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sab
16
set 06

Tre dischi per D: Weller, McLaughlin, The Eraser

Paul Weller – Catch the flame (v2)

Il disco dal vivo ha una sua grammatica e, quando è buono, una sua precisa ragion d’essere. Qui c’è di più del solito e scontato mestieraccio di musicista coi fiocchi: c’è l’ambizione di far andare d’accordo i tanti Paul Weller che abbiamo conosciuto, dal giovanotto dei Jam, al raffinato co-leader degli Style Council, al Weller solista, il che fa oltre vent’anni di onorata carriera. Alla serata dell’Alexandra Palace di Londra, qui documentata, sarebbe stato bello esserci proprio per questo: per ballare il giusto e per capire dalle lunghe suite, dai medley e dalle composizioni/scomposizioni del repertorio che tutti quei Weller stanno benissimo insieme, trascinanti, convinti e per nulla invecchiati. Una botta di vita, insomma, il pubblico gradisce, e si sente.

John McLaughlin – Industrial Zen (Verve)

Non serve aver superato i sessanta (come lui) per aver stampato in mente a lettere d’oro il nome di uno dei più grandi chitarristi di sempre, ma certo qualche annetto sul groppone aiuta. Perché per molti McLaughlin è ancora quel mago della Mahavishnu Orchestra, del patto mistico con Carlos Santana e di altre cose ancora, datate ma belle. Ora che ci consegna un nuovo disco, il piacere deriva tutto dal tentativo di sbrogliare la matassa: quel che c’è di nuovo e addirittura di futuro (elettronica, digitale) e quel che c’è di antico (tensione, corposità dei suoni. E ancora, decrittare il libro delle differenze, dove be bop, rock, jazz, jungle, world e chissà quali altri generi ancora si fondono e confondono. Fatica improba: tutto si armonizza come per magia. Alla fine si rimane stupito. E si ringrzia per l’omaggio continuo e sincero ai vecchi amici Weather Report.

Thom Yorke – The Eraser (XL Recordings)

Mettiamola così, come se fosse fantascienza: sei il leader di uno dei gruppi più acclamati dell’ultimo decennio (i Radiohead) e vuoi scrollarti di dosso un po’ di tutto quel meraviglioso casino che hai messo in piedi con il tuo gruppo. Allora fai un disco da solo, dove l’elettronica è essenziale, quasi scarna, e la tua voce ci si arrampica sopra come una pianta d’edera. Tutto semplice, tutto quasi tratteggiato. Sennonché, alla fine, chi ascolta – contento e soddisfatto – non riesce a scordarsi i vecchi Radiohead, ed anzi crede di vedere in questo disco solista come un concentrato di quella grande lezione. Yorke si conferma un grande, ma non è “l’eraser” del titolo. Se voleva cancellare il suo essere Radiohead, per esempio, non c’è riuscito. Per fortuna. Ed è un ottimo lavoro.

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