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mar
27
giu 17

Il lettore rapito. Il testo sulla lettura, la scrittura e il resto, alla basilica di Massenzio

Il Festival Letterature di Roma mi ha chiesto di scrivere e poi leggere un testo inedito. Il tema era: scrittori/lettori, i banditi delle parole. Eccolo (è lungo, non è obbligatorio, conosco gente che non l’ha letto e vive benissimo, ma insomma, a chi interessa…)

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IL LETTORE RAPITO

Grazie a voi che siete venuti qui e grazie a quelli che mi hanno invitato.

A loro grazie un po’ meno, se devo dirla tutta, perché il loro è stato un orribile ricatto. Una richiesta assurda e impossibile e cioè tirare fuori da un cappello – un cappello gigantesco, un cappello immenso – una frase, una citazione, un virgolettato di quelli che mi hanno cambiato la vita, che mi hanno spiegato cos’è leggere, e perché non avrei mai smesso di farlo.

Massenzio2Insomma, mi appello alla benevolenza di voi tutti, se siete lettori capirete che non è facile trovare proprio quella frase, proprio quelle parole che vi hanno aperto il mondo. Sono disposto per questo a tutta la ruffianaggine possibile, al paraculismo estremo, fino a dire: “Ehi! Sono un lettore anch’io, andremo d’accordo!

Ma cosa volete? Che mi metta a cercare per casa l’Isola del tesoro per dire del mio primo salto sulla sedia? Che vada a scavare tra le belle parole degli altri, le frasi a effetto, quelle che magari ogni tanto servono per far colpo, o perché le sai agganciare a una situazione, perché le usi come didascalia, una stupida seduzione:

Venghino, venghino, signori, egli ricorda le frasi dei libri!

 Ma devono essere belle frasi? O bei libri?

Ecco. Ho già fatto casino. Mi dichiaro inadeguato al compito, mi arrendo, ma al tempo stesso intendo vendere cara la pelle e mi ricordo questa frase, che è un inizio, che è una schioppettata, che è una scommessa, e una promessa, e una sfida:

IL 25 MARZO ACCADDE A PIETROBURGO UN FATTO INCREDIBILMENTE STRANO

Ecco, lo vedete. Non è una frase storica, non è nemmeno quello là che si ricordava del ghiaccio davanti al plotone d’esecuzione. Non è nemmeno Holden che dice dei libri che ti hanno fulminato e che vorresti che l’autore fosse tuo amico e poterlo chiamare al telefono ogni volta che vuoi.

No, no, per carità, lascia stare il telefono, dai, ti do la mail…

Il 25 marzo accadde a Pietroburgo un fatto incredibilmente strano.

E’ l’incipit de Il naso, di Gogol’, che di suo è già una storia assurda: come si fa a perdere un naso? E come fa quel naso a prendere una carrozza e girare per Pietroburgo, staccato dal suo generale, il titolare del naso, il legittimo proprietario? Assurdo, sì, vero. Ma più assurdo ancora è come ci finisci dentro.
Cosa? Un fatto incredibilmente strano? E quale? Dai, su, sentiamo, sbrigati.
Bastardo, Gogol… dieci parole contate, dieci di numero, e sei suo.

Scavate una buca in un bosco, in mezzo al sentiero. Ricopritela di foglie e chi ci casca dentro sarà catturato. Una trappola, una carta moschicida. Perché lui, lo scrittore, al lettore, non dice solo di quel fatto incredibilmente strano, no. Gli dice: dai, ora voglio vedere se non vai avanti. Su, prova a non leggere se sei capace.

Si dirà che è una seduzione, una piccola furbizia per attirare l’attenzione, ma non è solo questo, no. Si tratta di caricare una molla, anzi di più: di generare stupore. Anzi, di più, di generare stupore con le vite degli altri, inventate da zero o prese qui è là, sempre vite degli altri sono.

E non è nemmeno essenziale che lo stupore sia sommo e ineguagliabile, si possono raccontare vite banali, se ne esistono, anche se il dubbio è sempre lì in agguato: se vedete vite banali forse non le sapete raccontare, oppure siete di quel tipo legnoso di lettore, quello che si sforza di non cedere allo stupore, di resistere. Ecco Dostojevskij ne L’Idiota:

Dicono che non stupirsi di nulla sia un segno di grande intelligenza; ma, secondo me, potrebbe essere allo stesso modo un segno di grande stupidità…

Quelli bravi vi diranno che tra lo scrittore e il lettore c’è un patto, è vero, in qualche modo. Ma diMassenzio3 quel patto il lettore dev’essere complice convinto, farsi portare, cascarci dentro, essere disposto a fare la faccia che fa il principe Myškin quando vede il ritratto di Natas’ja Filippovna. Insomma, cadere nella trappola, camminare sulle foglie anche sapendo, anzi di più, intuendo, anzi di più, sperando, di essere davvero catturato.

Ecco i banditi delle parole, quelli che ti rapiscono. Già, perché il sottotitolo di questa serata è ancora più subdolo e carogna… “I banditi delle parole”.

Abbiamo, di questi banditi, foto segnaletiche, o ritratti, o identikit. Ne conosciamo le vite e le passioni. Sono quelli che ti portano in giro per le Halles di Parigi a metà dell’Ottocento, o che vedono Lara sul tram… Lara! E allora corrono, e corrono dietro al tram, e gli viene un infarto, povero dottor Zivago! Sono quelli che guidano la decapottabile su per Hollywood boulevard, ancora un po’ sbronzi dalla sera prima, perché hanno un caso per le mani:

“Avevo appuntamento con quattro milioni di dollari”,

dice Marlowe.
Sì, i banditi sono questi qui, quelli che ti portano via dove vogliono loro, e tu sei contento di andarci.

Sono quelli che vanno dall’Oklahoma alla California raccogliendo frutta, con la nonna morta sul tetto del furgone, ed era Furore, 1939, sentite qua:

Dove c’è lavoro per uno, accorrono in cento. Se quell’uno guadagna trenta cents, io mi contento di venticinque. Se quello ne prende venticinque, io lo faccio per venti. No, prendete me, io ho fame, posso farlo per quindici. Così tra poco riavremo finalmente la schiavitù.

Ecco lo stupore. Ecco che il trucco funziona, ecco che restate, come dicono in Spagna, bocabienti. Ma tu guarda, mi ha rapito, mi ha portato via, in un altro mondo e in un altro tempo e mi ha spiegato il Jobs act.
Bandito anche lui, Steinbeck.

La sua tomba sta al cimitero di Salinas, California. Una tomba come le fanno gli americani, una lastra di marmo per terra e morta lì.

Morta lì è la parola giusta.

Qualcuno – qualche lettore – ci lascia sopra degli oggetti, non solo fiori, anche accendini usa e getta, pacchetti di sigarette. Non sarà come Holden che vorrebbe telefonare al suo autore preferito, però puoi portargli da fumare, anche a uno morto stecchito da cinquant’anni.

Cosa sarebbe questo se non il ringraziamento della vittima – del rapito – al bandito – al rapitore?

Gente strana, i lettori, gente che non si accontenta, e questo è giusto. Ora che i social e tutto quel digitare isterico rendono in qualche modo… telefonabili gli scrittori, come diceva Holden, se ne approfittano.

Esce il libro, lo annunci in rete, oppure pubblichi la prima recensione, oppure dici di una critica. Passano venti secondi, anche meno e sotto, il primo commento, la prima reazione che leggi è:

Bello, bene, e il prossimo? Quando esce?

Annunci che presenterai il tuo libro in un posto. Verona, Bergamo, Salerno centro, che ne parlerai con loro, con i lettori. Passano venti secondi e arriva il primo commento, la prima reazione:

E a Cuneo mai?

E a Trapani non ci vieni?

Lo stupore è reciproco, diventa una partita di ping pong. Io voglio stupirli, e loro stupiscono me. Uno mi ha fatto una specie di scenata: “Tu. Proprio tu. Che io consideravo un sincero democratico, una persona perbene, pacifista, anzi peggio, pacifico, proprio tu conosci così bene le armi da fuoco! Sei affascinato dalle pistole. Che delusione, vergogna!”

Io balbetto, in questi casi.

E’ che scrivo gialli, io. Se vuoi il morto, qualcuno deve restarci secco, è matematico. Se qualcuno resta stecchito lì sul tappeto qualcun altro lo avrà ammazzato, no?

Mi rendo conto che è una difesa debole, ma insomma, io scrivo gialli, o noir, o qualcosa del genere, la pistola è, diciamo così, un ferro del mestiere. Mi aiuta un po’ Chandler, in questo, anzi Chandler che parla di Dashell Hammett:

Hammett ha restituito il delitto alla gente che lo commette per un motivo, e non semplicemente per fornire un cadavere ai lettori; e con mezzi accessibili, non con pistole da duello intarsiate, curaro e pesci tropicali

Ma qui sta il punto, tra lo stupore di chi si fa rapire, e i banditi che ti rapiscono. Il giallo ha un vantaggio, anzi due. Il primo è che una volta che ti ho rapito, che ti ho tirato dentro, che ti ho detto, come Gogol, che è successo un fatto incredibilmente strano, tu vorrai capire, vorrai vedere come va a finire, e va bene, facile.

Il secondo vantaggio è che lì, nel giallo, nella storia nera, il delitto c’è per contratto, dichiarato, è la base da cui si parte, è il pilastro portante. Il Male, il Bene, il Buono, il Cattivo, sono lì dentro, e tu lo sai prima di cominciare.

Puoi avere buoni di tutte le specie, va molto quello sempre ubriaco con una donna che non c’è più, sporco di rimpianti ma abbastanza duro da non farli diventare rimorsi. Oppure il gentiluomo intuitivo al massimo grado, quello che vede un indizio e lo segue fino a un altro e fino a un altro e poi mette insieme i pezzi.

Oppure il buono muscolare, che fa a cazzotti e sta in piedi a caffeina e pillole.

O la caricatura scientifica del poliziesco tecnologico americano di inizio secolo – questo secolo –: si trova un pelo, lo si mette in un macchinario, anche portatile, una valigetta, e dopo tre minuti, dopo la pubblicità, saprai se il padrone del pelo beveva molto, se andava all’asilo dalle suore, se ha fatto il College a Santa Fé e guidava una Mustang. E’ l’ossessione scientifica, è il Male e il Bene ai tempi del colera tecnologico.

E anche i cattivi sono di tutti i tipi, certo. Ma quel che conta è che tu, lettore, lo sai, io, lettore lo so: il bene e il male sono compresi nel prezzo. Facile no? Ecco, ora bisogna solo mischiarli per bene.

Agitato, non shakerato.

Massenzio1E per quanto mi riguarda, se volete saperlo, la mia ansia di lettore è di finire in posti nuovi già pensati; e che chi scrive, il mio rapitore, il mio bandito, me li faccia pensare meglio. Io voglio finire in un buco, in una fessura, in un’intercapedine dove raramente si va a guardare.

Ecco, un’intercapedine.

Per esempio, resto al noir, al giallo, io voglio entrare – o portarvici, quando scrivo – in quell’intercapedine che c’è tra la Legge e la Giustizia. In quella fessura lì. In quella crepa nel muro. Perché la legge e la giustizia non sono la stessa cosa, non sono in scala uno a uno, sovrapponibili. No. Quello che è legale spesso è ingiusto, quello che è giusto spesso non è legale.

Una volta entrati in questa intercapedine, come Alice che casca nel pozzo, ecco, altri buchi, altri piccoli crepacci che possono inghiottirci. Sì, perché c’è un’altra intercapedine in cui si muove il noir, il giallo, il mistero da sciogliere. Ed è quella tra due giustizie, una di nome, fatta di ricostruzioni, faldoni alti due spanne, i testimoni, le prove, l’avvocato, il Pm, e la pittoresca scritta La legge è uguale per tutti, entra la corte.

E l’altra è la giustizia come la pensiamo noi, il senso di giustizia, quello che abbiamo da qualche parte tra il cuore e il duodeno, o il pancreas, che ne so, che ti fa dire: “oh, che ingiustizia!”, “Oh, ma questo non è giusto”.

Ecco, il bravo bandito, il rapitore migliore, è quello che ti porta lì.

Va bene il “Chi”, bello scoprirlo, bello indagarlo, elementare, Watson; ma noi lettori, noi rapiti grati al rapitore, vogliamo il “Come”, il “Perché”, soprattutto il perché.

Che ci sia il Bene, che ci sia il Male, c’è scritto in copertina, nella collana di questo o quell’editore, nel nome dell’autore. E’ un giallo, gente, ovvio che qualcuno si farà male.

Ma il perché il Male fa male e il bene cerca di metterci una pezza e di punirlo, e di beccarlo, devi cercarlo dentro.

Ecco, dentro quelle intercapedini lì, in quelle fessure, in quelle spaccature del terreno, cascano, o inciampano, o scivolano senza volere, le vite degli altri che ci interessa leggere, i mondi in cui veniamo rapiti, i perché di tutto.

E’ quando si verifica questo incontro tra la trama tessuta dal bandito e la voglia di sapere, di capire del lettore, che il famoso patto viene rispettato.

E’ una specie di mesmerismo, di magia. Con i suoi trucchi o le sue sfide, con i suoi, “Dai, su, vieni a vedere cosa succede qui, vieni a scoprire questo fatto incredibilmente strano”, lo scrittore ti ha preso, e ora che sei dentro è tutto diverso.

Sì, sì, va bene, non facciamola lunga, sei sempre tu, sei sempre in treno, in poltrona, sul letto, su una panchina col tuo libro in mano, e intanto però sei anche al gran ballo dell’ambasciata, o su e giù per le Langhe con la mitraglia in spalla come Johnny o Milton. Sei sempre tu, certo, ma non sei mica tu. Sei sempre lì, ovvio, ma non sei mica lì, magari sei a Madrid e non hai voglia di tornare a casa, e bevi in un posto pulito, illuminato bene, oppure sei nella tua villa bellissima e guardi dall’altra parte del lago e vuoi vedere la luce verde, che non vedrai.

O sei un qualsiasi Buendìa a scelta… e allora, come dice Marquez, ecco che succede qualcosa:

L’aria aveva una densità ingenua, come se l’avessero appena inventata.

Meraviglia! E’ questo leggere? E’ questo scrivere? Posso cavarmela dicendo che non lo so?

Posso dire che leggendo Zola a un certo punto ho amato monsieur Saccard, e pur sapendo che il disastro sarebbe arrivato, sicuro come l’oro, anch’io non avrei venduto le azioni dell’Universale, che anch’io puntavo al rialzo, al corso di tremila franchi, alla finanza che conquista il mondo, alla speculazione? Che imbecille, vero?

E non vi dirò di quella volta che mi fermai a fare benzina e finii per ammazzare il marito di lei, per pura passione di lei, roba da matti, col postino che continuava a suonare.

O di quando ho capottato con la macchina in mezzo alla neve e mi ha salvato una lettrice – proprio una lettrice – e mi ha rapito lei, questa volta, prendendomi a martellate perché quella scema di Misery non doveva morire.

E poi quando siamo andati a fare la Resistenza sulle montagne e a catturare fascisti da scambiare col nostro amico solo perché ci dicesse, poi, alla fine di tutto, cosa c’era davvero, esattamente, tra lui e Fulvia. Tutti qui seduti abbiamo detto almeno una volta nella vita insieme al Milton di Fenoglio:

Fulvia, a momenti mi ammazzavi!

Ecco, ho finito senza dire niente, perfetto, giusto così.

Sapete cosa c’è scritto sulla tomba di Leonardo Sciascia, a Recalmuto? C’è scritto:

Ce ne ricorderemo, di questo pianeta.

Accidenti.
E’ vero. Ce ne ricorderemo, e non solo della vita nostra – che ovviamente rivedremo tutta come un film, che cazzata – o dei vicini, degli affetti, degli amori, degli amici, dei figli. Ma ci ricorderemo sempre anche di altri che stanno, che stavano, in questo pianeta. I banditi delle parole, quelli che ci hanno rapito e portato con loro chissà dove, in mezzo alla campagna inglese, nella steppa, nella giungla, in macchina a Palm Springs con un’avventuriera bella da mozzare il fiato, a sparare a qualcuno, o esserne sparati, e in tutti quei posti dove siamo stati a vedere gente che cascava nelle intercapedini, nelle fessure, nei crepacci.

Da lì, abbiamo preso anche quello che siamo, non tutto, ma un bel po’.
Ce ne ricorderemo, di questo pianeta.
Sì, sì, sicuro.
L’ho letto da qualche parte.

(Roma, Basilica di Massenzio, Festival Letterature, 26 giugno 2017)

 

1 commento »

Un Commento a “Il lettore rapito. Il testo sulla lettura, la scrittura e il resto, alla basilica di Massenzio”

  1. Ciao Alessandro, bel pezzo. Mi raccomando, “bocabierto”, non “bocabiento”

    da federico_79   - mercoledì, 28 giugno 2017 alle 07:33

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