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La battaglia sui salari: quando la sinistra era presente a se stessa

fatto280219Qualche settimana fa, in questa rubrichina, ebbi l’ardire di parlare di salari. Lo feci un po’ imbizzarrito, ammetto, dal fatto che alcuni (Confindustria, Boeri e altri) notavano che molti italiani che lavorano prendono più o meno come il reddito di cittadinanza. Pareva dagli accenti, dalle sfumature, e a volte anche da affermazioni dirette, che ciò fosse gravemente lesivo del libero mercato che – prendendo un disoccupato una certa cifra – non avrebbe potuto comprimere ancora di più i salari. Una specie di concorrenza sleale tra disoccupati poveri e lavoratori poveri su cui i “poveri” imprenditori versavano accorate lacrime.Mal me ne incolse, perché venni subito apostrofato da Carlo Calenda che mi chiedeva (a me!) idee su come alzare i salari, che è un ben strano modo di intendersi esperti del ramo, un po’ come se l’elettrauto mi chiedesse col ditino alzato: “Beh? Come si monta questa cazzo di batteria? Me lo dica, non stia lì solo a criticare!”. Non fa una piega. Segnalo comunque che nelle settimane intercorse si sono ascoltati tuttidiscutere su come abbassare il reddito di cittadinanza, e nessuno su come alzare i salari, quindi diciamo così che a pensar male ci si azzecca.
Ora che il Pd affronta un congresso per decidere dove andare, non è male che qualcuno, là dentro, rifletta sul tema della rabbia. Un grande partito sa incanalarla, farne strumento di pressione, volgerla verso decisioni meno inique, mentre il Pd, per quello che si è visto e sentito, l’ha guardata crescere come la mucca guarda passare il treno, e in qualche caso fomentata. Dal 2010 al 2017 (governi Berlusconi, Monti, Letta, Renzi, Gentiloni) i salari reali sono calati del 4,3 per cento (fonte: Sole 24 ore), un dato che dice tutto, a proposito di incazzatura. Se volete sommare altri numeretti, che sono noiosi ma spiegano l’ampiezza del problema, sappiate che un italiano su tre dichiara meno di 10.000 euro l’anno, cioè una cifra insufficiente a campare degnamente. Si aggiunga la questione del lavoro “sovraistruito”, cioè quel trentacinque per cento di lavoratori diplomati e laureati che hanno un’occupazione non adeguata al titolo di studio. Insomma: ingegneri che consegnano pizze, sì, ne abbiamo.

E del resto, quando si trattava di ingolosire investitori esteri a venire qui (ottobre 2016), il Ministero dello Sviluppo Economico stampò e diffuse delle belle brochure colorate dove si leggeva: “Un ingegnere in Italia guadagna mediamente in un anno 38.500 euro, mentre in altri Paesi lo stesso profilo ha una retribuzione media di 48.500 euro l’anno”. Tradotto: venite qui che costiamo meno, veniamo via con poco, due cipolle e un pomodoro. Un vero e proprio vanto (ancora da quella brochure): “I costi del lavoro in Italia sono ben al di sotto dei competitor come Franciae Germania”. Che culo, eh! Il ministro era – lo dico senza ridere – Carlo Calenda.

Ora, a farla breve, bisogna capire come il salario (che si sognava, a sinistra, variabile indipendente) sia diventato variabile dipendentissima, subordinata e in ginocchio, mentre a diventare variabile indipendente (cioè intoccabile) sono i profitti e le rendite. Capire, sì. E magari anche intervenire sulla vera manovra urgente: riequilibrare la voragine che si è aperta nel reddito dei lavoratori italiani, quelli che hanno pagato la crisi. Quali forze politiche oggi vogliono e possono prendere questo problema e farne il centro della loro azione? Si direbbe nessuna. Eppure, a proposito di popolo e populismo, quella sui salari sarebbe una battaglia assai popolare, a patto di tornare un po’ verso sinistra (il Pd) o di andarci (i 5 stelle). Chissà, forse disegnare intorno al lavoro (dignità, salari, diritti) una qualche politica di medio-lungo termine, invece di stare appesi alle battaglie dello sceriffo Salvini, sarebbe una luce in fondo al tunnel.

6 commenti »

6 Commenti a “La battaglia sui salari: quando la sinistra era presente a se stessa”

  1. Proprio ieri sul fatto è uscito un articolo in cui l’ennesima azienda, informatica sta volta, si lamentava della mancanza di gente disposta a lavorare a stipendi “nella media dei competitors” (sic). Dai commenti che seguivano è emerso in modo inequivocabile che:
    – alcune aziende nel IT hanno stipendi bloccati dal 2008
    – altre considerano poco più un ingegnere informatico ad un metalmeccanico avanzato (inizio carriera stipendi di 1400 o poco più)
    più una domanda latente “perchè lavorare a condizioni simili quando ovunque in Europa si hanno opportunità molto più interessanti?”

    E generalmente in tutti questi articoli sui famosi imprenditori, siano panettieri o manager di grosse aziende, che non riescono a trovare lavoratori emergono sempre delle condizioni di lavoro, magari non umilianti, ma fortemente limitate (stipendi stabili, nessuna possibilità di progesso, di carriera, orari intensi…).

    da Sebastiano   - giovedì, 28 febbraio 2019 alle 11:06

  2. sono ateo, ma non ho difficoltà a riconoscere che a FARE qualcosa di sinistra, in Italia, sono rimasti solo alcuni preti

    i politici sedicenti di sinistra – PD e LeU – sono solo dei borghesucci, buoni solo a cianciare

    se fanno qualcosa, è ancor peggio :
    fanno qualcosa di destra, ovvero a favore dell’ingiustizia sociale
    (in particolare negli anni dei governi Monti, Letta, Renzi, Gentiloni)

    oltre 50 anni fa don Milani era durissimo nei confronti dei borghesi sedicenti di sinistra

    la sua critica mi pare sempre attualissima

    davanti a quel che FANNO / HANNO FATTO persone come don Milani, padre Zanotelli, don Ciotti tutti i politici sedicenti di sinistra spariscono, sono solo insignificanti nanerottoli blateranti a vuoto

    da giovanni   - giovedì, 28 febbraio 2019 alle 11:10

  3. La situazione la fotografo come un cane che girando su un palo vuole mordersi la coda,pare stucchevole come sia cieca tendente a far sbattere il Paese contro un muro,più il lavoro renderà miserabili le persone e più l’economia risulterà stagnante.

    Un tetto ai guadagni di manager per redistribuire la ricchezza in ogni azienda pare assolutamente necessaria,pur mantenendo la giustissima meritocrazia,ci mancherebbe,ma non è accettabile che per quanto una figura sia importante,debba guadagnare come migliaia di persone in taluni casi,Fca insegna.

    Tenendo ben presente che il costo del lavoro in Italia risulti caro rispetto ad altre realtà,pur avendo stipendi medi più bassi,la differenza la fa la pressione fiscale,se si arriva a pagare il 40% di tasse e il 50% se si supera una certa soglia,è una mostruosità a mio giudizio.

    Inoltre,studierei molto bene la possibilità di far lavorare più persone riducendo l’orario di lavoro,con meno pressione fiscale si riuscirebbe a ottenere anche questa opportunità.

    Chissà se le due forze che lei ha citato finalmente decidessero di non farsi più i dispetti,e affrontassero queste problematiche,anche perchè se si veste da operaio il felpato,al massimo si imbuca subito dal titolare per mettersi d’accordo…

    da Ivo Serenthà   - giovedì, 28 febbraio 2019 alle 12:32

  4. Solo una nota, Alessandro …
    “… un italiano su tre dichiara meno di 10.000 euro l’anno, cioè una cifra insufficiente a campare degnamente …”
    “Dichiara” non significa “guadagna”.

    Io dichiaro quello che guadagno (lo fa l’azienda in cui lavoro per me).
    Per il meraviglioso mondo delle partite IVA, degli artigiani, ecc. ecc., mi permetto di dubitare che sia sempre così.

    Alla faccia della propaganda

    Ave atque Vale.
    Giorgio

    da Radagast il Bruno   - mercoledì, 6 marzo 2019 alle 13:21

  5. Ma sì, non sarà sempre così, ma il problema dei working poors esiste… è anche ora di piantarla di pensare ai poveri solo come furbetti e truffatori. I poveri esistono e sono frutto delle politiche (di destra e di sinistra)

    da Alessandro   - mercoledì, 6 marzo 2019 alle 13:23

  6. “il problema dei working poors esiste…” Sacrosanto.
    Penso ai giovani nei call center (per usare un’icona) e a tutti quelli a cui ti riferivi tu: i dipendenti con stipendi più bassi del reddito di cittadinanza.

    “è anche ora di piantarla di pensare ai poveri solo come furbetti e truffatori …”
    Perfettamente d’accordo: il povero è povero. E i lavoratori poveri lo sono due volte.
    Però, come ti dicevo sopra, dei dipendenti sono sicuro … delle partite IVA meno. Preciso: non credo che gli autonomi siano tutti disonesti. Però, se sei d’accordo, ritengo sia ora di piantarla anche di dire che sono tutti onesti e tutti pagano le tasse … salvo “poche mele marce”.

    Ho fatto l’Università a Milano (Cattolica): i miei erano dipendenti (ora pensionati) e io pagavo le tasse massime; avevo compagni, figli di gioiellieri (benestanti, credimi), che dichiaravano zero …

    Odio chi si basa solo sulla propria limitata esperienza e la fa diventare “la verità”.
    Ma questa storia (molto da cacciatori di voto) che ogni categoria è onesta e ha ragione … salvo “poche mele marce” … non si può sentire.

    Tornando a noi: i poveri meritano aiuto; i lavoratori poveri, due volte; sono sicuro che i lavoratori dipendenti poveri sono poveri davvero; per i “dichiaranti” poveri, non ho mani da mettere sul fuoco …

    PS: Ale … a margine … sei un grande. Come autore, scrittore, produttore di testi, ecc.
    Poi posso non condividere ma solo e sempre: rispetto.

    da Radagast il Bruno   - giovedì, 7 marzo 2019 alle 12:53

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