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sab
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apr 16

Il Gavazza renzista alla mesta parabola dello storytelling

pag99GavazzaE così venne il tempo di Umberto Gavazza, personaggio memorabile che potrebbe restare appiccicato al militante renzista, una bella nemesi per chi continua ad agitare davanti agli avversari lo spettro di Tafazzi. Per gli immemori, o i più giovani si sappia: Umberto Gavazza è lo splendido Ugo Tognazzi de La marcia su Roma (insieme a un altrettanto superbo Gassman, ovvio, Dino Risi, 1962), quello che ad ogni curva del percorso, dal discorso di San Sepolcro all’ingresso a Roma, cancella un punto del programma, vedendolo miseramente crollare sotto i colpi della realtà. Terra ai contadini. Riga sopra. Libere elezioni. Riga sopra. E così via: la marcia su Roma di Gavazza è una catena tragicomica di delusioni.

Fatte le debite proporzioni, il militante renzista della prima ora, ascendente Leopoldo, con la luna in Boschi, attraversa lo stesso inferno. Promesse che si sfarinano, sorti luminose che si appannano. L’elenco sarebbe lungo: dal Jobs act di cui cominciamo a capire costi (alti) e ricavi (bassi), ai tagli alla sanità, alla moralità della politica, non miglioratissima, alla cessione di diritti. Si aggiunga l’arroganza con cui si trattano gli avversari interni ed esterni, fino a vere e proprie cadute Berlusconi style (la stretta alle intercettazioni invocata e poi smentita, l’ira contro i giudici, il piagnisteo contro i giornali cattivi). Insomma, anche il più irriducibile renzista storcerà il naso, e pure miti indistruttibili e dogmi di fede come “il grande successo di Expo” si stanno un po’ sfarinando: proprio nel 2015 l’Italia è calata di una posizione (da settima a ottava) nella classifica mondiale del turismo, ahi, ahi, ahi. (fonte: World Travel & Tourism Council).

Sui dati si discuterà (e molto, vista l’abitudine di fornirli di fantasia, à la Poletti),  ma un dato è sicuro: ciò che davvero è andato in mille pezzi, come una palla di cristallo, è la narrazione renzista. Quell’impasto di ottimismo da spogliatoio (dai, insieme possiamo farcela!), di ottimismo obbligatorio, di disprezzo nei confronti del predecessori, di apparente decisionismo, di innovazione, di dinamismo euforico, di “adesso arriviamo noi e vi facciamo vedere” . Qui sì il Gavazza renzista tira linee su linee e cancella, più che promesse, un intero affresco, un sistema di valori, una costruzione teorica. Ad appena due anni dall’innamoramento collettivo, ci sono parole  che addirittura puzzano: dire “Rottamazione” oggi che il governo è sostenuto da Verdini, Montezemolo guida la corsa alle Olimpiadi, Marchionne è il modello imprenditoriale e le lobby si spartiscono emendamenti per telefono è solo ridicolo. E quanto alla #buonapolitica, hashtag programmatico brillante di suadenti promesse, s’è visto: padri forse bancarottieri (Renzi e Boschi), ministri pasticcioni che, per cavarli d’impiccio, si è dovuti descrivere come succubi in un rapporto sado-maso-confindustriale col fidanzato; oppure giglio magico e nomine toscane, con affari toscani, banche toscane, eccetera, eccetera. E Gavazzi, giù a tirare righe.

Ora qui c’è un problemino non da poco, anzi due. Il primo: chi si disamora, poi difficilmente si ri-innamora, e questa è una legge di natura in cui l’elettorato non fa eccezione. Il secondo: lo storytellig tanto accurato si rivela un discreto boomerang. Basta googlare le principali parole d’ordine del renzismo per constatare che sono ormai quasi tutte usate in dispregio e disdoro e presa per il culo di chi le ha lanciate. #cosedilavoro, #cambiaverso, #lavoltabuona, e già battute e sarcasmi.

Come per la storiella di Monti che prendeva il treno e mostrava il loden invece delle mutande à la Silvio, anche l’innamoramento per il tipo smart, in camicia bianca, quello delle riunioni alle sette del mattino, quello dei panini di Eataly e dei gelati di Grom, quello che girava in smart e che twittava “arrivo arrivo” dallo studio del Presidente Napolitano, è passato in fretta. Ecco fatto. Sarà la signora Guidi del Guatemala, o che la fatina Boschi è meno fatina e più figliola di famiglia contadina. Sarà che il giovane ultraflessibile incantato dal burbanzoso Renzi che diceva “abbiamo sconfitto il precariato” si sentirà come il Giavazza quando capisce, marciando su Roma, che la terra i contadini non l‘avranno. Sarà tutto questo messo insieme (e anche molto altro), o la ripresa che non arriva, sta di fatto che una narrazione così complessa e articolata non la riscrivi daccapo in due minuti. E a continuare con quella esistente (spirito di corpo, più sberleffi ai gufi, più gli applausi finti a una ripresa inesistente) si rischia l’osso del collo: un po’ come se Craxi, inseguito dai Caramba, avesse continuato con la sua tiritera ormai sgonfia della modernità e del progresso. Insomma, si scopre che gli attori sembravano meglio nelle prime scene del film, che la sceneggiatura è tutta sbagliata e che il biglietto dello spettacolo è molto caro (si paga in diritti, soprattutto).
Gavazza scuote la testa: un pochino, in fondo, ci aveva creduto.

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