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dic 06

Intervista a Michele Serra

“Ok, se vuoi posteggiare due Boeing a Manhattan, non è mica facile evitare le torri gemelle”. Cinque anni fa, ma anche dopo, per anni, in centinaia e centinaia di repliche, a Parigi, in Francia e anche in altri posti in Europa, questa battuta ha fatto venir giù i teatri. Risate. Forse un brividino, un ghiacciolo nella schiena degli spettatori, ma soprattutto risate. Allah Superstar, il monologo di Yassir Benmiloud, comico algerino ormai francese, fece saltare il tappo di una buona bottiglia tenuta nascosta in cantina: umorismo arabo. Satira islamica. Non era la battuta migliore dello show (e del libro). Ce ne sono altre, puro distillato di ironia di un arabo sugli arabi. Per esempio questa: “Per un arabo è più facile entrare in Al Qaeda che a TF1, quindi per la mia carriera artistica non ci sono grandi sbocchi”. O ancora: “Giuro che un giorno dirò pure le preghiere, ma solo dopo che sono diventato famoso, non voglio che poi si dice in giro che ho leccato il culo a qualcuno per fare carriera, non sono mica una concorrente del Grande Fratello”. Altre risate. E una rivelazione: guarda un po’ questi islamici, non sono così musoni come si crede, tutti fede e scimitarra. Arabi che non sanno ridere. E del resto, lo stesso Benmiloud se lo spiega bene: “Il nasone non ce l’hanno solo gli Arabi, ce l’hanno anche gli Ebrei, ma loro hanno i loro comici per dirlo”. Ecco tutto.
Non è il solo caso, è ovvio. Se abitate a Baghdad e avete ancora voglia di farvi quattro risate (non si capisce come) potete guardare lo show di Saad Khalifa, in onda sulla tv irakena Al Sharqiya. La trasmissione si chiama Sbrigati, è morto, e parla dell’Iraq del 2017 quando il protagonista, Saaed, sarà l’ultimo irakeno vivo e potrà finalmente gioire: “Ehi, ho una casa!”. Gli irakeni ne vanno pazzi, anche perché la satira nasce dalla catastrofe, ma questo lo vedremo dopo.

Sia messo a verbale, dunque, così, per cominciare, che gli arabi sanno ridere e divertirsi, cosa che comunque sapevamo già dai tempi delle Mille e una notte. Ma il dibattito oggi pare essere un altro, un pochino più peloso. Noi – intesi come noi italiani, comici, satirici, attori, autori – sappiamo riderne? Fare satira su di loro? Abbiamo paura? Certi ambienti della destra lanciano la provocazione. Qualcuno la raccoglie. Qualcuno no. Luca e Paolo delle Iene facevano (ed era il 2001, l’anno maledetto!) un esilarante bin Laden, a letto con Saddam. Dunque si può. La sigla di un reality (la Fattoria) scelse come sigla Caravan Petrol di Carosone. Però gli autori cambiarono il ritornello (Pascià al posto di Allah), per prudenza. Dunque non si può.

Per capirci qualcosa vado a parlarne con Michele Serra. E’ un autore satirico (anche). E’ un polemista brillante (pure). E’ un autore di teatro (certo). Di televisione (eh, sì). Di libri (già). E aggiungo: è stato il mio direttore a Cuore. A quei tempi andavamo di moda, e molti giornalisti chiamavano per fare domande, interviste sulla satira. Cos’è? E’ solo di sinistra? E’ un meccanismo? E’ un trucco? Michele si seccava così tanto che pubblicammo un tariffario: tot lire per la risposta singola. Tot lire per l’intervista completa. Capirete che andare oggi, più di dieci anni dopo, a chiedergli se possiamo ridere sugli arabi, poteva comportare il rischio di esser preso a calci. Non è successo, e dunque, ecco qui.

Caro Michele, pare che una delle emergenze della destra à la page sia ridere sugli islamici. Perché non lo facciamo? Siamo dei cacasotto?
Mah, così di colpo ti direi: perché la destra non fa satira sulla destra? Ma mi rendo conto che sembrerebbe tartufesco, un po’ comodo. Allora cambio risposta. Credo che siano soprattutto gli arabi a dover ridere sé. E’ un po’ come esportare la democrazia con la guerra: non funziona. In genere chi ti viene a insegnare la vita ti fa solo incazzare, dato che la vita te la devi insegnare da te. Faccio notare che noi a fare le vignette sul papa ci abbiamo messo alcuni secoli…
Ma quando le ha fatte su Maometto un giornale danese è successo il finimondo…
Era satira? Mi sembravano soprattutto caricature offensive. Ma soprattutto c’è questo: la satira è un processo interno, che riguarda sia chi fa sia chi subisce la battuta. Non puoi inoculare i tuoi virus dall’esterno. I musulmani, come ridono di loro stessi? Bisognerebbe saperlo…
Stai dicendo che se Woody Allen fa una battuta sul rabbino ridono tutti e se la faccio io sono antisemita?
Più o meno.
Però è innegabile che ci sia una paura, dietro. Salman Rushdie. Il regista olandese Van Gogh…
Innegabile! La paura c’è, perché negarlo?, sarebbe mentire. Una parte del mondo islamico non è esattamente di larghe vedute. Non è gente che querela, è gente che sgozza. Il problema c’è eccome. Ma proprio per questo dico: non è che lo risolveremo con qualche vignetta, e soprattutto lo dovrebbero affrontare e risolvere loro per primi.
E dunque?
Guarda, piuttosto che fare un cattivo pezzo di satira, o chiederlo, o proporre per provocazione un format sulla satira sull’Islam come ha fatto credo il Foglio direi: bene, adottiamo un vignettista irakeno! Proteggiamo chi di loro si prende la briga e il rischio di muovere il suo mondo.
Eppure qui qualcosa si è visto…
Sì, Luca e Paolo che facevano Osama e Saddam facevano ridere. Anch’io ho dato, ricordo, con la storia di un kamikaze talmente incazzato che esplodeva anche senza cintura esplosiva… Esplodeva dall’incazzatura. Ma mi sembra satira sul fondamentalismo, non sull’Islam. Fondamentalismi ce ne sono tanti. Ma soprattutto, ripeto, per fare satira su qualcosa bisogna esserne in qualche modo interni. Noi non sappiamo come ridono loro. Andiamo, stiamo parlando di un miliardo di persone… come faccio a sapere di cosa ride o vorrebbe ridere un indonesiano… non so neanche cosa mangia!
Ma non se ne esce!
No, forse non se ne esce. Però la satira sociale è più importante della satira sul potere. E allora sì, sarebbe interessante, e molto, capire cosa nasce come cultura critica da quelle società.
E così siamo passati da noi cacasotto che non ridiamo di loro ad accusare loro di non saper ridere.
Con il piccolo dettaglio che chiedergli di ridere mi parrebbe un po’ eccessivo. Se fossi arabo, musulmano, magari di Baghdad, o di Kabul, non credo che la mia priorità sarebbe di far ridere. Da duecento anni gli disegniamo i confini col pennarello, li bombardiamo spesso e volentieri, e ora gli diamo degli stronzi perché non ridono… La ripugnanza verso la violenza è ovvia, sgozzare la gente è una cosa terribile. Ma se masse immense considerano Osama una specie di profeta, beh, chiaro che qualche problemino c’è pure da questa parte.
Vecchio discorso, però. Le colpe dell’Occidente…
No, no, non voglio dire questo. Non bisogna avere senso di colpa. Però bisogna, credo, provare pudore. Avere la consapevolezza che il mondo non è stato mai così sperequato, che gli Stati Uniti consumano da soli un quarto delle risorse del mondo. Dico, non è proprio un dettaglio.
Dunque, è giusto avere paura? Tutto qui?
Ma no! E’ assolutamente insopportabile che qualcuno venga ucciso per qualcosa che scrive, che dice, che pensa. E’ insopportabile e infatti non bisogna sopportarlo. E’ vero il contrario. Bisogna tenere la schiena più dritta. Quando ci fu la fatwa iraniana contro Salman Rushdie, ricordo, alcuni occidentali non volevano salire su un aereo se c’era lui. Io lo considerai gravissimo, assurdo. Quelli che dicono, ecco, non prendo più la metropolitana mi fanno incazzare. Anche se naturalmente mi romperebbe parecchio le balle scoppiare sulla linea gialla. Attorno a certi principi non bisogna essere più morbidi, ma più rigidi. In un certo senso pretendere di più da noi stessi.
Quanto durerà?
Durerà moltissimo. Durerà molto perché è uno scontro tra moderno e arcaico. Non è che un contadino del monti Appalachi sia meno arcaico di un pakistano delle montagne. E c’è questo ritorno del fanatismo, della religione come identità politica. Il moderno e l’arcaico fanno a botte in tutto il mondo!
Uno scontro di civiltà, per caso?
Ma sì, è quello il vero scontro di civiltà. Guarda la Costituzione europea bocciata dalla Francia. Ha vinto nelle città e perso malamente nelle campagne. E qui, tra città e campagna? Guarda i delitti efferati della cultura rurale, guarda il Pacciani, un paesino di cinquecento anime può essere più pericoloso di Napoli. E Napoli, allora, un conflitto sanguinoso tra le radici – il clan, la famiglia – e un moderno che pare sconosciuto, quindi minaccioso. Io preferisco l’identità incerta che forti radici e forte identità. Le identità forti sono figlie della paura del nuovo e quindi sono aggressive. E finiscono per prendere in mano un fucile.
Sono d’accordo, Michele. Però ti avverto: io non ci vado a dirglielo, a Osama.
Ma prima o poi bisognerà capirlo. L’ignoto fa paura. Quel che non conosci, il nuovo, dà inquietudine e attrazione. Bisogna vincere l’inquietudine e far vincere l’attrazione. Non siamo stati abbastanza bravi a spiegare che le identità deboli  possono essere più forti delle identità forti. Ecco perché il fanatismo religioso fa tanta paura, perché non ammette che si cresce mischiandosi. Io non lo so spiegare bene, uno che lo dice perfettamente è Luca Cavalli Sforza, lo scienziato: la vita si arricchisce con la contaminazione, con l’errore. La ripetizione non giova, si finisce un po’ dementi e col gozzo, come in quelle valli chiuse in cui si accoppiano tra cugini.
E invece?
Invece vedo che si ringalluzzisce il nostro revanscismo religioso. Male, molto male. L’unico antivirus sarebbe quello di dire, ehi, ragazzi, la democrazia è meglio! Ma oggi sembra una merce meno affascinante…
Però mi chiedo, se urge una satira sull’Islam, perché la destra viene a chiedere a voi satirici, o comici, o autori di sinistra? Non potrebbe farsela da sé?
Ma non può!
E perché?
Perché la grande satira nasce dalla catastrofe e dal disastro. Oggi la destra è trionfante, tronfia e vincente. Ma te lo immagini un giornale di destra che fa su Silvio quello che noi – noi di Tango, noi di Cuore – facemmo sul vecchio Pci? La satira è un’elaborazione del tragico. Non la può fare chi è compiaciuto della vittoria. Una volta sono andato al Meeting di Cl, a Rimini. Uno mi chiese: ci sarà mai una satira cattolica? Io dissi: sì, ci sarà quando il papa si affaccerà alla finestra e dirà: “Dio non esiste”.

 

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