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gen 19

I poveri non sono poveri: hanno tutti un divano su cui dormire sereni

Fatto020119Chiedo scusa e perdono se inizio l’anno parlando di una cosa poco glamour, un po’ démodé, fastidiosa da pensare, specie dopo i festeggiamenti di fine anno: i poveri.

Come da manuale, dovrei mettere qui in fila alcune manciate di cifre su quanti sono, quanto sono aumentati negli ultimi anni, origine e provenienza, struttura dei nuclei famigliari, fascia d’età eccetera, eccetera, ma non credo sia il caso. Basta cogliere fior da fiore da tutti gli istituti statistici e di ricerca, istituzionali, pubblici, privati, centri studi, organizzazioni no profit e umanitarie, e tutti i numeri più o meno convergono: un quarto della popolazione europea (123 milioni) è a rischio povertà o esclusione sociale; in Italia vivono in povertà assoluta più di cinque milioni di persone. Ma le parole sono leggere e la situazione è pesante. Per esempio sono molti di più di cinque milioni (per la precisione, secondo l’Istat, 9 milioni) quelli che non riescono a riscaldare decorosamente l’abitazione, cioè c’è molta gente molto povera che non riesce nemmeno ad entrare nelle statistiche dei poveri assoluti, sono poveri relativi, diciamo, si sistemano in un angolino delle classifiche e se ne stanno lì buoni buoni. E aumentano.

Intanto i poveri, poveracci, sono in prima fila loro malgrado nella battaglia della propaganda. Il festante “abbiamo abolito la povertà” di Di Maio ricorda da vicino il trionfale “abbiamo abolito il precariato” di Renzi, roba buona per il titolo del giorno dopo e tutti i sarcasmi degli anni a venire.

Interessante, però, come una strana figura di “povero” abbia invaso il dibattito pubblico, il chiacchiericcio da talk show, la teoria economica. Una situazione di disagio reale e diffuso è stata trasformata in macchietta, in grottesca caricatura da commedia all’italiana. Nel dibattito politico sul reddito di cittadinanza (a prescindere da cosa ne verrà fuori realmente), il principale problema è incrociare la parola “povero” con trucchetti di sopravvivenza alla Totò. Ci saranno i “furbi”, quelli che truccano l’Isee, quelli che aspettano la manna dallo Stato per girarsi i pollici o lavorare in nero, eccetera eccetera. Se un marziano sbarcasse qui senza sapere nulla e assistesse basito a un paio di talk show penserebbe che “povero” significa “creatura improduttiva e pigra del Sud che sta su un divano”. Divano è la parola che ricorre di più, una specie di immagine ormai proverbiale: il povero sta sul divano e aspetta assistenza.

Se guardate attraverso questa filigrana potete vedere molte cose. I grandi luogocomunismi della storia economica nazionale, per esempio. I terroni che non hanno voglia di lavorare e che ci invadono (detto mentre l’emigrazione interna faceva fiorire le fortune dei grandi industriali). Il mantenuto. Il sussidio. L’assistenzialismo, e insomma, signora mia, li paghiamo per non farli lavorare, seduti sul loro divano (ci mancherebbe).

Siamo sempre lì, insomma, alla colpevolizzazione del povero, che un po’ “non ha voglia”, un po’ “è colpa sua” (traduco: non si è sbattuto abbastanza) e un po’ fa il furbo per grattare qualche euro qui e là.

Ecco fatto: è bastato qualche mese di (sconclusionato) dibattito per risolvere in qualche modo il problema dei poveri, trasformati dai ricchi che ne parlano in pubblico in meri possessori di divani e potenziali truffatori.

Si perpetua così l’atavica diffidenza borghese per la povertà, e soprattutto si impedisce una seria riflessione sull’intero sistema economico. Se negli ultimi decenni i poveri sono aumentati come dicono tutti, e la loro distanza dai ricchi è diventata siderale, significa che il sistema non regge e non funziona, ma è un discorso che pare rischioso affrontare. Dunque, meglio continuare con la narrazione del finto povero che se ne approfitta: non costa niente e nasconde i poveri veri.

9 commenti »

9 Commenti a “I poveri non sono poveri: hanno tutti un divano su cui dormire sereni”

  1. E’ anche vero che il sottobosco di illegalità è diffusissimo. Quanti di questo poveri sono davvero tali?
    Ci sono innanzitutto i falsi poveri. Tipo i tassisti che dichiarano 1.100 euro al mese. Considerato che le licenze vengono vendute anche a duecentomila euro, qualcosa non torna. E solo perchè esistono gli studi di settore, altrimenti quei 1.100 euro li dichiarerebbero all’anno.
    C’è un’altra categoria, popolare anche al nord, ovvero quelli di alto reddito che fanno tutto in nero. Sono in genere liberi professionisti che svolgono per lo più lavori in casa o in piccole imprese (nelle grandi no, rischiano controlli). Anni fa un individuo simile (mi toccava frequentarlo in quanto parente acquisito, ora per fortuna non più) mi offrì una cena con caviale e champagne. Accettai l’offerta, almeno mi ripresi parte delle mie tasse.
    Dopodichè ci sono i finti poveri a ricatto, la categoria a mio avviso più ignorata dai media. Stanno principalmente a Sud, lavorano in nero ma a differenza dei cugini qui sopra non perchè vogliono fare la grana, ma perchè non hanno uno straccio di alternativa. Qui purtroppo non ci sono cazzi: o estirpiamo il lavoro nero (aboliamo il contante?) o non ce li leviamo, e a mio avviso, pur non disponendo di statistica, sono la maggioranza.
    Infine ci sono quelli che non hanno voglia di fare nulla, che sono solo una parte del problema.

    A mio avviso questa porcata di cittadinanza premierà solo e soprattutto i furbi, ma questa è altra questione. Anche perchè ogni sistema di tipo mutualistico funziona solo quando i beneficiari sono pochi, e i sovvenzionatori tanti. L’alternativa può essere tassare i patrimoni, ma appena lo si dice qui in Italia si viene messi al rogo, quindi amen.

    da Stefano   - mercoledì, 2 gennaio 2019 alle 10:02

  2. Giusto. Il dibattito attuale ricorda molto “se non hanno del pane dategli i croissant” di Maria Antonietta. Che tristezza.

    da Ferdinando Giaquinto   - mercoledì, 2 gennaio 2019 alle 10:15

  3. “il sistema non regge e non funziona”? Marxista! Comunista! Terrorista! Mangiabambini!
    Anzi… DIVANISTA!

    da Giovanni Gugliantini   - mercoledì, 2 gennaio 2019 alle 12:21

  4. Divano o meno,quel reddito esiste in parecchi Paesi civili,toccherà stare molto attenti a non farlo diventare cronico e senza opportunità lavorative,anche se pare che ormai molti si siano resi conto che di lavoro,quello da considerare tale,e non uno sfruttamento vergognoso,ce ne sia ben poco.
    Anche perché i tutelati o chi sta bene,sappiano che di poveri e disoccupati ce ne saranno sempre di più,complice la competizione orientale e l’automazione.

    Forse ficcarsi in testa di tagliare un po’ a tutti,dove si può,far lavorare meno ore a tutti,e far lavorare più gente possibile è una via obbligatoria.

    da Ivo Serentha   - mercoledì, 2 gennaio 2019 alle 13:03

  5. Ich vermisse das Lumpenproletariat der marxistischen Erinnerung

    da Marco Brando   - mercoledì, 2 gennaio 2019 alle 15:18

  6. Se si cambiasse il termine “divano” con “poltrone politiche e televisive”, verrebbe fuori chi è che campa davvero chiacchierando a spese di tutti…

    da Irene   - giovedì, 3 gennaio 2019 alle 09:59

  7. …che abisso tra la sinistra fino agli anni 70 e quella supposta di oggi completamente anti popolare…

    da Paolo   - sabato, 5 gennaio 2019 alle 14:45

  8. La intrinseca illogicità di tutto il discorso si può cogliere con la storia delle tre chiamate di lavoro, che – se rifiutate – danno luogo alla cessazione dell’erogazione. Ora, magari quelli là in alto non lo sanno perché hanno fatto un’altra vita, ma se uno è povero è anche probabile che: 1) non abbia la patente; 2) non possa prendere la patente; 3) se non ce l’ha non può fare 150 o più chilometri per un lavoretto da un giorno. E via dicendo. Oltre a ciò se uno inoltre è anche ammalato (dopo i 50 è possibile avere il cancro, malattie cardiovascolari ecc. ecc., vista la sanità pubblica in disarmo), povero, senza mezzi di trasporto propri, non può né avere il reddito né la pensione di cittadinanza, non lo vuole nessuno perché non si sa cosa fargli fare (tipo cardiopatico candidato per lavoro di smaltimento frigoriferi senza ausilio meccanico – ovvero a braccia). Lo vorrei vedere un certo tizio a fare questa vita, uno che ha preso una casa (in mutuo, disse) di un milione di euro prontificare su un altro che non riesce neppure a farsi curare una angina ed è costretto a vivere con le elargizioni dei servizi sociali comunali. Sono folli, dei folli a cui si dà persino il consenso. Da qui la conclusione: questa società, questo Paese sono destinati a proseguire nella china inesorabile del de-sviluppo.

    da Giuseppe Michieli   - domenica, 6 gennaio 2019 alle 09:25

  9. Per Giuseppe Michieli: da uno studio INPS di qualche settimana fa è emerso che più della metà degli aventi diritto al reddito di cittadinanza è inidoneo al lavoro. Scusate il fuori tema: alle anime belle che anche oggi (un giornalista e un fotoreporter presi a mazzate da militanti di avanguardia nazionale e forza nuova) si scandalizzano per il conclamato parafascismo del ministro degli interni vorrei ricordare che il movimento nè di destra nè di sinistra a cui molti di loro per anni hanno retto pateticamente il moccolo non si è MAI dichiarato antifascista.

    da Arturo   - lunedì, 7 gennaio 2019 alle 23:16

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