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feb 08

GQ – Mister Obama, una piccola storia di leader neri

La corsa è lunga, altri supermartedì aspettano dietro l’angolo, l’americanissima cavalcata delle primarie americane riserva sempre molte sorprese. Ma intanto. Intanto c’è un nero, sul palco, che parla dei destini della nazione, e che viene presentato come “the next President”. Barak Obama non pronuncia mai la parola “sogno”, preferisce dire “hope”, speranza, e cambiamento. Di sé dice che una storia come la sua poteva avvenire solo lì, negli Stati Uniti. Figlio di un keniano e di una ragazza del Kansas, nato alle Hawaii, avvocato dei diritti civili, senatore in Illinois, la faccia da ragazzino furba e sveglia e il carisma del leader. Se Barak Hussein Obama Jr. riuscirà ad entrare alla Casa Bianca si iscriverà al ristrettissimo club dei leader neri che ce l’hanno fatta, la sua vittoria sarebbe paragonabile all’eroica lotta di Nelson Mandela. Eppure è difficile inserire Obama nella cosmogonia dei leader neri, e quando i grandi editorialisti tracciano paragoni, li fanno con i bianchissimi Kennedy, John e Bob e non con i grandi martiri e i grandi eroi dei neri americani.
La storia è lunga e affascinante, spesso le figure dei grandi leader neri confinano con il mito, con il martirio, con l’amore popolare, sono eroi, simboli. Marcus Garvey, che veniva dalla Giamaica, si era messo in testa di riportare i neri in Africa, fondava compagnie commerciali con la parola “Negro” o “Black” ben stampata nel logo. Teorizzava, a metà degli anni Venti, un’economia dei neri e anche l’eventualità di andarsene da quel mondo di bianchi. Finì male, naturalmente, le compagnie fallirono, un po’ di prigione, il ritorno in Giamaica da eroe. Ma eroe sconfitto. Eppure da lì vennero altre scintille e altri leader. Guardate al primo re incoronato in Africa, e sarà il segnale che il colonialismo è finito e i neri possono tornare a casa, aveva detto Garvey. Per quello i rasta Giamaicani adorano Heilé Sélassié (imperatore da lì a qualche mese) come una divinità, e per questo (anche per questo) Bob Marley può serenamente essere annoverato tra i grandi leader neri.
Ma qui entriamo nel campo sterminato degli eroi dell’orgoglio nero. Pugili, atleti, giocatori di basket. Il Muhammad Alì della predicazione islamica e della rabbia nera, un monumento vivente all’antagonismo, uno che andò a giocarsi il titolo in Africa, per dire. Inconcepibile. Oppure Tommy Smith e John Carlos, che dopo aver vinto i duecento metri alle Olimpiadi città del Messico, ritirano la medaglia con il pugno chiuso, guantato, molto Black Panthers: “Siamo stufi di essere cavalli da parata alle Olimpiadi e carne da cannone in Vietnam”. Predicazione e rivolta, insomma. Fino alla sfrontatezza nera di un Miles Davis, africano e più ricco di un bianco, ostentazione, rivincita. Ora, più tranquillamente, dietro a Obama, occhieggia protettiva la sostenitrice Ophra Winfrey, la più famosa conduttrice americana. Familiare, simpatica, opinion maker per tinelli e famiglie. Anche lei, a suo modo, un leader nero.
Ma naturalmente, poi, c’è mister King, il reverendo Martin Luther King, premio nobel per la pace a soli 35 anni, all’incrocio ideale, e infatti sempre rimpianto, delle speranze dei popolo nero americano. Erano gli anni della lotta alla segregazione, del sogno di Bob Kennedy e non a caso, del più famoso sogno della storia: “I have a dream…”, il discorso del ’63 alla marcia di Wasghington, quello che significa lasciare un marchio per generazioni. Finì a pistolettate, come i tutti i sogni progressisti americani di quegli anni, nel 1968, lui ad Atlanta, Bob Kennedy a Los Angeles. E così la figura del reverendo King finisce in prima fila nel Pantheon dei più grandi afroamericani dui sempre: predicatore, martire, nonviolento e capace di mobilitare milioni di persone, simbolo ed esempio. Grande figura del riformismo americano, si potrebbe dire, ma King non avrebbe potuto arrivare dov’è ora Obama, non sarebbe stato nemmeno pensabile.
Non solo riformismo, ovviamente, perché il Black Panther Party batteva altre strade. L’autodifesa invece della nonviolenza, il rifiuto dell’integrazione, “trappola bianca”. E poi (sacrilegio e F.B.I.!) addirittura il marxismo e la lotta di classe. Non esageriamo. Malcolm X, che si chiamava X per non portare un cognome americano, icona di un radicalismo nero militante che flirtava con l’Islam, che costruiva moschee, che teorizzava una specie di guerra senza quartiere: “con ogni mezzo necessario”. Che di quella marcia del ’63, quella del sogno del reverendo King diceva: “Una marcia fatta da bianchi davanti alla statua di un presidente morto da cento anni e al quale, quando era vivo, noi non piacevamo”. E comunque. Finì pistolettato anche lui, nel 1965, e si suppone che Cia e F.B.I. sospirarono di sollievo.
Come si vede, questo fatto che finisce a pistolettate è stato un classico americano per parecchio tempo (con i Kennedy, bianchi e cattolici) a guidare il gruppo. Non sono più quei tempi. Il presente ha altri leader neri. Condoleeza Rice segretario di Stato – siamo alle porte della presidenza – che sarà per sempre associata al disastro epocale dell’Iraq. E ora, questo ragazzino di 46 anni, età in cui in Italia sei una “speranza della politica”, al massimo, e in America puoi giocartela per diventare the next president. Nero.

3 commenti »

3 Commenti a “GQ – Mister Obama, una piccola storia di leader neri”

  1. Grande Alessandro!
    Lecco ti abbraccia con “passione”.

    Veltroni ha detto di voler candidare anche Obama.

    da Duccio Facchini   - giovedì, 28 febbraio 2008 alle 20:17

  2. “I have a dream…”, appunto. Io sono più per il sogno che per la speranza. Il sogno ci può dare la carica giusta per realizzarlo, la speranza nasconde sempre un’incognita dietro l’angolo che non dipende da noi. Non solo sport, musica o guerra… E’ ora che le cose cambino nel verso dell’ uguaglianza e della dignità di tutto il genere umano in ogni settore della vita ed in ogni luogo del mondo.

    da Vittorio Grondona   - venerdì, 29 febbraio 2008 alle 02:35

  3. tra hillary e obama comunque sia questa campagna dei demcratici segna una svolta : una donna e un nero possibili candidati. ecco, l’unica preoccupazione è che alla fine mccain gliela metta nel sacco…con buona pace della storia.

    ps. il confronto con l’italia è sconfortante, loro hanno gente di questo calibro, noi abbiamo la santanchè e ferrara.

    da scriptabanane   - venerdì, 29 febbraio 2008 alle 16:46

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