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giu 18

“La fine di Wettermark”, capolavoro di Eliott Chaze (recensione per Tutto Libri de La Stampa)

ChazeTTL090618Se guardate bene il grande affresco dei narratori americani, degli autori noir che scavano nell’anima del lettore, vedrete che le pennellate più scure – disperatamente scure – le mette Elliott Chaze. Scrittore sopraffino e feroce, acuminato, implacabile, uno che i suoi personaggi li spoglia di tutto, li lascia soli a cavarsela nelle loro storie, in qualche modo li osserva  come si guarda una formica annaspare in un bicchier d’acqua. Chaze (1915-1990) appartiene a quella genìa di narratori perfetti che hanno avuto meno fortuna di quanta ne meritassero, e va a onore di Mattioli 1885 l’averne rilanciato le opere: l’anno scorso con il mirabolante Il mio angelo ha le ali nere(1953) e oggi con questo La fine di Wettermark(1969), dolentissimo capolavoro, denso di ironia amara, concentrato di disincanto: un piccolo salmo in gloria della sconfitta umana.

Cliff Wettermark, cronista e scrittore fallito rifugiatosi in una piccola cittadina del Mississippi, sa di aver lasciato il meglio dietro di sé, e ripensandoci non era nemmeno ‘sta gran cosa. Ora deve 600 dollari alla banca, ha smesso di bere (gli manca) e di fumare (gli manca), il matrimonio è una convivenza stanca senza più un briciolo di passione, e si scopre una macchia tra il naso e un occhio, probabilmente un cancro (prima reazione : “Non posso permettermi un cancro”).
Il piano inclinato della sconfitta, insomma, si vede da subito, anche nella magistrale descrizione della provincia americana di fine anni Sessanta, perché a Chaze bastano tre righe, due movimenti e un guizzo per fare anche dei personaggi minori, fossero pure semplici passanti, ritratti che sembrano vivi. Così conosciamo colleghi,  poliziotti, direttori e cassiere di banca, un girotondo di “tipi” intorno al tipo nostro, il povero Wittermark, che però un giorno si accorge – ha dovuto scriverne in cronaca – di quanto sia facile rapinare una banca.
La maestria di Chaze si dispiega qui in modo perfetto: Wettermark non lo ami, non lo odi e non ti sta indifferente, ma dopo un po’, come per lui, tutto diventa pesante e fosco, si scivola, si sbanda. Non c’è rischio che Chaze crei un eroe, ma siccome è un campione vero rifugge anche la tentazione solita dell’anti-eroe. E le scene d’azione entrano in questo flusso, come separate eppure indistinguibili dalla vita normale: anche Wettermark, come il lettore, ha la sensazione che le cose – semplicemente – succedano. E’ un uomo solo, e farà tutto da solo: l’idea, il piano, la realizzazione. Wittermark non è un balordo né un delinquente, solo uno che vede che “si può fare”, e lo fa.
Chaze sa che la disperazione umana non è urlare e strapparsi i capelli, ma scivolare, appunto, verso il proprio destino. In poco più di 150 pagine (ma bella anche la prefazione del traduttore Livio Crescenzi) una vita singola, quella di Cliff Wettermark, diventa un bozzetto delle vite di tanti, di quelli alle prese con la sconfitta, con la fatica, il vuoto. E tutto con una nitida scrittura a strappi, a volte veloce come il migliore hard boiled, e poi più lenta e meditata, ma sempre precisa, netta, cattiva. I soldi, i dollari, i biglietti di banca come un’ossessione che prescinde dal valore, ma che è direttamente vita: “… in tutto il mondo la gente si sbatte da una parte e dall’altra con quei pezzetti di carta, e li dà via per avere sesso, automobili e barche e case, abiti, cibo, istruzione, li baratta con viaggi, e con quella roba costruisce chiese, casinò e bordelli…”. Wettermark non sogna tutto questo, ma i dollari li vuole lo stesso, gli servono. Il colpo di scena finale è stordente, niente sconti, niente appello. Il destino si compie, la fine di Wettermark, già scritta nel titolo, arriverà inesorabile a chiudere un noir nerissimo, bellissimo, un gioiello della letteratura americana, non solo di genere.

 

 

 

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