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dom
18
giu 17

I racconti “de paura” di Mark Haddon. Recensione su Tutto Libri

Qui la recensione per Tutto Libri dei nove racconti di Mark Haddon, “I ragazzi che se ne andarono di casa in cerca della paura” (Einaudi)

HaddonSe vi chiedete perché diavolo qualcuno leggendo un libro sotto l’ombrellone dovrebbe prendersi paura – ma paura vera – siete nel posto sbagliato. Mentre invece siete nel posto giusto, giustissimo, se pensate che la dissezione del Male, la sua descrizione quasi cronachistica, chirurgica, implacabile e feroce sia qualcosa di prezioso; e allora questo “I ragazzi che se ne andarono di casa in cerca della paura” di Mark Haddon vi conforterà (si fa per dire, non c’è niente di confortante o confortevole, anzi).

Mark Haddon, inglese di Northampton, che vive a Oxford, classe 1962, è quello del successo mondiale “Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte”, insomma, uno di quegli autori attesi, di cui il lettore si chiede: “vediamo un po’ dove va a finire ‘sto tizio”. E a giudicare da questi nove tesissimi racconti, tirati come funi sul precipizio, dove andrà il narratore Haddon ancora forse non lo sappiamo (meglio, potrà sorprenderci di nuovo), ma sappiamo bene dove ha portato noi: in un territorio in cui la ferocia del vivere è descritta senza orpelli che ne smussino gli angoli, in cui la morte è una cosa implacabile e per nulla affascinante. Anzi puzza, ferisce, annienta.

Si comincia con il crollo del pontile su una spiaggia della Manica e già si capisce a cosa si va incontro. Il racconto ha la calma frenetica, o la frenesia apparentemente didascalica, dell’emergenza in corso, le descrizioni sono spaventose, il ritmo è scandito – l’orrore supplementare è che cominciamo ad esserci abituati – dal passare delle ore e dal conto delle vittime. Ogni vita è a sé, ogni morte è a sé, sembrerebbe la cosa meno letteraria del mondo, e invece.

Sospesi tra la quotidianità del disagio e dell’emarginazione (Bunny, La pistola, Respira) e l’esotismo d’avventura (il racconto che dà il titolo alla raccolta), addirittura tra la fantascienza (La lupa e il picchio) e l’impasto mitologico (L’isola), i racconti di Haddon, tutti e nove, brillano per un particolare che non è un dettaglio. C’è pochissima, quasi niente, di quella pietà preconfezionata che troviamo nei libri al cospetto della disgrazia, dell’inizio della fine, del cedimento strutturale del vivere. E se il crollo del pontile sembra scandire come un cronometro le tappe veloci del disastro, lo stesso pare accadere alle vite dei vari personaggi. Struggente ma raggelante, per esempio, la discesa agli inferi di Bunny, il grassissimo ragazzo di periferia alle prese con la sua solitudine e la sua stazza, che crede di trovare l’amore (e chissà, magari lo trova) per venirne ucciso. Oppure il gorgo – giù nel cesso – in cui finisce la vita di Gavin (in Selvatico), borghese di successo che ammazza uno sconosciuto la notte della vigilia di Natale, e da lì parte la sua fine. O ancora lo strabiliante, agghiacciante realismo con cui si descrive il ritorno a casa di Carol, il suo impatto con il disagio e il lasciarsi andare della vecchia madre, un disHaddonTTL170617egno dolorosissimo dell’oggi (o del domani: saremo vecchi, saremo poveri, saremo abbandonati) che a dispetto del finale onirico-lovecraftiano, fornisce, anche, uno spaccato sociale precisissimo, dolente, attuale.

Ogni storia di questa raccolta mette il lettore davanti a uno scivolo, quello dove possono finire le vite – le vite di chiunque, si direbbe – quasi senza preavviso e sempre senza remissione. E forse non è un caso che i racconti più riusciti siano quelli ambientati qui e ora, nelle periferie inglesi così simili alle periferie di tutti, nei casermoni brutti, nei prati non falciati, nei ragazzini sottoproletari che se ne vanno in giro con una pistola tra le tangenziali e i boschi dei suburbi, nell’uomo sconfitto che sente di invecchiare in solitudine, muoiono i cani, la vita scivola verso la fine dello spettacolo.

Sarà che Haddon ha l’età giusta per avere respirato quell’aria tanto tempo fa, oppure sarà che certe ambientazioni proletario-britanniche portano direttamente a quei luoghi, ma si sente nello scrivere di Haddon il respiro No-future che ebbe il punk più devastante, quell’attrazione per il Male senza redenzione e al tempo stesso quella contemplazione del degrado che fece di quella poetica un manifesto – anche estetico – della sconfitta eternamente in agguato.

2 commenti »

2 Commenti a “I racconti “de paura” di Mark Haddon. Recensione su Tutto Libri”

  1. condivido il contenuto della recensione. Bei racconti, catturano, entri dentro la storia e il sentire dei protagonisti. Anche “esteticamente” notevoli

    da anna zuca   - lunedì, 25 dicembre 2017 alle 11:26

  2. Recensione perfetta per racconti che ridimensionano l’ego ipertrofico dell’uomo di oggi.

    da Rosangela   - sabato, 13 gennaio 2018 alle 13:11

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