesso​,​ altri criteri.

    Staremo a vedere​”​

    da giovanni   - sabato, 16 marzo 2019 alle 11:23

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