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lug 06

E’ l’ecoNOmy, bellezza

E’ un dato di fatto certificato da tutti gli osservatori e da centinaia di studi di settore: i ricchi sono molto utili per fare soldi. Il mercato del lusso ne è la più vistosa conferma e del resto, lo dice anche la logica: vendere a chi non ha soldi per comprare non ha molto senso. Cosa faremmo se i ricchi del pianeta non buttassero ogni anno la bellezza di 83 miliardi di euro in generi di alta gamma, mercato del lusso e altre simili cose inutili ma irrimediabilmente attraenti? E’ una bella torta, non c’è che dire, e la cosa più strabiliante è che siamo proprio noi, noi italiani, a rimpinguare di prelibatezze e oggetti costosi i ricchi del pianeta: abbiamo infatti il 27,5 per cento di questo immenso mercato, il che significa che più di una volta su quattro che un milionario si toglie un capriccio ci siamo di mezzo noi, e incassiamo. Ma, pur felici di rimarcare questo ottimo risultato, tocca ahinoi notare che non tutti fanno onestamente e fino in fondo la loro parte. Bene gli americani (dove i consumi di lusso italiani aumentano del 10 per cento). Benissimo l’Estremo Oriente (addirittura più venti per cento). Ma l’Europa batte la fiacca e si ferma a un ridicolo 4,6 per cento che francamente ci offende. Perché insomma uno di Dubai o di Los Angeles casca con tutte le scarpe (firmate) nel mito del lusso italiano e un norvegese o un portoghese no? Cosa vi abbiamo fatto, benedetti ragazzi? Per il bene del nostro prodotto interno lordo è dunque urgente convincere anche gli europei che buttare soldi dalla finestra per comprasi un volante di pelliccia di ghepardo o un accendino in platino sia un buon investimento. Come farlo? Nessuno lo sa con precisione, ma forse potrebbe essere una buona idea sciogliere dell’acido negli acquedotti. Oppure provare con l’ipnosi: quando i ricchi europei cominceranno a comportarsi come i ricchi di Abu Dhabi il mondo non sarà certo migliore, ma chi ha detto che un mondo migliore farebbe aumentare il pil?
Il mercato del lusso italiano è cresciuto nel 2005 del 7 per cento. L’Italia incassa ogni anno dal lusso ben 22,9 miliardi di euro contro i 18,4 della Francia e i 16,1 della Svizzera (fonte: Altagamma)

Naturalmente siamo tutti fratelli e certo non vogliamo sollevare antipatiche questioni razziali, anche visto che ne esistono già parecchie. Ma perché i giapponesi si ostinano ad affidarsi con circospetta moderazione al mercato dei cosmetici italiani? E’ uno scandalo che i figli del sol levante spendano in creme, antirughe e acque di colonia meno di un quinto dei francesi e addirittura (questo è davvero strabiliante) quasi la metà dei sauditi che sono molti meno. I casi sono due: o i sauditi passano le loro giornate in bagno a farsi belli con i nostri cosmetici, oppure i giapponesi remano contro. E gli italiani? Non male: spendono in cosmetici 8,6 miliardi di euro. Eppure potrebbero far di meglio e i dati non sono incoraggianti: nel 2005 gli investimenti pubblicitari sono scesi del 2,7 per cento e sono calate pure le vendite in profumeria (meno 2,1 per cento), il tutto mentre i prezzi sono saliti del 3 per cento. Farsi spaventare da un così risibile aumento? Farsi venire le rughe e contemporaneamente non aiutare il prodotto interno lordo: riuscite a immaginare un comportamento più vile ed egoista?
La Francia spende ogni anno 287 milioni di euro in cosmetici italiani, il Giappone soltanto 48 milioni. Francia, Germania, Stati Uniti e Spagna assorbono più del 50 per cento dell’export italiano della cosmetica (fonte: Unipro)

1 commento »

Un Commento a “E’ l’ecoNOmy, bellezza”

  1. Approvo lo stile , scorrevole e moderno, assolutamente non serioso. Ma come commentare i dati sul mercato giapponese, così risibili , quando é abbastanza noto che il mercato nipponico é il secondo al mondo per importanza. E , sempre in tema di Giappone , non sarebbe stato inutile presentare una scheda con le specificità giapponesi in tema di importazioni , relativamente agli ingredienti ammessi. Ciò di cui c’é bisogno in Italia è di una informazione economica più puntuale. O per sapere le cose dobbiamo rivolgerci alla JETRO e leggere dossier e analisi dell’Economist , Wall street Journal o Financial ? Saluti RZ

    da romano zeraschi   - martedì, 22 gennaio 2008 alle 23:53

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