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sab
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nov 17

Una vita a zig zag tra spogliarelliste, luci di San Siro e puntate sui cavalli

E’ uscito (Quodlibet edizioni) Sportivo sarà lei, una raccolta di scritti, appunti, racconti eccetera di Beppe Viola. Qui la recensione su Tutto Libri de La Stampa

viola coverScrivere di Beppe Viola è un po’ complicato, perché alla fine ti tocca scrivere di quelli che fanno gli spiritosi, di quelli che si venderebbero la casa per una buona battuta e anche di quelli (lui) che sapevano guardare il mondo come se fosse quello che è: un posto di matti. Così questo “Sportivo sarà lei” edito da Quodlibet (che un paio d’anni fa aveva ristampato “Vite vere compressa la mia”, un classico di Viola) sembra una trappola, che ti tira dentro, ti risucchia nella nostalgia canaglia.
Va bene, leviamoci il pensiero: Milano non è più quella Milano là. Non c’è più Jannacci, né il Derby, né Dario Fo, non c’è più nemmeno la nebbia, i calciatori sono pettinati da pirla e nessuno di loro si presterebbe a fare un’intervista in tram. Eccetera eccetera. Però bisogna anche dire che parlare di Beppe Viola con il registro della nostalgia non va bene per niente, è troppo facile e soprattutto gli fa un torto grande: di Beppe Viola, oggi non bisogna invidiare quello che vedeva, ma come sapeva vederlo. Insomma, non il panorama, ma gli occhiali.
Diviso in capitoletti agili, il libro somiglia all’autore: un po’ di qua e un po’ di là, mai fermo un momento, un po’ (un po’ tanto) cronista sportivo, un po’ cabarettista, un po’ poeta a suo modo, con quel tanto di romanticismo che ci mette uno quando va alle corse dei cavalli e torna a casa con le tasche vuote – ma è stato bello lo stesso. Articoli pubblicati e non, racconti lasciati nei cassetti, pezzi di vita, di Milano, lezioni di biliardo, strofe scartate da Quelli che, calcio e altri sport sparpagliati, pillole di scrittura sopraffina: “C’ho via una gamba da quando ho fermato il tram in viale Porpora. Il pallone però l’ho salvato anche se adesso non mi serve”. Per dire – ma è solo un esempio tra mille – della poetica dei desperados à la Jannacci.
C’è da ridere, insomma, ma con quel ghigno che dice che non c’è niente da ridere, e si ride lo stesso.
Bella l’introduzione della figlia Marina Viola (che ha scritto anche un bel libro su papà, “Mio padre è stato anche Beppe Viola”, Feltrinelli, 2013), bella, commovente, la postfazione di Giorgio Terruzzi, che di Viola fu tanto complice da volergli bene come a un padre, e buona anche la divagazione di Marco Pastonesi sul giornalismo, o su come lo intendeva Beppe. Però, alla fine, il libro è tutto suo, del Beppe Viola, o meglio della sua cosmogonia milanese, quando non si era ancora così colti e snob da chiamare “situazionista” uno che lavorava alla Domenica Sportiva, ma trovava il modo di scrivere tanto, e bene, dalle canzoni alle sceneggiature, dalle cronache ai racconti, anche se si capisce che preferiva l’ippodromo, e quindi scriveva molto anche di cavalli e del vero motivo per cui esistono i cavalli: quelli che ci scommettono sopra.
Lette le duecentotrenta e passa pagine, riso il giusto, ricordato il giusto, percorso in lungo e in largo il mondo dall’ufficio 341 della Rai di Milano (dove capitava di incontrare “vecchi amici, ex collaboratori Rai, compagni di scuola, pittori illustri, aspiranti giornalisti, comparse della Tv, uscieri, reduci del ’15-’18, spogliarelliste e via dicendo”),  fino a San Siro, inteso come stadio, o fino all’epica di via Lomellina, quello che rimane è lo stupore. Stupore dello stupirsi di niente, delle vite normali, della fauna che ci circonda e che si permette di avere una vita sua. Storie di uomini che non prendono niente sul serio e per i quali – quindi – è tutto maledettamente importante.
E dunque quello che ci lascia Beppe Viola – anche in questi scritti raccolti come reliquie dagli amici – è una sopraffina capacità di vedere l’umano, di capirlo e di riderne, e non c’è dubbio che Viola – morto a 42 anni nell’82 – lo faceva senza dissociarsene, anzi mischiandosi volentieri ai suoi mille e mille personaggi e diventando uno di loro. Del resto, a uno che quando la figlia fa una scemenza a scuola manda l’amico Jannacci a parlare col preside non si può chiedere di meno. E quanto ai bilanci, lasciamo perdere: “Ho quarant’anni, quattro figlie e la sensazione di essere preso per il culo” basta e avanza, perché tra il magone e lo sghignazzo la distanza è brevissima, e lui la percorreva tutta, di corsa.

1 commento »

Un Commento a “Una vita a zig zag tra spogliarelliste, luci di San Siro e puntate sui cavalli”

  1. MI SENTO OBBLIGATO , DI COMLIMENTARMI CON L’ESTENSORE DI QUESTA PRESENTAZIONE. SCORREVOLE E GRADEVOLE. IO CHE DI ANNI NE HO 81, E SONO STATO TRA I FORTUNATI AD VAVER ASSISTITO AL TORNEO DI CALCIO(BEPPE VIOLA, ad arco di trento)mi associo, a tutto quanto viene espresso in maniera cosi solleticante da sentirmi anche parte di quei momenti.grazie . andro’ a comperarmi il libro. valentino lazzarini.

    da VALENTINO LAZZARINI   - giovedì, 9 novembre 2017 alle 06:53

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