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gen 08

Intervista a Fabio Fazio

Certi desideri sono ormai un classico, frasi fatte, formule che vanno bene sempre. Un Paese normale, un Paese che funzioni, e così via. Fabio Fazio introduce una sua variante: vorrebbe anche un Paese gentile, educato. Parole che sembrano antiche, che contrastano un po’ con quello che si vede e si sente in giro ed è per questo che il desiderio, per quanto apparentemente ovvio e naturale, può persino diventare potente. Del resto lui è così, gentile, disponibile, e anche se lo colgo in una giornata di riunioni e in piena fase di messa a punto della prossima puntata del suo programma, si concede alla chiacchiera con una disponibilità tranquilla che in effetti non posso che chiamare gentilezza, compresi gli auguri a GQ che compie 100 numeri (grazie). Dunque, visto che ci parliamo in una delle fabbriche della tivù, la sede milanese di Endemol, e visto che lui è un uomo di tivù (che immagine orribile!), non possiamo che cominciare da lì.
Fabio, non si riesce a parlare del Paese senza parlare di tv e non si riesce a parlare di tv senza parlare del Paese, sarà un bene o un male?
Mah, non saprei. Che la tv debba raccontare il Paese mi sembra ovvio, nemmeno da dire. Il problema semmai è che questo paese è questo e dunque la tv racconta questo. Poi si verifica che la tivù spesso costruisce chi abita il paese. La consuetudine costruisce le abitudini, consolida i comportamenti delle persone. I nostri nonni e forse i nostri genitori salutavano col cappello. Se tu guardi i documentari degli anni Cinquanta e Sessanta vedi una grande differenza. Ne ho visto uno sulla marcia della pace di Assisi, a parte le personalità, ma la gente, la gente normale, anche la gente umile, era vestita con grande dignità, l’abito della domenica. Pur nella povertà e nelle difficoltà di quegli anni nessuno metteva in discussione certi principi e certi comportamenti, per esempio la buona educazione, non parlare di cose private, non ostentare le malattie… cioè cose che forse abbiamo esageratamente deriso e che invece sono un valore se vuoi costruire un progresso, e cose che la televisione ha un po’ distrutto.
Sembra che i valori diffusi oggi siano l’esatto contrario…
Sì, e questo è un errore politico gravissimo che è stato compiuto.
Tu fai una tivù gentile in un paese che non è gentile per niente…
No, non è vero. Diciamo piuttosto in un paese che ha una percentuale sempre più evidente, non so se reale, ma di certo evidente, di aggressività e quindi di volgarità. Spesso è vero che ci sembra perché così lo raccontano i giornali, le tivù: se io su trenta minuti di telegiornale ne passo quindici a raccontare efferati delitti e modalità con cui sono compiuti, è chiaro che avrò la percezione che metà di quello che succede al mondo sia quello. L’umore che ti pervade è quello.
In questi casi si dice: la gente vuole questo…
No, io non credo che sia così, io credo che si sia superata di gran lunga la dose di corrispondenza tra quello che ci viene raccontato e quello che è reale. A chiunque di noi faccia un lavoro mediatico, diciamo così, è capitato di sentirsi dire, cose come: sai, nel pezzo non hai attaccato nessuno e quindi non era interessante. Si dà per scontato che se tu non attacchi qualcuno o sei uno smidollato o sei un buonista. Non si prende nemmeno in considerazione che possa essere realmente divertente parlarsi da persone civili, senza insultarsi. Strano, eh! Se uno che fa il mio mestiere non ottiene dal proprio ospite una risposta sgradevole, o non insulta il proprio ospite se ne ha a male. Se la stessa cosa avvenisse in ascensore anziché in televisione sarebbe molto offeso. Paradossalmente la televisione che una volta era il luogo dell’eccellenza è diventato il luogo dove è lecito esibire la nefandezza.
Eppure le curve degli ascolti dicono questo, che se noi parliamo un’ora e a un certo punto tu mi insulti ferocemente, lì la curva fa un saltino verso l’altro. La cafonaggine paga…
Può essere. Io so che con questo programma (Che tempo che fa, Rai Tre, sabato e domenica, ndr) abbiamo dimostrato che c’è un pubblico. Che esiste il pubblico, non solo il consumatore. Personalmente penso che sia folle fare la corsa sulle tivù commerciali, folle deprimersi se la Rai fa lo 0,20 in meno di Mediaset… Io credo che debba essere motivo d’orgoglio fare qualche punto in meno di ascolto se fai una tivù che è editorialmente diversa dall’altra. Tutto questo discorso sarebbe banalmente superato se ci fossero poi un terzo o un quarto soggetto televisivo in chiaro, come in un paese civile. Il problema si risolve molto semplicemente: si mettono quattro soggetti sul mercato invece di due.
Però quando qualcuno ci ha provato, dico in metafora, poi l’hanno trovato in un fosso…

Basterebbe dire per legge che nessuno può avere più di due reti, o stabilire un tetto alla pubblicità…
Ti pare facile… comunque torniamo al paese reale, un paese in cui l’educazione…
L’educazione è consente a ciascuno di rispettare la libertà degli altri. L’educazione consente la libertà digli altri, di rispettare le idee o il comportamento altrui…
Ma questo non rischia di passare come un discorso nostalgico? Si stava meglio una volta… cose così?
Ma non è un problema di tempo, è un problema di luogo. Come sa chiunque prende un aereo e va a Londra vede che lì, appena scesi dall’aereo si mettono tutti in coda… Luogo comune? Può darsi. Ma se tu avessi un paese dove tutto è già certo, codificato, condiviso, allora potresti anche trasgredire. Questo accade altrove. Ma serve che ci siano valori veramente condivisi, non parlo dei grandi valori, che so, la laicità, ma anche proprio la buona educazione… Da noi è tutto in divenire e siccome il codice televisivo è di per sé anarchico, si corre il rischio di confondere la realtà con la finzione, il trash col progresso. Ma non è che a maggior trasgressione corrisponde maggiore modernità…
Eppure trovo che la nostalgia sia sempre in agguato, anche a me capita di dire… ah, una volta la tivù la scriveva Zavattini e guarda qui ora che disastro…
Guarda, io non rimpiango nulla, mai, odio il rimpianto. Tra un eccellente passato e un orribile presente preferisco comunque l’orribile presente. La tivù di allora era molto governativa, rigida, controllata, in un paese molto controllato, molto rigido e molto governativo, quindi non la rimpiango per niente. Io dico che le persone avevano comunque dei valori, o meglio delle abitudini, che consentivano di sorprendersi e di scandalizzarsi per cose che ancora oggi avrebbero bisogno di sorpresa e di scandalo.
Oggi non sorprende niente.
Ma se tu vai in tivù a fare spettacolo col tuo dolore privato, a incontrare un padre che ti ha disconosciuto, secondo me non è moderno. Secondo me è terribile. Se tu perpetri per sere e sere e sere su tutte le reti le modalità di un delitto…
Informazione come la fiction…
Ma no, non è vero. Nessuno ha mai confuso Sherlock Holmes con il telegiornale. Il problema è che si rimuove il fatto che stai parlando in televisione, che non è un romanzo d’appendice. Il fatto è che lo fai in tivù, autorevolmente e con personaggi autorevoli, diventa normale.
E’ un problema solo italiano?
No, io penso che la direzione sia quella, la globalizzazione è anche questo. Il problema è che in altri paesi esiste un quadro di certezze maggiore. In Francia nessuno si alza a dire basta con la scuola pubblica, basta con la sanità pubblica, certe cose sono date per acquisite e non si toccano più. Qui è diverso, qui si discute tutto, di certo non c’è niente.
Ma non sarà un disegno politico, una strategia?
No, non ci credo. Mi parrebbe un disegno culturale troppo grande, troppo ambizioso. Credo che il grande disegno sia semplicemente non rendersi conto dei danni che si fanno.
In questo quadro tu passi per il buono, il buonista. E nonostante questo hai acerrimi nemici…
Mah, ci sono sempre simpatie e antipatie personali…
Non sarà che siccome fai cose che scardinano questo equilibrio cattivista…
Ma no, non credo. Il mio personale parere su questo è che avendo avuto dalla vita una grande fortuna sia intollerabile incattivirsi. Fortuna soldi, allegria, e quindi è intollerabile coltivare il rancore e la cattiveria.
Tu fai un talk, genere di programma che ha attraversato mille modalità…
Io credo che il talk proprio come genere abbia un vantaggio: ti costringe a studiare. Devi avere la fiducia del tuo interlocutore, e questa ce l’hai se lui capisce che tu hai capito. La curiosità passa per la comprensione di chi hai di fronte.
Cambia tutto con i politici… com’è possibile che molti facciano sgomitino per andare a fare i buffoni in tivù?
Meno di un tempo mi pare. Credo che ci sia una loro idea di essere più vicini alla gente. Si mostrano un po’ indifesi, sembrano vulnerabili e quindi sembrano più umani. Comunque non mi sembra il peggiore dei mali…
Però è un fatto che tanta stima non la suscitano. Penso a Grillo e a quell’enorme vaffanculo.
La sensazione leggendo un quotidiano è che il tuo voto serva a legittimare il lavoro di persone che poi tendono a spostarsi, a cambiare schieramento, a inventare nuove formazioni. Il tuo voto serve a legittimare un grande gioco da tavolo dove tu non conti più niente. La sensazione è desolante. Io trovo incredibile che i giornali siano fatti di dichiarazioni, poi di controdichiarazioni, poi distinguo, precisazioni, che uno che era laico te lo ritrovi cattolicissimo e viceversa… Certo è lecito cambiare, ma come dire… non in mio nome…
E quindi vaffanculo?
No. La pretesa dev’essere di dare del voi a queste persone e di pretendere il voi. Non darsi del tu, nel senso di far sentire semmai a disagio chi ti rappresenta, cioè chiedere di essere rispettato e questo si fa usando un linguaggio aulico e arcaico…
Però non è facile muovere le masse su questo piano.
Ma non è neanche obbligatorio muovere le masse!
E allora cosa sarebbe? Una faccenda individuale?

Beh, dipende quanti sono gli individui…
Chiudiamo con un ricordo, Enzo Biagi. Tu lo hai ricordato con grande affetto…
Sì, provavo una grande sintonia. Poi sai, certe amicizie, o meglio, certi incontri che avvengono in età adulta e avanzata diventano anche strani, non hai un vissuto da condividere, ma c’è una grande intensità, nessuno ha bisogno di dire bugie.
Che effetto ti ha fatto la commozione generalizzata, in quel caso?
Mi ha confermato che il Paese è migliore di chi lo rappresenta. E tutto quell’affetto per un giornalista, per uno che diceva le cose come stanno, è indice di una voglia di tornare alla normalità. A una normalità perduta.

4 commenti »

4 Commenti a “Intervista a Fabio Fazio”

  1. Fabio Fazio è bravo. molto. ha il pregio della costanza nell’attenzione.
    Riccardo Arena
    http://www.radiocarcere.com

    da Riccardo Arena   - venerdì, 11 gennaio 2008 alle 20:13

  2. Nei primi anni di televisione italiana lo spettacolo in onda al sabato sera era molto apprezzato dalle famiglie. Cinquanta minuti di spettacolo professionale erano sopportabilissimi e senza la pubblicità non annoiavano mai. Inoltre era anche un’occasione per radunarsi in casa delle ancora rarissime famiglie che possedevano il simpatico elettrodomestico. Il momento più atteso era quello dell’ospite, quasi sempre comico o di grande successo cinematografico: Walter Chiari, Sordi, Totò, Mastroianni e tantissimi altri. Da loro si aspettava la battuta politica… Spesso il giorno dopo ne pagavano le disastrose conseguenze provocate dai severissimi intoccabili politici, ma avevano fatto contenti i telespettatori e questo per loro era molto più importante. Concordo su Fazio, è bravo e simpatico. Purtroppo la sgradevole pubblicità sta rovinando il suo grazioso spettacolo. Si cambia canale in quel momento e così spesso l’audience successiva va a farsi benedire.

    da Vittorio Grondona   - sabato, 12 gennaio 2008 alle 14:14

  3. Sono assolutamente ammirato da come siate riusciti a parlare della cattiva tv, del problema maximo del tetto pubblicitario e di Biagi, epurato per eccellenza, senza mai nominarLo!..

    da Abesibè   - lunedì, 14 gennaio 2008 alle 00:57

  4. mah a me Fazio me’ sempre parso una pera cotta – l’apprezzavo quando faceva l’arbitro gentile e un po rincoglionito in ‘quelli che il calcio’ in mezzo a una serie di personaggi che erano la forza del programma e senza pretendere di fare il Letterman da supermercato come oggi, che chiama solo gli ospiti che hanno qualcosa da vendere (un libro, o un cd di solito) e non facendo mai domande che alzino neanche impercettibilmente il sopracciglio dell’ospite. A furia di stare li’ con lui si sta imbesughendo pure la Litizzetto…

    da zioFa   - lunedì, 14 gennaio 2008 alle 17:24

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