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sab
27
apr 19

Babij Jar, un grande romanzo russo. Recensione su Il Fatto

Qui c’è la recensione del romanzo di Anatolij Kuznecov

IMG_0683Primo capitolo, prima riga: “Tutto in questo libro è verità”.

Il lettore ci penserà spesso, leggendo, e persino l’autore gli chiederà a un tratto, in mezzo a una storia, di andare a rileggersi quella riga iniziale. Tutto vero, tutto scritto come bisogna scriverlo.

Ma prima la storia. Nel settembre del 1941 i nazisti prendono Kiev, Ucraina, nuovi padroni, la grande civiltà germanica. Il 29 settembre convocano la popolazione ebraica dicendo di portare valori, soldi, indumenti pesanti. Si presentano tutti, forse sanno, ma non vogliono sapere. Li mettono in fila a Babij Jar, un grande dirupo nella parte occidentale della città, una gola stretta e profonda, li fanno spogliare, li uccidono a uno a uno con raffiche di mitra, li gettano nel burrone, coprono con uno strato di terra. E ricominciano.

Per giorni.

Trentatremila vecchi, donne e bambini. Poi arriveranno gli zingari, poi i bolscevichi, i russi, e poi chiunque trasgredisca ad ogni capriccio nazista, colpevole di avere una fetta di pane nascosta, o di possedere una patata, o di avere più di quattordici anni, confine tra vita e morte, oltre il quale ti spedivano in Germania “a lavorare”.

Tolik di anni ne ha dodici, e vede, e sguscia in quell’orrore e in quella barbarie con la tenacia del gatto che mira a sopravvivere: indomito, eroico, ironico e spaventato, è lui che racconta “la verità”. Nonno Semerik, che aveva visto cacciare lo zar, e poi venire i bolscevichi, e poi ammazzare i kulaki – contadini con un pezzo di terra come lui avrebbe voluto essere – è la Storia vivente: oppressioni su oppressioni su oppressioni. Quella che vede Tolik, di storia, è la barbarie nazista al culmine del suo delirio: alla fine di tutto, quando i tedeschi creeranno i forni per cancellare le prove, in fondo a Babij Jar si conteranno oltre centomila morti innocenti, ma il numero vero non si saprà mai.

I liberatori – la gloriosa Armata Rossa – portano uno stalinismo al massino del suo fulgore: altra paura e altra oppressione. Su Babij Jar, invece che un monumento, faranno una diga, che crollerà, infine una strada. Niente più burrone, niente memoria: l’antisemitismo dello stato sovietico era ben vivo, niente da ricordare.

E invece ecco il libro di Anataolij Kuznecov. Cos’è? E’ una testimonianza, certo, una ricostruzione, documenti, fatti, nomi veri. Ed è anche il racconto tesissimo e spaventoso di un ragazzino – Kuznecov tredicenne – che ha momenti epici e quasi picareschi, personaggi perfetti immersi nella tragedia e nella paura, un popolo di mendicanti finito “tra l’incudine e il martello”. Una scrittura nitida, piana, perfetta, con spaventose impennate, impeccabile, terribile.

Ma in Babij Jarc’è anche un’altra storia, che è proprio la storia del libro. Consegnato nel 1965 alla rivista Junost(considerata progressista nell’Urss post-stalinana), fu tagliato, censurato, corretto, mutilato. Tutto ciò che riguardava il potere sovietico, critiche, osservazioni, testimonianze, persino avventure del piccolo Tolik, spariva sotto i colpi della censura (minuscoli segni grafici segnalano i tagli del testo e ci dicono ancora una volta quale ottuso imbecille può essere un censore). Nel 1969 Kuznekov fugge in Occidente e si mette a ricucire tutto, parti cancellate, pagine sparite, testimonianze strappate, e pubblica (1970) Babij Jarnella sua versione definitiva. Quella vera, quella in cui “tutto è verità”.

Libro importante e potentissimo disegno nitido di quella guerra “tra due campi di concentramento” che furono il nazismo prima e lo stalinismo poi. Il calvario di Kiev, la storia del piccolo Tolik. Insomma, un grande, poderoso, romanzo russo.

1 commento »

Un Commento a “Babij Jar, un grande romanzo russo. Recensione su Il Fatto”

  1. Credo sia a questo punto obbligatorio ricordare e consigliare Vassili Grossman, corrispondente di guerra con l’Armata Rossa che raccontò quella guerra dall’inizio alla fine. Uno dei suoi reportage racconta proprio di Babi Jar; lo si può leggere in “Uno scrittore in guerra”, che raccoglie alcuni suoi scritti. Ucraino di madre ebrea, uccisa dai nazisti (o da ucraini filonazisti, non ricordo), per niente piegato intellettualmente al regime, è autore del celebre “Vita e destino”, opera monumentale dalle vicissitudini anche più travagliate del libro di cui scrive Robecchi, e che si può ben inquadrare nel concetto di “guerra tra due campi di concentramento”.

    da Enrico   - domenica, 28 aprile 2019 alle 10:19

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