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set 07

Intervista a Manu Chao

Milano, interno giorno. Per sentire il nuovo disco di Manu Chao siedo in una saletta della Warner. Sentire e non toccare, la vecchia storia del Sacro Graal del segreto industriale, morte ai pirati, febbre da esclusiva eccetera eccetera. Ne ridiamo, dopo un po’, con Manu che si mangia i maccheroni e il gazpacho in rapida successione, e facciamo l’elenco. Il singolo (Rainin in Paradize) si sa, è sul suo sito in bella mostra, in rete si trovano ben due video, uno di Emir Kusturica e uno con i disegni bellissimi di Wozniak. Un ep con quattro pezzi è in vendita in Francia. Un pezzo (Panik Panik) viene dritto dal disco di Amadou e Mariam prodotto da Manu. Un altro (Bleedin Clown) lo cantava in concerto la Mano Negra già una ventina di anni fa. Un altro ancora (Me llaman calle) era in un film di Fernando Leòn e ha vinto pure il premio Goya per la miglior canzone originale. Un altro (Todo Siberia) viene dalla colonna sonora di quel libro delizioso che Manu fece qualche anno fa, illustrato pure quello da Wozniak. Altre canzoni (come Mala fama) Manu le canta in pubblico da mesi, sia nei suoi tour che nei bar di Barcellona, quando la sera è lunga e il fido Majid, chitarrista sopraffino, fa tardi con lui. Insomma, ce la ridiamo un po’ sul Sacro Graal del segreto discografico-industriale sapendo tutti e due, per antica amicizia, che musica e industria sono cose diverse.

Manu, il disco è molto bello. Sembra il tuo riassunto di questi anni. Un po’ di Mano Negra, un po’ di Manu solista. Suonare bene, mixare forte, servire caldo.

Eh, nei ristoranti in Francia si chiama “plat du jour”. Come senti, il suono è cambiato, più duro, un po’ più rock. Questo è grazie alla banda, che è in forma scintillante. La chitarra di Majid, e anche David, il batterista, che è tornato anche lui alla chitarra. Che diavolo! David è un fior di chitarrista, le parti più elettriche sono sue.
Così impara chi dice: torna Manu Chao dopo anni di silenzio!
Ah, silenzio! Questa è buona. Facciamo l’elenco… Ho prodotto il disco di Amadou e Mariam, ho fatto il mio Sibérie m’était contée solo per la Francia, con il libro di Wozniak. Ho suonato in tutto l’est Europa, cosa che non aveva mai fatto. Ho prodotto il disco del cantante algerino Akli D, molto buono. Sto producendo il disco di Sam, figlio di Amadou, un talento straordinario. Ho lavorato per il film di Leòn, Princesas, ho lavorato con Kusturica al suo film su Maradona… Ora vengo da un giro negli Stati Uniti e Canada. Silenzio, hai detto?
E tutto finisce nel disco.
Io non so lavorare in un altro modo. Si suona, si raccoglie. Poi si mette ordine e si pubblica.
Ho letto che negli States hai avuto successo. Diverso da quando andasti con Mano Negra, quindici anni fa. Dicesti che ti sembrava di fare il militare…
Questa volta abbiamo fatto tutto in pullman, con la banda, sempre in giro, sempre a suonare. Molte sorprese, anche. Ho suonato a Dallas e qualche timore c’era. Oddio, Dallas, Texas… Invece ho trovato un pubblico caldissimo. Bello, molto bello.
Tutti latinos…
Molti, sì. Ma poi, continuando il tour ci siamo imbattuti in molte comunità, abbiamo suonato con loro, indiani, caraibici… E poi New Orleans, città distrutta, grande speculazione immobiliare in arrivo. Allarme rosso! Ma lì la magia della musica si sente ancora tutta, niente da fare, è Caribe, altroché!
Una faccenda di luoghi, ma anche di incontri, di persone, il cinema, da Kusturica a Leòn…
Con Leon sono stato molto felice. Princesas mi ha fatto conoscere le ragazze, le prostitute di Madrid, la loro lotta per i diritti, la loro straordinaria umanità. Quando ho vinto il premio per la canzone (premio Goya, 2006, ndr) non potevo andare a ritirarlo, e allora ho chiesto se potevano andare loro, le ragazze. E’ stato bello vedere quelle signorine, putas, puttane, ritirare il premio. Poi me l’hanno mandato a Barcellona e allora io volevo regalarlo alle prostitute di lì, ma loro hanno detto, eh, no, Manu, questo premio è per le ragazze di Madrid! Una bella storia, dirò sempre grazie a Leòn per avermi fatto vedere questi pezzi di vita…
Ma se avevi addirittura presentato un disco in un bordello a Pigalle! Puta’s Fever… era il 1989!
Ah, è vero! Uh, anche a Pigalle avevamo tante amiche!
E poi Kusturica…
Niente da fare, quando il caso fa una buona cosa, la cosa è buona davvero. La storia è questa. Lui fa questo film su Maradona e mi chiama. Vuole che io ci metta Santa Maradona (canzone del 1996, sta sull’album Casa Babylon, l’ultimo con Mano Negra, ndr), ma io non voglio. E’ troppo mia, già sentita, già dato. Lui insiste. Insisto anch’io. Ne scrivo una nuova, dico. Lui dice, no, voglio quella. Un giorno siamo con la banda a Mar del Plata, avevamo fatto tardi la sera, ma alla mattina c’era la grande manifestazione contro la visita di Bush. Quindi ci alziamo presto, assonnati e sfatti, ci mettiamo in strada per andare al corteo e ci fermiamo a far benzina. E lì, al bar di un distributore di periferia, troviamo Emir. Un po’ depresso per tutti i problemi con il suo film. E allora io dico alla banda, dài, vediamo un po’ se gli piace, e ci mettiamo a suonare questa la Vida Tombola…
E lui?
Entusiasta! L’ha voluta subito.
Poi avete fatto il video…
A Buenos Aires. Lui era lì con tutta la troupe, le macchine, tutto. Allora abbiamo detto, dài, facciamo il video di Rainin in Paradize. Lui ha detto, ok, procuro un paio di figuranti. Ho detto: cosa? Eh, no, i figuranti li trovo io… A Buones Aires lavoriamo con questi ragazzi della Calafata, una radio di questo ospedale per malattie psichiatriche. Hanno facce perfette, sono bravi, fanno davvero un bel lavoro lì. E poi… hanno portato a casa qualche soldo… perfecto!
E lui?
Di nuovo entusiasta! (ride, ndr)
E poi c’è il resto del mondo. Cominciamo dall’Africa. Com’è andata con Amadou e Mariam?
Colpo di fulmine. Io avevo sentito un loro disco e mi piacevano molto. Poi, quando ci siamo conosciuti, a Parigi, abbiamo suonato un po’ e… in un giorno abbiamo scritto due canzoni. Fantastico. Allora mi hanno detto: produci il nostro disco (Dimanche a Bamako, ndr), e io volevo svenire… Produrre? Ma io ho prodotto solo i miei!
Dici poco!
Sì, ma è roba tua, se va bene, bene, se va male bene lo stesso. Con gli altri, invece… troppa responsabilità. Poi l’ho fatto, è venuto bene, mi pare…
E poi c’è quella canzone Camions sauvages, che è un capolavoro…
Eh, c’est l’Afrique! Dicono sempre animali selvaggi, natura selvaggia. Ma se vai da Bamako a Timbuktu, l’unica cosa selvaggia sono quegli enormi camion su quella pista tutta dritta, che travolgono tutto, animali, bambini… La modernità dell’Africa a noi può sembrare una cosa antica, eppure…
Non avrai trascurato un po’ l’oriente?
Ah! Non sono mai stato in Cina! Non sono mai stato in India! Poi mi sono trovato, in America, a suonare con tanti indiani… Chissà che il viaggio in America non mi abbia voluto dire… ehi, Manu, devi andare in India. Ma l’est Europa, beh, un’altra cosa. L’abbiamo girato in lungo e in largo con la banda, forse i migliori concerti che abbiamo fatto, era il 2003. Pubblico fantastico, la sensazione di suonare davanti a orecchie vergini, in un posto dove la tradizione musicale è strepitosa. Per me è stata una vera scoperta. Anche se le cose non vanno per niente bene…Russia, Polonia, Ungheria…
Ma come! Ora che sono liberi!
Liberi? Liberi di essere nel grande mercato! Ne parlavo con Wozniak, il mio amico disegnatore. Lui è polacco, è stato in carcere durante il regime comunista, è venuto in Francia da rifugiato politico, non si può certo dire che sia un nostalgico di quegli anni. Eppure dice che oggi è peggio, molto peggio.
Scusa il pessimismo, ma posti dove sia meglio me ne immagino pochi… Una strofa di Rainin in Paradize dice: “In Baghdad / Its no democracy / that’ just because / Its a Us country”…
La prima frase che avevo in mente quando ho iniziato a lavorare a questo disco era… Et maintenant, quoi? (E adesso? ndr). E ho solo questa domanda, non ho risposte… Il movimento è stato anche poderoso, ma in effetti non è cambiato niente, cioè, non molto, niente di radicale o risolutivo, comunque. Ci sono dei focolai, dei posti da guardare con attenzione, perché da lì viene qualcosa che potrebbe smuovere le cose.
Esempio?
Il Venezuela, per dire. Un vero laboratorio politico. Eppure non è che gli americani non ci provino… anzi! E la popolazione è molto divisa. Ma nei quartieri popolari le cose sono molto cambiate, c’è una grande speranza nei giovani, un tentativo di cambiare in modo radicale, non come qui in Europa, con la sinistra finge di essere sinistra. Ho suonato  alla Grande Salle, a Caracas, il posto più grande, a Parigi sarebbe Bercy, per dire. La prima volta che suono in un posto così grande senza avere un promoter e un’organizzazione. I ragazzi del sindaco erano preoccupatissimi, mi dicevano, sai, noi non siamo capaci… Hanno mandato gente nei quartieri popolari, nel barrio, ad avvertire del concerto, che era gratis. Beh, è stato pazzesco, quella non è gente che si potrebbe permettere un concerto…direi che si siamo divertiti parecchio!
Coraggio, noi stiamo qui nella vecchia Europa. Possiamo sempre consolarci con Sarkozy…
Ah, Sarkò! Non seguo molto le cose francesi, perché non abito più lì… Ma sono andato a votare, naturalmente. La notte della vittoria tornavo a casa in motorino e sono passato da Place de la Republique per vedere questo trionfo della destra… beh, la piazza non era così piena. Le televisioni dicevano: arriva Sarkò tra due ali di folla! Ma se tu guardavi con gli occhi, senza l’obiettivo stretto della telecamera, la folla non c’era…
A pensarci, quando una ventina di anni fa con la Mano Negra suonavate nelle banlieue di Francia, la “racaille” (feccia, ndr) di cui parla Sarkò eravate voi…
Sì, ma attenzione. Anche nei quartieri, nella banlieue, in periferia, le cose sono cambiate. Senti giovani parlare di carriera, di soldi, di arrivare… Egoismo e individualismo. Può essere che Berlusconi è arrivato a Parigi… E in Spagna non è che gli anni di Aznar siano stati meglio, anzi!
Beh, ora avete pur sempre Zapatero!
Sì, meglio di prima, non c’è dubbio. Ma la destra è aggressiva, fa un assedio asfissiante. La sensazione è che se si rendessero appena un po’ più presentabili, un po’ meno orribili, vincerebbero di nuovo.

2 commenti »

2 Commenti a “Intervista a Manu Chao”

  1. Consiglio, su Manu Chao, La mano negra in Colombia. Un libro che mi ha dato moltissimo……..

    da stellavale   - giovedì, 13 settembre 2007 alle 13:45

  2. The forum is a breightr place thanks to your posts. Thanks!

    da Sandy   - venerdì, 20 maggio 2011 alle 13:33

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