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GQ – Intervista a Massimo Picozzi

Sarà che siamo tutti colonizzati dai telefilm. Sarà che sul suo biglietto da visita c’è scritto Crime Analysis and Research Unit, che fa una certa impressione. Sarà che ha il suo bel fisicaccio, occhiali neri, vestiti neri, insomma, confesso che per un momento mi sono sentito dentro Csi. Meno male che Massimo Picozzi, psichiatra e criminologo non è particolarmente tenebroso, anzi è simpatico e disponibile. Affabile e affidabile, insomma, che è quello che dovrebbe essere uno che decide dove finiscono certi criminali, galera, manicomio, insomma, brutti destini. Esperto, e quindi consulente, collaboratore e amico storico del giallista Carlo Lucarelli,  e volto che ogni tanto si affaccia in tivù, pur riuscendo garbatamente a tenersi fuori dalla compagnia di giro della cronaca nera da talk show. Picozzi ora ha un libro in uscita (Un oscuro bisogno di uccidere, Mondatori) e una trasmissione televisiva in fase di decollo (La linea d’ombra, Raudue).
Picozzi, il noir è una moda imperante, e questo si sa. Ma qui ci sono storie agghiaccianti dal punto di vista di chi si occupa professionalmente di crimine. C’è differenza?
Racconto in prima persona, quindi è tutto più asciutto, disincantato, soprattutto non consolatorio. Nel giallo in genere tu prendi le distanze, invece quando incontri i criminali veri, vedi che non c’è una linea netta, tutto è graduale. Ogni volta che ho guardato in faccia un assassino ho sperato che dicesse, sì, sono io il mostro. In realtà esci sempre con la sensazione che anche il peggiore degli assassini possa lasciati addosso della pietas.
Non è un giallo, possiamo dire come finisce il libro, con questa frase: “il male esiste”…
Sì, il male esiste. Tre ragazzine massacrano una suora. Una setta ammazza la gente e si chiama Bestie di Satana. Quello è il diavolo. Per capire, e decidere – come perito – il destino di queste persone ho studiato, mi sono informato, ho parlato con gli esorcisti, e ho capito, alla fine, che non c’è bisogno del diavolo perché il diavolo esista. Il male esiste. Punto.
Esiste anche la vita, però, la società, il controllo sociale, la famiglia. Se mio figlio progetta di ammazzare una suora così, per noia, penso che dovrei accorgermene…
Mah. Nel libro non ho messo i casi di Cogne (Franzoni, ndr) e Novi Ligure (Erika e Omar, ndr.), ma smentirebbero questa tesi. Tanto a Chiavenna non si sono accorti della deriva di quella ragazze, quanto a Novi Ligure la famiglia pareva perfetta, la situazione ottima. Sono forse l’unico psichiatra che lavora con la polizia, questo mi ha fatto sbattere la faccia nella realtà. Credo che spesso le cose siano semplici: dietro a macchinazioni, complotti, indagini c’è sempre la casualità che ti frega.
Certo avrai visto cose orribili…
Sì, ovvio. Ma quando ti occupi di cose così brutte usi le tue difese. La tecnica ti fa da scudo, come il medico del pronto soccorso, che non si spaventa per le urla, non sviene per il sangue, ma cerca la vena giusta, interviene tecnicamente.
Tutto questo male e nemmeno un segno, un cedimento…
Ma sì, una volta mi è capitato. Era la storia assurda di un omicidio assurdo, una ragazza in macchina, un camion che le rovina l’auto nuova, una discussione. E lei è finita uccisa. Chiusa nel camion dal suo assassino… Avevo cominciato a scrivere di quella storia, ma non sono riuscito mi sono piantato. Forse ti viene una sorta di cinismo, ma ogni tanto traballi. A Cogne, vedi un giocattolo abbandonato… lì, c’è come una vertigine… Mi tengo il motto di Ressler, che ha fondato l’unità di scienza del comportamento dell’Fbi. Il motto in realtà era di Nietzche “Scruta a lungo nell’abisso e l’abisso scruterà dentro di te”. Fa molto Hollywood, vero? In realtà non è così campato per aria, finisce che vedi un po’ di buio dappertutto. Diaboliche casualità. Ci sono storie al limite…
Sentiamole.
Roberto, un ragazzo che uccide la sua ragazzina nel cortile della scuola con un coltellino. Viene mandato nella stessa struttura dove sta una delle ragazze di Chiavenna, si conoscono. Lei tenta il suicidio, finisce all’ospedale di… Novi Ligure. Nel frattempo la perizia su Roberto dice che è completamente incapace, tutti d’accordo, accusa e difesa. Nonostante questo, il tribunale civile condanna i suoi genitori a un grosso risarcimento. La famiglia del ragazzo vende tutto e si rovina per risarcire la famiglia della vittima, che con quei soldi si compra i… bond della Parmalat… vedi, il caso…
Il male esiste, non c’è dubbio… la sfiga anche però!
Altro caso. Angelo Izzo. Come fai a prendere una persona che ha fatto il delitto del Circeo, dargli la semilibertà e metterlo a contatto col pubblico a uno sportello che si occupa di transessuali e prostitute? Eppure è successo. Angelo Izzo libero a occuparsi di devianze sessuali. Cominci a pensare che le cose siano sempre assolutamente casuali… Certo, un errore, ma non è stato messo lì, c’è voluto finire lui…
Assassini, assassini. E le vittime?
Ci si lamenta che le vittime spesso restino fuori dalle cronache, è vero, non è bello, non è edificante, ma la storia del delitto è la storia di Caino, non di Abele. Io però per non dimenticarmi mai nulla ho tutte le immagini delle vittime. Quando corro il rischio di scordarmele, le vittime, ce le ho qui, guardo gli occhi, le mani, non li dimentico mai. Ma non voglio nemmeno fare il falso, come quelli che dicono, non pensiamo abbastanza alle vittime.
Non hanno tutti i torti.
Ma allora facciamo delle cose pratiche, reali. Sono andato a Scotland Yard, ho visto il loro protocollo di intervento sulle vittime. Chiunque dimostri di essere un familiare di una vittima, o che dipende da lei, ha subito un bonus di 5.000 sterline. Non posso fare niente per te, ma ti do un segno concreto. E’ la maniera più intelligente, educata e non pretestuosa. So che il dolore è tuo, so che non posso farci niente, ci scusiamo per quello che dovrai sopportare tra tribunali e udienze e indagini. Intanto, sistemiamo le cose materiali. Mi sembra corretto, a proposito di vittime.
Bene. Ma come la mettiamo con la fascinazione di massa del delitto? Ormai è tutto noir.
Beh, come stile letterario funziona benissimo: cadavere, investigazione, soluzione, punizione del colpevole, uno schema consolidato. Ecco credo che questo non  basti più. Eppure gli omicidi diminuiscono, in tutto il mondo. In Italia quindici anni fa erano 1.800 all’anno, oggi tra i 600 e i 650. Forse non ci sono più i bei moventi di una volta, sesso, soldi, potere. Ci sono invece più omicidi difficili. Novi Ligure, Erba, ferocia, futili motivi. Questo spiazza, spaventa la gente…
Ma questo spiega Csi, per carità. Spiega un po’ meno Bruno Vespa… cosa ha ucciso il piccolo Samuele, un mestolo o uno zoccolo?… e ora pubblicità!
Mah, non saprei. Se ai tempi di Wilma Montesi ci fossero state tre reti Mediaset e tre reti Rai sarebbe successo lo stesso. Ha fatto saltare i vertici del potere, il processo è durato 17 anni e ha concluso che era scivolata perché aveva le mestruazioni…Non è cambiato nulla, e stai tranquillo che se tu avessi avuto Mentana contro Vespa ai tempi di Pietro Maso avresti avuto la stessa cosa che vedi oggi.
Ma una società civile non potrebbe limitare questo circo?
No, accade in tutto il mondo. In America ci sono processi in tivù dalla mattina alla sera. Crime Watch che è il Chi l’ha visto? inglese, ha un poliziotto che fa parte del programma.
Ma la morbosità, il cinismo programmatico…
Ho sempre notato che le cose significative di quelle trasmissioni erano pari a zero. Il plastico di Cogne non è mai esistito, gli inquirenti non ce l’hanno e non ne hanno bisogno. Quello che mi sorprende è piuttosto che si facciano simili trasmissioni senza le notizie. Accendo il telegiornale e sento: trovata l’arma del delitto di Cogne, è un giocattolo… Telefono al maggiore che guida le indagini e vengo a sapere che il signor Lorenzi, per ovvie questioni di dolore privato, ha chiesto che si spostassero i giocattoli dal giardino. Li hanno spostati, giustamente, e oplà, ecco l’arma del delitto!
Picozzi, lei è una specie di nuovo strumento d’indagine. Profili criminali, microscopi, dna. Non è che tutta questa tecnologia uccide le indagini?
Se vuoi uno specchio del paese, questo lo è. Ora c’è una folata emotiva. Prima la tecnologia risolveva tutto. Dal caso di Garlasco in poi non risolve più nulla. Ma il male esiste, abbiamo la necessità di dire l’assassino non siamo noi, è lui. Per fare questo abbiamo bisogno di un sacerdote, un neo-neo-positivista, qualcuno che metta a posto le cose. Cent’anni fa c’era Sherlock Holmes, dieci anni fa c’era Lincoln Rhyme (il personaggio di Jeffrey Deaver, ndr). Ora che i moventi non sono più così chiari, ecco Csi, ecco i Ris. Abbiamo pompato troppo questa cieca fiducia nella tecnica e ora ne siamo un po’ delusi. La scientifica è un pezzo delle indagini, solo che è diventato il tutto, almeno nella fantasia della gente.
Non sarà che ci contano troppo anche gli inquirenti?
Sono convinto che, se andiamo a vedere le statistiche, il vecchio maresciallo, il vecchio brigadiere non risolvevano più casi di oggi. Può capitare che il primo intervento non sia svolto dalla persona più preparata. E ci sono molte variabili, che la gente non sa. Cosa si fa per prima cosa sul luogo del delitto?
Non toccare! Non far entrare nessuno. Fai la griglia, non lasciare impronte, raccogli gli indizi senza rovinarli…
Ecco, vedi? Invece no. La prima cosa è soccorrere la vittima, che potrebbe essere ancora viva. A Cogne, i tentativi di rianimazione non sai se hanno rovinato la scena. A Erba, c’era un incendio da spegnere… Scena compromessa. Si sta pensando di dotare quelli del 118 di caschetti con telecamera. Vedi che i problemi sono tanti… Mediaticamente si è detto i Ris risolvono tutto, ma non può essere vero. E poi… gli errori ci sono dappertutto… Ma non è che i Ris o la scientifica hanno alimentato questo mito, certo non hanno mai smentito, e ora la gente si aspetta miracoli. Ho incontrato anche magistrati che si aspettavano miracoli.
Invece bisogna guardare meglio.
Bisogna sempre guardare meglio. Tracciare un profilo criminale è una partita a scacchi. E’ come guardare un quadro. Più di un secolo fa Giovanni Morelli, un critico d’arte esperto in Raffaello, spiegò bene che l’artista mette più attenzione nella scena centrale di un quadro, ma è dal particolare periferico che si individua senza dubbio l’artista. Raffaello dipingeva le unghie dei mignoli con un taglio ottogonale, una specie di firma. Il problema è che per tracciare il profilo criminale devi avere un archivio di casi precedenti. L’Unità di scienze del comportamento americana nasce nell’85. Bene, nel ‘97 dell’Fbi si accorge che quel database è praticamente vuoto, solo dal 3 al 7 per cento degli investigatori inseriva i dati…
Un mito che crolla… E che vi lascia un po’ più soli sulla lama del rasoio, a decidere se uno è normale, se è il male, o se è matto…
Più che normalità o malattia il nostro problema è sapere se c’è responsabilità. E la mia posizione, allo stato dei fatti, è che certi assassini non abbiamo gli strumenti per curarli, è l’unica cosa che posso dire se voglio salvarmi.
Perché il male esiste.
Esiste, su questo non c’è dubbio.

6 commenti »

6 Commenti a “GQ – Intervista a Massimo Picozzi”

  1. accidenti picozzi mi piace veramente tanto sia come persona che come autore di libri e conduttore, non ho mai sentito, seguendo le sue interviste , una ‘caduta di stile’ parole fuori posto, sensazionalismo e ricerca del troculento a tutti i costi……….. per me è un mito ! mi piacerebbe conoscerlo di persona.

    da simona rossini   - martedì, 3 giugno 2008 alle 15:47

  2. mi piacerebbe diventare una criminologa come picozzi ed analizzare le scene del crimine e i serial killer! vorrei sapere se facendo l’università di psicologia di torino e poi i master si diventa un criminologo a tutti gli effetti! vorrei tanto conoscere picozzi per fare la sua stessa carriera!

    da ornella   - giovedì, 17 luglio 2008 alle 09:11

  3. Grande professionista Picozzi,ho letto molti dei suoi libri,anche perchè la criminologia mi ha sempre appassionata,sarebbe bello sapere se Picozzi fa delle conferenze ed andarlo ad ascoltare.Valentina76,Udine

    da Valentina   - mercoledì, 23 luglio 2008 alle 13:05

  4. Sarebbe davvero interessante conoscerel’iter formativo di Picozzi,la sua posizione lavorativa è davvero di enorne responsabilità ma anche estremamente affascinante.Finalmente qualcuno che mette a nudo una realtà che spesso viene idealizzata dai mass media e dalla tv “trash”.La non informazione spesso ci mette davanti a casi che pensiamo di aver capito ma che invece sono celati da meticolosità che solo esperti come Picozzi riescono a comprendere o per lo meno la vera realtà dei fatti è nelle mani di pochi.Sono venuta a conoscenza dell’università dell’Aquila che ha al suo interno un indirizzo:”Scienze dell’investigazione” è davvero interessante e utile come dicono?..
    Grazie e complimenti per l’intervista
    da Modica(rg)

    da Agostina   - martedì, 25 novembre 2008 alle 22:17

  5. Ho avuto, o meglio, ho cercato la mia fortuna e mi sono interessata alle conferenze seminari e altro dove interveniva il dott. Massimo Picozzi, posso dirvi con tutta sincerità è una persona splendida…..riesce a far capire atutti quello che vogliono capire, inoltre è una persona estremamente disponibile e oggi come oggi è strano trovare una persona del suo calibro così vicina alla gente comune compresa di studenti laureati in cerca di fortuna, insomma una persona pratica.

    da lucia   - martedì, 19 maggio 2009 alle 16:07

  6. Picozzi è una persona seria e pacata non cerca la gloria e non è esibizionista mi piace x la sua pacatezza mi da un senso di sicurezza è una bella persona. Mi piacerebbe conoscerlo di persona

    da Carla   - mercoledì, 18 dicembre 2013 alle 19:58

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