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mar
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nov 14

Amarcord: il mio Muro. Una storia di Pink Floyd, Berlino, rock e l’Unità

Ho lasciato passare qualche giorno.

Le celebrazioni per la caduta del muro di Berlino (25 anni) avranno anche quel po’ di stucchevole che hanno tutte le celebrazioni, ma insomma, l’evento era così denso e importante, così emozionalmente pesante (lo “storicamente” e il “politicamente” lo sanno tutti) che valeva la pensa darci un’occhiata. E ora, passate le celebrazioni pubbliche, mi si scuserà se cedo alla tentazione della celebrazione privata. Insomma, il “mio” muro di Berlino, che è una cosa che ha a che vedere con l’Unità (ah, l’Unità…), i Pink Floyd, il rock, eccetera eccetera (e io con venticinque anni di meno, che non è un dettaglio). Insomma, correva il luglio del 1990, e quindi il Muro era già caduto da un pezzo. E così la grande festa era quella di Roger Waters e del suo The Wall, un mega concerto in Postdamerplatz, dove una volta ti sparavano i vopos e adesso ci abitava il più grande evento di teatro-rock mai visto.

Di quei giorni ricordo alcune cose tra il divertente e il commovente. Che all’Unità forse il muro non era ancora caduto e mi prenotarono un buissimo albergone nella parte Est della città, sull’Underdenlinden, dove non sapevano cos’era un fax, il bar era chiuso, il check-in durava ancora ore, con domande e sospetti. Ricordo di aver implorato un mio amico di trovarmi una stanza a Ovest, in modo di riuscire almeno a spedire i pezzi, che scrivevo con un’Olivetti Lettera 22, e che lui (ancora gli sono grato) mi procurò una stanza al Kempinski, dove la prima colazione sembrava un pranzo di matrimonio. Ricordo che i tassisti dell’Est giravano spaesati per le strade di Berlino Ovest chiedendo indicazioni ai passanti, metà dei quali rispondevano: “Ma che ne so, sono dell’Est anch’io”. Ricordo – anche se dalle picconate al muro, dal concerto improvvisato di Rostropovich con il suo violoncello erano passati sei mesi – l’aria di stupita incredulità dei ragazzi di Berlino, quelli di una parte e quelli dell’altra, che adesso era una parte sola. Insomma, una cosa piuttosto strana, dove avevi in qualche modo la certezza di avere a che fare con la storia – ma stavi “solo” andando a un concerto rock.

Poi, la sera del 21 luglio, il concerto. Immenso, poderoso, mai visto niente di simile. E quando il grande muro bianco costruito (ricostruito) in piazza crolla (ricrolla) nel clou emotivo della rappresentazione, il boato della folla in piazza. Ecco, tutto qui. Il mio muro fu questo.

Non una gran storia, mi rendo conto. Me ne tornai a casa senza souvenir, senza pezzettini di muro, che si vendevano come le gondole di plastica a Venezia. Il direttore (era Veltoni) mi disse che i pezzi da Berlino erano buoni (allora usava). Mi mandarono i Vhs con il film concerto, devo averli da qualche parte, non li ho mai visti, e ora non saprei nemmeno come.
Nota: metto qui i pezzi “berlinesi” di quei giorni, usciti il 21, 22 e 23 luglio 1990.

Cliccandoci sopra si dovrebbe riuscire a leggere qualcosa (grazie all’archivio storico dell’Unità)
 

5 commenti »

5 Commenti a “Amarcord: il mio Muro. Una storia di Pink Floyd, Berlino, rock e l’Unità”

  1. ma xché Roberto Gallo?

    da glk   - martedì, 11 novembre 2014 alle 13:27

  2. Bello quel titolo “Mai più muri, mai più guerre” … Alessandro, fare il profeta non è il tuo mestiere :-)

    da Marco da Zurigo   - martedì, 11 novembre 2014 alle 23:57

  3. Ahahahahah! Vero! (il titolo non è mio, ovviamente, ma capisco)… :)

    da a.r.   - mercoledì, 12 novembre 2014 alle 08:27

  4. niente non riesco a leggere, troppo piccolo… però veramente, ma perché roberto giallo?

    da eve   - venerdì, 14 novembre 2014 alle 11:59

  5. E’ una storia vecchia, non potevo firmare col mio nome per vari motivi (contrattuali…) e mi inventai uno pseudonimo, e me lo tenni per una dozzina d’anni…

    da a.r.   - venerdì, 14 novembre 2014 alle 12:47

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