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dic 18

Altro che imprenditori: il partito del Pil sono gli italiani che lavorano

Fatto051218Prima di tutto una precisazione. I tremila imprenditori che l’altro giorno a Torino si sono riuniti per dire sì alla Tav e a tutto il resto (grandi opere, medie opere, tagli alla manovra) non sono, come si è scritto con toni eccitati e frementi “Il partito del Pil”. Non rappresentano, come si legge in titoli e sommari “due terzi del Pil italiano e l’80 per cento dell’export”. Il Pil italiano, e anche l’export, lo fanno milioni di lavoratori che in quelle imprese sono occupati. Gente che da anni vede assottigliarsi il suo potere d’acquisto, mentre aumentano profitti e rendite, che assiste all’erosione dei suoi propri diritti, che va a lavorare su treni affollati come gironi infernali, che sta in bilico sul baratro della proletarizzazione, che teme ogni giorno un disastro, una delocalizzazione, una vendita ai capitali stranieri, una riduzione degli organici, che combatte ogni giorno con servizi sempre più costosi, che fa la parte sfortunata della forbice che si allarga – da decenni – tra redditi da lavoro e profitti. Il Pil italiano – come il Pil di tutti i paesi del mondo – lo fanno loro, ed è piuttosto incredibile che una platea di tremila persone venga più o meno, con pochissime sfumature, identificata con l’economia italiana senza nemmeno una citazione di sfuggita, un inciso, una parentesi, che ricordi i lavoratori.

A vederla dal lato politico, si direbbe che l’imprenditoria italiana cerchi rappresentanza e punti di riferimento. Come ha detto Maurizio Casasco (piccoli imprenditori), “Abbiamo bisogno di leader, non di segretari di partito”, ma già i primi commenti fanno notare che presto lo troveranno, e sarà ancora Salvini, l’uomo che sa dire sì e che già si era beccato un paio di mesi fa gli elogi sperticati del presidente di Confindustria Boccia.

Così la palla ripassa alla politica, ai 5stelle impantanati e al loro cannibale Salvini cui cedono su tutto (compresa la guerra ai poveri conclamata nel decreto sicurezza). Doppio risultato: si piange un po’, che è caratteristica statutaria degli imprenditori italiani, e si tira il pallone in tribuna, impedendo ancora una volta una riflessione proprio su di loro. Sicuri che quei tremila (80 per cento dell’export, due terzi del Pil) non abbiano colpe in tutto questo? Che non abbia funzionato niente, negli ultimi trent’anni, politica, economia, finanza, Stato, amministrazione, tranne loro, sempre perfetti e “motore dello sviluppo”? E’ un po’ incredibile, andiamo! Eppure negli anni di Silvio gli imprenditori italiani hanno avuto di tutto e di più, e negli anni del centrosinistra meglio ancora, dalla pioggia di miliardi del Jobs act al coltello dalla parte del manico nelle relazioni sindacali, come la possibilità di demansionare i dipendenti, per non dire dell’articolo 18.

Da almeno trent’anni, con piccole frenate e forti accelerazioni, la filosofia al governo sostiene la tesi che aiutando le imprese si aiutino anche i lavoratori, che se stanno bene gli imprenditori staremo bene tutti, che se la tavola è sontuosa, qualche briciola cadrà dal tavolo per i poveri. Questo, in trent’anni di sperimentazione, non si è verificato, anzi è successo il contrario, la precarizzazione è avanzata, fino al cottimo, fino all’algoritmo che gestisce i tempi di vita delle persone.

Gli imprenditori italiani, in definitiva, non strillano solo per la Tav, ma perché non hanno ancora una sponda sicura nel governo del paese. Nessuno che dica “meglio Marchionne dei sindacati”, per intenderci. E’ legittimo lo sconcerto e anche l’accorato appello, che confina col piagnisteo, che confina con le minacce, va bene, si chiama pressione politica. Ma partito del Pil no. Il partito del Pil, qui, sono milioni di italiani (e stranieri) che lavorano, e anche loro a caccia di qualcuno che li rappresenti in un Paese senza sinistra.

8 commenti »

8 Commenti a “Altro che imprenditori: il partito del Pil sono gli italiani che lavorano”

  1. Tutto condivisibile,giustissimo rammentare che le fortune del pil e degli enormi guadagni dei manager sono frutto del lavoro delle migliaia di sottoposti,qui si è andati ben oltre la meritocrazia.

    Inoltre si deve rammentare alla imprenditoria italiana,che è troppo comodo intascare gli utili e nazionalizzare la mancanza di lavoro con la cassa o la mobilità.

    Dulcis in fundo,a chi improvvisamente delocalizza o trasferisce sedi legali-amministrative oltre confine,io farei una bella leggina,vuoi andare via? Ok,ci ridai indietro tutte le agevolazioni che hai intascato nei decenni scorsi,anche se dovessero fallire in modo fasullo e riaprire altrove.

    Altrimenti continueranno a fare i furbi con il posteriore degli altri.

    da Ivo Serenthà   - mercoledì, 5 dicembre 2018 alle 12:40

  2. Confindustria contro il governo? Conferma che il concetto di sinistra destra oggi và riscritto. Ci vorrebbe un nuovo Marx…

    da Paolo   - giovedì, 6 dicembre 2018 alle 11:33

  3. A proposito di furbi, furbetti e posteriori altrui caro Ivo…
    Mi sovviene un esempio recente, relativo alla “nostra” ex grande industria automobilistica, già Fiat, ora FCA…

    Immagino non sarà sfuggito l’annuncio in pompa magna con cui la scorsa settimana gli epigoni di marchionne hanno sbandierato al mondo la prossima produzione della 500 elettrica in quel di Mirafiori, lo storico stabilimento torinese simbolo di quello che fu per decenni il predominio imprenditoriale Fiat, non solo in Italia.

    Potrebbe invece essere passata inosservata una notizia data assai sotto traccia, se pure correlata, un paio di giorni dopo: da Gennaio cassa integrazione per tremila (3.000) operai di Mirafiori per (almeno) un anno…

    Com’era quella del “governo del cambiamento”?

    da degiom   - giovedì, 6 dicembre 2018 alle 13:33

  4. @ Degiom

    Conosco la notizia,vero,passata sottotraccia.
    Siamo alle solite,evidentemente Maserati Levante e Ghibli o altre produzioni non tirano le aspettative di vendita,il reset con la 5chiappe elettrica porta all’allestimento della nuova catena di montaggio.

    E chi paga,sempre noi ovviamente…considerato che pagano le tasse nel Regno Unito,andiamo proprio bene…

    da Ivo Serentha   - giovedì, 6 dicembre 2018 alle 14:40

  5. Consiglierei a Robecchi di continuare a scrivere romanzi, che ho comprato e letto con gran gusto..le analisi pseudo-sociologiche che dipingono gli imprenditori come solo “prenditori” e i dipendenti come unici sviluppatori di PIL è una banale scemenza, che puo’ piacere tanto al qualunquismo “de sinistra”…in realtà senza qualcuno che rischia in proprio con soldi suoi, di PIL non c’è neanche l’ombra… a meno di rifarci al modello industriale da socialismo reale, che come noto è finito miseramente. P.S. non sono un’imprenditore, ho solo lavorato per 46 anni, sempre da lavoratore dipendente.

    da giuseppe usuelli   - giovedì, 6 dicembre 2018 alle 21:07

  6. Grazie del consiglio, ma io credo che continuerò a scrivere il cazzo che mi pare. Qualcosa le piacerà e qualcosa no, pazienza

    da Alessandro   - giovedì, 6 dicembre 2018 alle 21:10

  7. la mia domanda è se sia possibile rimettere in discussione a livello politico il sistema economico-sociale in cui viviamo, il rapporto salari-profitti, l’accumulazione di ricchezza. Crearne un programma politoc magari, con vera concretezza in materia fiscale e di politica economica. Qualcosa che sia davvero di sinistra ma non sconfini nell’integralismo comunista, che non vada all’stante a proporre le solite stupide guerre comunisti radical chic vs altri. Qualcosa che faccia appeal, che sia capibile dalla gente comune. Perchè io sono convinto che siamo in un momento in cui mai come ora c’è bisogno della sinistra, anche se non sembrerebbe.

    da giacomo   - domenica, 9 dicembre 2018 alle 17:33

  8. “Grazie del consiglio, ma io credo che continuerò a scrivere il cazzo che mi pare. Qualcosa le piacerà e qualcosa no, pazienza” APPLAUSI E STRETTA DI MANO SIMBOLICA.

    BELLISSIMO ARTICOLO!

    da Alessandro   - domenica, 9 dicembre 2018 alle 23:32

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