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In fondo cosa sarebbe l’Italia senza il feudalesimo ereditario?

E dunque Sting, il grande cantante (ma soprattutto il grande bassista dei Police, diciamolo) non lascerà un centesimo della sua cospicua fortuna ai figli. Vai col dibattito, che può contenere bassi moralismi sui guadagni stellari della star (appunto) o alti riferimenti politico-culturali (Max Weber, calvinismo, etica protestante, capitalismo anglosassone, eccetera, eccetera). Insomma, non mi pronuncio, ché il ginepraio mi sembra fitto e spinoso. E però la faccenda rimane suggestiva, specie vista da qui, dalla provincia dell’Impero dove tutto o quasi è ereditario, il Paese intero è ereditario, le probabilità che uno faccia il notaio senza provenire da lombi di notaio sono leggermente inferiori a quelle di essere colpiti da un meteorite. Avrà ragione Sting? Avrà torto? Intanto può essere divertente immaginare lo scenario italiano se tutti facessero come lui. Prendete, che so, le cattedre universitarie: dove ora ci sono figli, nipoti, generi, nuore, parenti, più o meno stretti ci sarebbe il deserto del Gobi (o in alternativa docenti che non devono dire grazie a nessuno se non a se stessi e ai propri meriti… ma guarda cosa vado a pensare). Gli architetti magari non genererebbero schiatte di architetti, per non dire dei farmacisti e di altre categorie dove la successione conta più o meno come contava nell’alto Medioevo, e mi taccio per carità di patria sui giornalisti.
Poi diciamolo, se tutti facessero come fa Sting, ci perderemmo quel divertente spettacolino annuale che è la riunione dei giovani imprenditori italiani, che sono sì giovani, ma dai cognomi vecchi e consolidati. Insomma: la classe imprenditoriale italiana procede per linea dinastica che nemmeno nel feudalesimo più spinto. Tutti, naturalmente a cianciare di merito e capacità, e tutti naturalmente seduti sulla montagna di soldi lasciati da papà. E a volte, addirittura dediti alla sublime arte dell’autogol (il caso di John Elkann che rimprovera i giovani di non lavorare perché “Stanno troppo bene a casa”, da Nobel).
Prevengo l’obiezione: non è detto che il figlio di un ricco, di un potente o di qualcuno che ti spiani la strada sia automaticamente un cretino. Può darsi anzi che sia bravissimo (del resto, il figlio di un ricco, o di un potente, ha condizioni di partenza migliori di altri, quindi tutto il pippone sulla meritocrazia perde un po’ di valore…), ma resta il retropensiero: chissà quanti bravissimi se ne stanno a spasso non avendo alle spalle rendite di posizione. Come vedete, non se ne esce. E tutto questo nella perenne attesa che alla successione economica segua quella politica. Si veda, ad esempio il sempiterno dibattito sulla “discesa in campo” (uff!) di Marina Berlusconi, una manager che si è fatta da sé, viene dal nulla e ha fatto la gavetta, per dire.
Sarebbe dunque uno scenario abbastanza affascinante pensare a cosa sarebbe il Paese senza rendite di posizione. E non si parla qui, ovvio, della casa in eredità dei genitori o del gruzzoletto per l’università dei figli, dal momento che i risparmi dei nonni sono spesso l’unico welfare che ancora funziona da queste parti. Semmai, in un paese dove anche un onesto stipendiuccio viene ormai spacciato per privilegio, non sarebbe male mettere in discussione qualche privilegio vero. La parola casta è ormai insentibile, usurata e impresentabile, bisognerà trovarne un’altra, ma sempre di quello si tratta. Non è detto che Sting abbia ragione, ma nemmeno che abbia del tutto torto: senza diventare ultras calvinisti, un po’ di calvinismo male non farebbe.

11 commenti »

11 Commenti a “In fondo cosa sarebbe l’Italia senza il feudalesimo ereditario?”

  1. già.
    e come se non bastasse la casta di quelli pagano le tasse ereditano il debito pubblico che cresce sempre.

    da mario   - mercoledì, 25 giugno 2014 alle 10:30

  2. dove devo firmare?

    http://cs50.musload.com/dl32/load_box/48/19/15691508-5b4d160ed804.mp3

    da diamonds   - mercoledì, 25 giugno 2014 alle 11:37

  3. Mah, sinceramente mi sta così sulla bela la continua retorica sul “merito” (che non si capisce quale cazzo dovrebbe essere il merito, merito di aver potuto studiare di più, di essere più intelligente boh…) che sono pronto ad abbracciare con spirito zen il fatalismo dell’ereditarietà, confidando ovviamente nella reincarnazione (e non credendo più nella rivoluzione)

    da david   - mercoledì, 25 giugno 2014 alle 11:39

  4. Bravo Alessandro … aspetto con gioia un tuo prossimo pezzo sui nuovi ricchi … quelli che si son fatti da soli, magari cominciando a scavare le fondamenta della propria ditta con le proprie mani nude ed imparando le basi dell’economia di mercato la sera tardi al lume di candela …

    da Marco da Zurigo   - mercoledì, 25 giugno 2014 alle 17:20

  5. questa cosa della meritocrazia è un argomento che hai già trattato… e su cui ti ho anche citato spesso nelle discussioni tra amici o colleghi perché mi trovo totalmente d’accordo con te (solo che tu lo sai dire meglio :) ma ahinoi viviamo in un paese dove la maggior parte della gente ritiene un merito persino essere nati in italia anziché in africa, per cui… si, forse sting non ha del tutto torto…

    da eve   - mercoledì, 25 giugno 2014 alle 18:47

  6. ah! (ot)
    quella cosa del twittare dal blog che non avevo spazio sufficiente per aggiungere commenti, sbagliavo io: cliccavo su commenti (scusa la ripetizione) e il link veniva più lungo, se clicco sul post proprio il link è più corto (cmq devo cancellare l’introduzione e il titolo, scusa! :)

    da eve   - mercoledì, 25 giugno 2014 alle 18:50

  7. I figli di Sting o di chiunque sia diventato famoso, continueranno ad avere popolare vantaggio di merito virtuale dal nome che portano. Resta però il fatto che se un discendente illustre non fa bene la gente se ne accorge e lo abbandona dal successo, appunto, del merito. Non può invece annullare i benefici di discendenza che prevarranno in qualsiasi attività. Ciò che preoccupa in questo stato di cose tipico dei tempi nostri è il fatto che difficilmente dai figli di papà uscirà il grande personaggio… Saranno sempre i sacrifici dei volenterosi del popolo che a cucci e spintoni ci porteranno alla luce un nuovo Marconi, un nuovo Olivetti, un nuovo Leonardo, un nuovo Sabin…

    da Vittorio Grondona   - giovedì, 26 giugno 2014 alle 08:48

  8. si potrebbe pensare anche agli utopisti che pensavano a una società in cui i figli fossero affidati a un’entità centrale che fornisse loro educazione etc…

    ma piuttosto, il problema dell’accesso è inevitabilmente connesso a quello del merito: ognuno è fabbro della propria fortuna, ma le opportunità di Kunta Kinte e di Le Bron James sono state diverse (e non è che Le Bron abbia avuto una vita agevole, esattamente il contrario…)

    tornando all’Italia, la riforma delle riforme sarebbe proprio far saltare il link genitori-figli. ma nel paese della fammigghia, questo è utopia.

    non sarebbe utopia però limitare la successione dinastica: ci sono pratici incentivi fiscali da metter in campo, a partire dall’imposta di successione, con facilitazioni per chi cede aziende e ricchezze alla comunità (preferibilmente al terzo settore).

    Questa è l’impostazione che sta dietro le fondazioni USA: mica gli squali della finanza yankee erano filantropi, ma vista la convenienza han destinato i patrimoni a questi fini.

    Esempio: esenzione dall’imposta successione solo a assi ereditari bassi (100.000 €?) a meno che una quota consistente dell’asse (30%? 50%?) non venga destinato, a scelta del de cuius, allo stato o un’associazione etc…

    chiaramente le associazioni per essere legittimate prestano i propri servizi verso fruitori, che per accedere devono avere determinate caratteristiche. tipo, associazione sportiva: può ricevere donazioni ereditarie solo se ammette gratis alle sue squadre almeno un xx% di adolescenti provenienti da famiglie a basso reddito

    il terzo settore preso sul serio, insomma, non come ora che nella scelta del 5 per mille il mio club sportivo (Canottieri Olona, 840 € per abbonamento solo nuoto e 1.400 € per abbonamento open) può concorrere con Emergency e Save the Children…

    questa non è la soluzione definitiva, è ben chiaro: ma rispetto alla desertificazione che ci attende è un miglioramento significativo. e poi, un po’ di orgoglio: pagare l’imposta di successione dovrebbe rendere il de cuius orgoglioso, qualcosa avrà costruito (o almeno preservato, se l’ha ricevuta in eredità) nella vita!

    diciamo che andrebbe recuperato TPS con il suo “le tasse sono bellissime” rispetto a Galan che nel giustificarsi del MOSE dice che i lavori alla villa erano finiti nel 2009 ma ha dichiarato il fine lavori al 2011 per non pagare l’IMU….

    gira e rigira, si finisce lì. lo dice Picketty, mica io…

    Glk

    da Gianluca   - giovedì, 26 giugno 2014 alle 13:37

  9. … e dev’essere anche il motivo, questo del feudalesimo, per il quale quando c’è da prendere, ovvero da “richiedere sacrifici”, ci si rivolge ai signori nessuno rappresentati da: insegnanti, ricercatori precari (essere precario è il distintivo dell’essere nessuno), stipendiati delle amministrazioni pubbliche, operai (quei pochi che ancora sopravvivono) e altre categorie di lavoratori che fanno muovere il carrozzone Italy. Ecco diciamo che c’è casta e casta, privilegio e privilegio, categorie come queste sono diventate del tutto relative alla classe sociale… così che, anche, all’interno di quelle più basse ci si possa scannare per un tozzo di pane, in alto… beh, almeno l’incentivo è maggiore :-(

    da Tiziana   - venerdì, 27 giugno 2014 alle 07:30

  10. tutto condivisibile, specie per quanto gli “impreditori” nostrani; magari lascerei perdere il discorso del calvinismo, che con Sting credo centri come lo zoroastrismo (e comunque viene considerato un valore solo in Italia, frega zero anche nei paesi calvinisti, e l’Inghilterra non lo è…).

    da maurizio   - venerdì, 27 giugno 2014 alle 08:09

  11. Io, fortunatamente, sono un caso di persona colpita da un meteorite, dato che, senza avere parenti notai (mia madre è imprenditrice nel settore turistico e mio padre è avvocato) ho vinto addirittura due concorsi notarili di seguito (banditi, rispettivamente, nel 2006 e nel 2008). Oggi, ho 35 anni svolgo questa professione da circa due anni e mezzo. Quello che leggo nell’articolo, in relazione alla categoria dei notai (parlo solo di quello che conosco bene, per abitudine), non corrisponde alla realtà.
    Si diventa notai studiando tantissimo, sacrificando i migliori anni della propria vita sui libri, nella speranza di poter passare un concorso (considerato tra i più difficili in Europa), con una prospettiva di successo di circa il 10% (infatti, in media, uno su 10 vince il concorso notarile). Il concorso unico è bandito e gestito dal Ministero della Giustizia (il notariato non partecipa per nulla alla sua gestione) e la commissione è composta solo in minima parte (1/3 circa) da notai. Soltanto il 17% dei notai in esercizio è figlio di notaio.
    Purtroppo, il pregiudizio (quello sì, feudale) che ci portiamo addosso da sempre è che i notai sono figli di notai, ma questo non è vero.
    Cordiali Saluti

    da Alessandro   - lunedì, 30 giugno 2014 alle 17:58

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