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Alfabeta2 – La palla? E’ tutto meno che rotonda

Ieri sera sono finiti i mondiali di calcio. Sappiamo chi ha vinto. Questo pezzo che ho scritto per Alfabeta2 spiega anche chi ha perso. Buona lettura.

I MONDIALI DEL CAPITALISMO PLANETARIO
Citiamo i classici. Giovanni Trapattoni: “Non sempre la palla è rotonda, certe volte c’è dentro un coniglio”. Era per dire che a volte, nel calcio, caso, rimpalli, zolle sconnesse, piedi storti e culo, inteso come fortuna, fanno la differenza. Ma quella frase-cardine dell’onirica semantica trapattoniana, può servire anche ad altro: per esempio a spiegare i mondiali sudafricani, i 214 paesi collegati via satellite, le 73.000 ore di trasmissioni tivù, i trenta miliardi di telespettatori (audience cumulativa del Rito). E’ vero: nel pallone c’è un coniglio, ed è il grasso coniglio del mercato.

Il vecchio adagio antagonista, duro a morire, si ostina a interpretare i Mondiali del pallone come arma di distrazione di massa. Guarda, si dice: il mondo va a pezzi, il Golfo del Messico sa di petrolio, economie intere cascano come birilli e noi, tapini e accecati, tutti a correr dietro a un pallone. E’ una narrazione insufficiente, già sentita, già dribblata. La verità è esattamente l’opposto: il Mondiale di calcio non è un velo di smemoratezza e distrazione che copre le vergogne del Capitale, anzi. Esso ne è invece una perfetta metafora, un ricalco preciso. Il Mondiale del pallone è il  mondiale del capitalismo planetario, con le sue illusioni, le sue diseguaglianze feroci e le sue miserie nascoste dai lustrini, esattamente come le pubblicità glamour coprono le fabbriche dello sfruttamento globale.

Più paesi e Nazioni perdono potere, più sembrano barchette precarie in ostaggio di mercati e speculatori, più si risveglia il sentimento sciovinista. Il rito tribale fa il resto. Il compiacimento con cui ci viene mostrato il nazionalismo carnevalesco sugli spalti del Mondiale è inversamente proporzionale al potere reale delle nazioni. Tutte quelle facce pittate coi i colori nazionali non sono altro che una terapia di mantenimento dell’illusione, e viene da chiedersi quali colori si pitteranno in faccia i boss di Standard & Poor o di Moody’s, che quelle nazioni di fatto controllano. Chicos messicani e rubizzi londinesi, focosi nigeriani e astuti paraguagi, tutti estasiati dai colori nazionali, forse inconsapevoli che squadre asettiche, ciniche e senza colori sociali disegnano a tavolino la loro sanità, la loro scuola, il loro welfare, se ancora ce l’hanno.

E siccome quando si parla di mercato si parla di ineguaglianze, eccoci alla nazione ospitante, il Sud Africa. Non si contano i peana sul Paese africano che ha vinto l’apartheid, ma la stima imperitura per il suo leader assoluto – Nelson Mandela – annega nella retorica. Hurrà, il buon selvaggio si è liberato e ci assomiglia, alla buon’ora! Meno, molto meno, si dice di un Paese in cui due terzi della popolazione vive sotto la soglia di povertà, e la metà degli abitanti campa con un euro e mezzo al giorno, a dispetto dell’oro e dei diamanti: l’apartheid è stato sconfitto, per le diseguaglianze riprovate più tardi. La spesa iniziale prevista dal governo per il Mondiale era di appena 230 milioni di euro, che sono diventati 3,5 miliardi, manco ci fossero nei paraggi Bertolaso e la cricca. Un massiccio piano di opere pubbliche ha interessato ferrovie veloci, grandi alberghi e telecomunicazioni, tutti beni che la stragrande maggioranza dei sudafricani non potrà mai usare. Per non dire della repressione, compagna di strada perenne del mercato:  150 milioni spesi per “migliorare” l’ordine pubblico, 40.000 poliziotti reclutati per l’occasione, 200.000 guardiani civili, 420.000 agenti delle milizie private, armi antisommossa, telecamere, aerei da caccia e persino sommergibili. Se nel pallone c’è un coniglio, fuori dal pallone c’è un esercito. E pulizia etnica. Le bidonville attorno agli stadi sono state rese presentabili anche con retate, controlli, deportazioni di massa (20.000 persone allontanate da Città del Capo, per esempio).

Se il mondiale è il Capitale, conviene dare un’occhiata ai capitalisti. La Fifa, la Federazione mondiale del Football, sede in Svizzera, ha un bilancio che ruota intorno al miliardo di euro, con l’appoggio delle grandi sorelle del capitale, Coca-Cola, McDonalds e altre centinaia di sponsor. I mondiali sono loro. Senza contare il capitalismo glamour delle marche alla moda: il solito derby planetario Nike versus Adidas, che riproduce in forma di scarpe, magliette, abbigliamento ed emozioni quel che fanno coi i computer Apple e Microsoft, giungendo a condizionare i giochi, a tramare manovre, a indirizzare passioni. A cominciare proprio dal pallone dei Mondiali, Jabulani (“festeggiare” in lingua Zulu), creatura Adidas che secondo molti portieri va dove vuole lui, disegna strane traiettorie, inganna nei tiri da lontano caricandosi di assurdi effetti ingannatori. I portieri si lamentano, ma soltanto i portieri Nike, perché quelli griffati Adidas non fiatano: è la libertà d’espressione al tempo del colera. E degli sponsor.
E i soldi? I soldi, quelli veri, arrivano dai diritti televisivi. Joseph Blatter, il ras della Fifa che veleggia verso il quarto mandato consecutivo, li negozia direttamente con la Infront Sport & Media, sede in Svizzera, il cui presidente è… suo nipote, Philippe Blatter. Capitalismo per dinastie, capitalisti per casata, casta o cricca, la solita storia.

Naturalmente il capitalismo ha le sue grandi potenze. La geopolitica del pallone garantisce i poteri forti, al punto che la Francia (vicecampione del mondo uscente e nazione che esprime il presidente dell’Uefa, Michael Platini) arriva in Sudafrica grazie a un clamoroso furto (gol di mano di Thierry Henry contro l’Eire). Attenzione, però. La Fifa ha più stati membri dell’Onu (207 contro 192), per cui i poveri contano anche se non pesano. La federazione dell’America centrale, del nord e dei Caraibi (Concacaf), per dirne una, rappresenta una miriade di stati, isolette, minuscole repubbliche, e il suo capo, Jack Warner, consigliere della Federazione Calcio di Trinidad e Tobago, conta ben tre seggi all’interno del Comitato Esecutivo Fifa, spesi sempre per sostenere il potere di Blatter. Un po’ come i poveri stati africani votano per il Giappone in tema di caccia alle balene. Nella ragnatela del potere del capitalismo pallonaro, insomma, Trinidad conta più del Brasile, dell’Argentina o dell’Italia, detentrice del titolo 2006.

Il calcio è divertente, conviene comunque stare al gioco. Le speranze del tifo “democratico” si addensano dunque sulle squadre africane, tra tutte Costa d’Avorio, Ghana, Camerun. E qui spunta un’altra analogia pallonara con il grande coniglio matto del mercato e i suoi derivati: colonialismo e schiavismo. Sì, perché i grandi campioni africani giocano nei ricchi campionati europei (Francia, Gran Bretagna, Spagna, Italia), e un razzismo sottile e impalpabile spinge la critica a negare alle squadre africane capacità tattico-strategiche. Sono fisici, loro. Corrono “come gazzelle”. Sono feroci nei contrasti “come leoni”. Ma – si sottintende con malizia – il football è un’altra cosa, l’intelligenza tattica non fa per loro, e nei rari casi in cui la esercitano, sia chiaro, l’hanno di certo imparata qui. Motivazioni non difformi da quelle usate dagli antichi colonizzatori europei per tenere al loro posto le popolazioni autoctone, “incapaci di organizzarsi”. Gli abbiamo fatto le strade, dicono i colonizzatori che usavano gas tossici contro i civili. Gli abbiamo insegnato la tattica, dicono ora i telecronisti.

E comunque si sa: la miglior benzina conosciuta dal mercato, il propellente sempre buono, è il lavoro a basso costo, le braccia (le gambe, in questo caso) comprate e vendute per pochi euro. Così, se da un lato sappiamo della migrazione delle moltitudini da sud a nord, delle braccia buone per i pomodori della Campania e le arance di Rosarno, dall’altro nulla sappiamo del vasto fenomeno dello schiavismo pallonaro. Sono migliaia i giovani e giovanissimi talenti dirottati verso l’Europa, con contratti-capestro lunghi anche dieci-quindici anni, gettati nella mischia dei campionati minori europei, poi – quando non ce la fanno – ributtati nel limbo della clandestinità e dell’emigrazione coatta. Agenti e talent-scout battono campi e prati da Abijian a Pretoria: solo grazie al progresso non posseggono più navi negriere, ma biglietti in classe economica – sola andata – per ragazzini in cerca di una fama che non verrà, e per guadagni già ipotecati alla firma del contratto.

Il Mondiale sudafricano è dunque un piccolo Bignami del Capitale,  una sua caricatura in calzoncini e maglietta. Compresa l’analogia forse più forte e agghiacciante: il consenso a un sistema evidentemente irrazionale ma senza opposizione. Perché negli slums di Città del Capo, così come nelle favelas di Rio, o nelle maquilladoras di Città del Messico, o nei bar africani di Castel Volturno, si segue, e si tifa, e si soffre per le sorti di quello stesso sistema che opprime. Come il capitalismo, lo si considera in qualche modo inevitabile.
Eppure la palla non solo non è rotonda, ma non è nemmeno uguale per tutti. Oltre al coniglio, contiene miti comodi e confortanti: il buon selvaggio (la squadra africana), o l’investimento sul territorio (solo per ricchi e ceti medio-alti), o l’etica sportiva che forma ed educa (magari abbattendo gli slums e deportando popolazioni inguardabili). Con in più, lo sfregio e lo sberleffo. Un anno prima del Mondiale, un Joseph Blatter entusiasta e inaspettatamente munifico prometteva: “L’intero continente africano deve trarre profitto dalla Coppa del mondo… Entro il 2010 installeremo un campo con tappeto erboso artificiale in ogni federazione africana”. Insomma, un quadratino di plastica verde in cambio del lasciapassare per affari milionari. Uno specchietto, una collanina, e poi via sulle navi dei bianchi. E’ il mercato, bellezza. Gol!

 

10 commenti »

10 Commenti a “Alfabeta2 – La palla? E’ tutto meno che rotonda”

  1. Bologna dimenticata? Non mi è stato possibile trovare una copia della rivista. Gli edicolanti cadono dalle nuvole… Per fortuna a.r. mi viene in aiuto con questo bell’articolo.
    Sembra che il calcio ormai sia un diritto assoluto per le masse… Ingenue, penso maliziosamente io!… Al contrario della libertà di stampa, che, secondo l’impareggiabire sultano dittatoriello da strapazzo, non è infatti un diritto assoluto…. Becero capitalismo deturpante da una parte, schiavitù senza scampo dall’altra. E il popolo fa la “ola”…

    da Vittorio Grondona   - lunedì, 12 luglio 2010 alle 11:25

  2. Tuttavia, negli USA, il calcio è considerato sport di sinistra e quindi osteggiato dai liberal perchè è praticato dagli ispanici e dalle minoranze . I grandi network , inoltre,gli dedicano poco spazio perchè è uno sport con poche pause per poterci infilare la pubblicità. I calciatori vestono pantaloncini e maglietta, quindi non possono essere usati come dei board sui quali applicare pubblicità in ogni centimetro quadro. E’, infine, lo sport preferito di Clinton e Obama, che, per quanto rappresentanti del
    Capitalismo, sono pur sempre più democratici dei nostri leader. Cordialmente

    da edgardo   - lunedì, 12 luglio 2010 alle 11:38

  3. Tutto molto ben scritto, e di cose da dire ce ne sarebbero ancora molte. Per esempio, a me fa impressione sentire la gente ripetere a pappagallo che “se uno è ricco coi soldi ci fa quello che vuole”, riferito ai Berlusconi, ai Moratti, agli Abramovich del Chelsea…(eccetera)
    E poi, chiedo scusa ai serbi, ma a me veder giocare la Serbia mi fa ancora impressione. Tutti quei morti, stupri, violenze, fosse comuni, sembra che tutto sia stato cancellato e dimenticato: e sono solo 15 anni fa.

    da giuliano   - lunedì, 12 luglio 2010 alle 17:13

  4. Scusa Alessandro se cambio argomento e tiro la catena sul pallone e il mondo pallonaro ma debbo dire qualcosa su questo merdaio. E’ più forte di me. Antropofagi, adesso si sbranano anche tra di loro, non potendolo più fare con una sinistra timida e fuori dai circuiti mediatici. Adesso si prendono anche RAI NEWS 24 (cacciano Corradino Mineo) e rimane solo un avamposto su 11 testate televisive (il tre). Praticamente più del 60% di italiani senza rappresentanza mediatica. Z L’ORGIA DEL POTERE, CI SIAMO. Il Parlamento è orami un teatrino visto che la politica si fa a casa di Vespa e a Porta a Porta. Come sempre è avvenuto nella storia, la chiesa è presente al banchetto, non manca mai e conferma di essere rappresentata da gentacce delle peggiori. Il nostro paese scivola verso l’autoritarismo becero con le metastasi di illegalità fino al midollo. Più escono intercettazioni che parlano di nefandezze che, in un qualsiasi paese democratico e civile, provocherebbe la rivoluzione d’ottobre, da noi si riscontra la complicità di media e cittadini, ormai addormentati (almeno la stragrande maggioranza), più si criminalizza la magistratura e si cerca di mettere il bavaglio alla verità. E’ lo sfacelo di un paese e del suo popolo. Ci vorranno decenni per rimettere le cose in ordine. Bisogna chiedere ogni giorno e ogni ora a chi sostiene con il proprio voto questo governo e questa gentaccia che gusto ci prova e vincerla facile: quasi la totalità deimezzi di comunicazione, magistratura e media imbavagliati, mafia,camorra, ndrangheta tutta protesa a supportare la destra e a regalargli voti, dossier fasulli contro tutto e tutti,cricche e comitati d’affari schifosamente quasi alla luce del sole. Che gusto ci provano e non si sentono complici?

    da EDOARDO   - martedì, 13 luglio 2010 alle 10:21

  5. l’unico lato positivo è che non ha vinto l’Olanda…
    pensa che sberleffo: spendono tutti quei soldi per
    organizzare il “campionato di Mandela” e poi se lo
    vincono i parenti europei degli Afrikaner…

    alba

    da Alba   - martedì, 13 luglio 2010 alle 11:10

  6. Nel mondo del pallone, si sa, gli sprechi abbondano, ma nessuno ci fa caso… Divertiti popolo!… Si sprecano quattrini in Sardegna per un G8 che non si farà più là… Ma chi se ne frega. Divertiti popolo e sfogati contro Lippi!… Si annuncia una pandemia e si acquistano vaccini per oltre 60 milioni di euro che ora stanno marcendo… Ma chi se ne frega. Diveriti popolo, prendetela con i maiali, innocenti in questo caso!… La cricca spende e spande i nostri soldi intascandosi miliardi… Ma chi se ne frega. Divertiti popolo, ti acquisto un nuovo allenatore di prim’ordine!… In casa di Bruno Vespa, giornalista doc che festeggia i 50 anni di puro servilismo insieme a personaggi di grido della nostra politica/giustizia/religione, succube del Vaticano volere oltre ogni ragionevole misura… Ma chi se ne frega. Divertiti popolo. Al prossimo campionato italiano di calcio ci saranno giocatori illustri per il cui acquisto non si baderà a spese. Inoltre ogni giocatore sarà libero di sputare a piacere per la goduria generale quando è inquadrato in primo piano dalle telecamere!… Tremonti, il famoso veggente finanziario, sostenitore un tempo della finanza creativa che ci ha portato alla crisi attuale, ha ideato una manovra “spelapoveri” senza precedenti… Ma chi se ne frega. Divertiti popolo. Il Bologna ha trovato un nuovo padrone!… Il pdl è praticamente indagato in ogni settore importante… Ma chi se ne frega. Divertiti popolo. Anche José Mário dos Santos Mourinho Félix è capace di piangere!… Cacchio, direbbe oggi la marchesa seduta su un fittone, questa volta c’entra davvero: il nostro è proprio un paese del cavolo…

    da Vittorio Grondona - Bologna   - martedì, 13 luglio 2010 alle 14:39

  7. L’impossibile impresa di smontare il maledetto luogo comune che vuole il calcio come metafora di nostra sfacciata contemporaneità… Mica ce la facciamo. Forse perché il Gioco (la maiuscola sottolinea tutto il fascinoso e tutto l’orrido che sta dentro ad ogni gioco, dai sonagli sopra la culla in poi…)del calcio è una insostituibile metafora di un meraviglioso irrinunciabile vizio tutto umano troppo umano: quello (maledetto) di… vivere.

    da minimax   - martedì, 13 luglio 2010 alle 18:00

  8. molto ben scritto, tuttovveronè, xò anche un po’ ingeneroso con la passione…..
    può esser poco, xò
    1) lo share dell’80% e passa x la peggior partita di calcio della NNazionale che si ricordi è uno schiaffo fragoroso a chi fa del rancore la base della sua politica e del suo potere;
    2)a Barcellona si passa in 24 ore da una marcia di protesta in difesa dei diritti dell’autonomia al festeggiamento per la Roja, e i commenti post Germania (ero lì) sono “la gente chiede ai politici l’unità dimostrata dalla Roja”;
    3) il modello interetnico della Germania (compreso l’italianissimo catenaccio&contropiede praticato) fa dire a un anziano analista finanziario tedesco (politicamente MOLTO conservatore) “finalmente abbiamo una squadra dove tutti sanno cosa fare col pallone”, magari anche xché non son tutti biondiocchiazzurri;
    4)financo un modello di sport di squadra ovvero di comunità contro l’individualismo esasperato “di questi eterni anni 80″: in Spagna il loro spot televisivo vede Casillas Ramos Xavi Silva e Villa passarsi la palla, mentre escono presto TUTTE le star Nike, che non a caso nel loro spot (cioè: in quello della Nike, che è praticamente loro dato quello che li paga) voglion scrivere la storia, ma quella loro personale…. Mirabile (parte finale dello spot)CR9 che batte la punizione pensando alla statua che gli faranno e poi esce sputando in tivvù contro… guarda un po’, proprio contro la Spagna!!!

    Forse come si dice in un proverbio della mia terra, titolo di un piccolo film di qualche tempo fa, “ricordati che nella vita c’è il dolce e c’è l’amaro”; nel pallone, come in tutte le cose
    ci son entrambi gli aspetti, e alla fine quelli che si pitturano la faccia di colori diversi e poi si fan una foto insieme, magari senza parlarsi xché son di lingue non compatibili, forse nella trincea – magari elettronica – prossima ventura ci penseranno un attimo di + prima di tirare il grilletto…..
    Sperem
    GLK

    da gianluca   - mercoledì, 14 luglio 2010 alle 08:49

  9. E’ tutto vero, il ragionamento è lucido. Un moderno oppio dei popoli, come altri anche se meno opprimente di altri (la religione, i mezzi di distrazione di massa, ecc.). Eppure il calcio, come altri sport, può raccontare storie vere e belle e può provocare emozioni forti in chi lo segue da semplice spettatore. Ed esiste anche una minoranza malridotta capace di entusiasmarsi per il calcio, o anche solo per una partita, senza per questo perdere la bussola, senza dimenticare le circostanze,
    senza cedere di una virgola alla doverosa critica del potere, anche quello che governa il calcio stesso. Al più alto livello di questa malconcia minoranza troviamo personaggi come Eduardo Galeano. Questo è un suo pezzo che a leggerlo ci si emoziona quasi come guardando un bella partita.
    Hasta siempre.

    http://www.forumlibri.com/forum/showthread.php/9320-Galeano-Eduardo

    da carlo.e   - giovedì, 15 luglio 2010 alle 04:48

  10. Fair Play?

    da stefania   - venerdì, 16 luglio 2010 alle 09:26

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