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In morte di Pietro Cheli, amico gigantesco

CheliQuello che so io di Pietro Cheli non è molto interessante. In ogni caso non come era interessante lui, ma si sa com’è quando uno se ne va: si cercano le parole e vengono fuori solo quelle buone, un po’ di retorica e un po’ di nostalgia. Pietro Cheli non merita queste stupidaggini, lui stesso avrebbe sbottato uno dei suoi tonanti “Belìn, che palle!”.
E’ stato il mio capo al Diario della settimana, quando si andava a “portare il pezzo” anche se lo si era già mandato per mail, così, per fare due chiacchiere di tutto e di niente, e per vedere cos’aveva da dire Pietro. Che era una specie di miniera, un orco buono circondato da pile di libri in ordine precario. Da lì, come dalle cene in cui mangiava come Pantagruel e raccontava come Fo, te ne andavi sempre con una carrettata di aneddoti, racconti che potevano andare dal Genoa alla letteratura, dal pettegolezzo alla critica del testo. Un corpo così pesante e così tanta leggerezza, sembrava un miracolo. E poi, Pietro Cheli sapeva tutto e leggeva tutto, ed era di una curiosità spaventosa: morbido come un piumino – un piumino bello grosso – e anche acuminato come uno scalpello da ghiaccio, mica uno che mediava. Era un enorme fratello tricheco capace di dolcezza e di ironia.
Quando mi chiamò dopo l’uscita del mio primo romanzo, la Canzone, mi fece molti complimenti, ma più che contento ero sollevato: Pietro poteva anche dirti senza problemi che avevi scritto una cagata e, sapendo questo, i suoi complimenti valevano doppio. Poi arrivava alla presentazione con il libro tutto pieno di appunti, segni a matita, sottolineature, segni di pagina: “L’avevo già letto, ma l’ho riletto stanotte”. Gli erano piaciuti anche gli altri (“Belìn, quanto scrivi!”), e io avevo sempre la sensazione di essermi sottoposto a una specie di benedizione: se Pietro Cheli dice che va bene, allora va bene, e comunque non metteva conto parlarne, perché era già passato ad altro, altri aneddoti, altre storie, altri libri letti, dischi o concerti sentiti. Ecco, io me lo ricordo così, un fiume in piena che ti contagiava con tutto quello che aveva contagiato lui. Ora fa male pensarlo. Fa male pensare ad Alba, amica trentennale, sister in rock dai vecchi tempi de l’Unità, che rimane senza il suo Pietro. Come tutti noi, ma lei di più, e un abbraccio come quello – così gigantesco – deve mancare in modo intollerabile.

4 commenti »

4 Commenti a “In morte di Pietro Cheli, amico gigantesco”

  1. Mancherà a tanti, la sua voce pacata ma piena di suggerimenti a riflettere, l’ho ascoltato spesso a Radio Popolare, uno che come te se lo sentivi al mattino la giornata ti pareva più leggera, riposi in pace.

    da Marco   - martedì, 7 novembre 2017 alle 15:41

  2. Io di Lui ho un ricordo ludico di tanti anni fa’ nella loro Casa di Famiglia ai Piani Praglia. Con Lui e il mitico Proff (-padre di Pietro) il buon umore era assicurato.

    da Claudio   - mercoledì, 8 novembre 2017 alle 12:10

  3. Amico gigantesco dove te ne sei andato siediti su una nuvola così magari torni giù

    da D.   - venerdì, 10 novembre 2017 alle 13:33

  4. Solo ora ho saputo… Sono stato un allievo di tuo padre, il mitico Ribot, come mi chiamava lui, e ti ricordo bambino nella casa di Genova, preziosi museo di arte moderna domestico, mentre ci correvi incontro festoso quando tuo padre invitava a casa i suoi migliori allievi. Poi la vita ci ha allontanati e le notizie di te mi arrivavano frammentarie ed incomplete. Un grande sincero ed affettuoso abbraccio caro Pietro e digli al Prof. che Ribot lo ha sempre nel cuore. Un abbraccio vero anche alla tua cara mamma. Arrivederci caro Pietro. Franco Rinaldi- Genova

    da Franco Rinaldi   - domenica, 20 settembre 2020 alle 13:54

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